Acque. Punto di campionamento del refluo industriale, superamento dei parametri tabellari e modalità di prelievo. Cassazione Penale n. 1296/2017.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 1296 del 12 gennaio 2017 (ud. del 10 marzo 2016)

Pres. Rosi, Est. Soccire: Socci

Acque. Punto di campionamento. Art. 101, 107, 108, 137 comma 5 d. lgs. n. 152/2006.
In tema di inquinamento idrico, il campionamento del refluo industriale, previsto dall’art. 108, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo e non sullo scarico finale; ne consegue che il prelievo del refluo è possibile all’uscita dello stabilimento soltanto in presenza di un solo impianto di trattamento, mentre nell’ipotesi di più linee produttive con autonomi impianti di trattamento deve essere eseguito dopo ciascuno di essi.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 1296 del 12 gennaio 2017 (ud. del 10 marzo 2016)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del l’11 maggio 2015 la Corte di appello di Milano, ha confermato la sentenza del tribunale di Monza, del 3 settembre 2014, che aveva condannato S.A. alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda sostituita la pena detentiva con quella pecuniaria in complessivi Euro 15.000,00 di ammenda (art. 137, comma 5, d. lgs. 152 del 2006, perchè, nella sua qualità di legale rappresentante della “Rolf s.p.a.”, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali derivanti da un’attività per la produzione di articoli tecnici in gomma e in metallo, superava i valori limite fissati nella tabella 3 dell’allegato 5, alla parte terza del predetto decreto, relativamente alle sostanze: “zinco” rilevato nella concentrazione di 11,4 mg/l (limite di tabella 1 mg al litro). In (OMISSIS)).

2. Ricorre in Cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2. 1. Erronea applicazione del d. lgs. n. 152 del 2006, artt. 101, 107 e 108, e del punto 1, 2 e 3, dell’allegato 5, alla parte terza; contraddittorietà della motivazione.

La Corte di appello ha ritenuto applicabile il d. lgs. n. 152 del 2006, art. 108, comma 5, in quanto norma speciale. Nel caso in esame il campione è stato prelevato non “subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo”, ma bensì subito dopo l’impianto di trattamento interno dello stabilimento servente una sola linea di produzione (linea di fosfatazione), così come specificato nel verbale di campionamento n. 286 agli atti.

Inoltre nell’autorizzazione amministrativa il punto di prelievo è indicato e lo stesso vale anche per gli accertatori in sede di controllo (immediatamente prima dello scarico in fognatura).

La sentenza non tiene conto del disposto dell’art. 107, del d. lgs.citato che statuisce che lo scarico in rete fognaria è sottoposto alle norme tecniche e alle prescrizioni regolamentari adottate dall’autorità. Il punto di prelievo risulta vincolante erga omnes e non solo per il soggetto titolare.

2.2. Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 223 c.p.p..

Mancanza di motivazione. Il perito C.E. sentito come teste ha riferito quale consulente tecnico della difesa a tutti gli effetti. Il C. ha depositato poi anche note tecniche dove ampiamente spiega le questioni. Sia il giudice di primo grado e sia la Corte di appello non tengono in considerazione le analisi del C., e sul punto sussiste difetto di motivazione. La consulenza del C. è sicuramente un dato probatorio contrario sul quale i giudici dovevano espressamente motivare, adeguatamente e dettagliatamente.

Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Il ricorrente deposita memoria, il 24 febbraio 2016, dove sviluppa ampiamente, i motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato e deve respingersi con la condanna al pagamento delle spese.

A seguito di un campionamento effettuato dalla società di gestione del servizio idrico integrato Amiacque s.r.l. alla presenza del responsabile della ditta, le analisi di laboratorio presentavano parametri di zinco non rientranti nei limiti di tollerabilità previsti dalla legge.

Con il ricorso in Cassazione S.A. contesta, nel primo motivo, la regolarità del prelievo, ovvero il punto del prelievo, che per il ricorrente andava effettuato in quello indicato nell’autorizzazione amministrativa, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento. Invece il prelievo è stato effettuato subito dopo l’impianto di trattamento interno dello stabilimento servente una sola linea di produzione (linea di fosfatazione) – vedi verbale di campionamento, n. 286 degli atti -. Per il ricorrente il punto di prelievo indicato nell’autorizzazione amministrativa deve risultare vincolante anche per i controlli, e non solo per l’autorizzato. Inoltre espressamente il d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 108, comma 5, prevede il controllo: “… subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo”.

Il problema giuridico posto alla Cassazione con il motivo di ricorso in oggetto è di assoluto rilievo, e attiene alla regolarità “normativa” del campionamento, che potrebbe inficiare il risultato finale: il punto di prelievo non è neutro. Il problema è relativo all’esatta interpretazione del quinto comma dell’art. 108, citato, ovvero se lo stesso indica il punto di prelievo alla fine dell’intero stabilimento produttivo, o solo dopo una linea produttiva parziale, controllo intermedio, in ogni punto di uscita (linea di fosfatazione, nel nostro caso).

Secondo una corretta interpretazione del d. lgs. n. 152 del 2006, art. 108, comma 5, al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo – industriale -, e non sullo scarico finale. L’art. 108, comma 1, citato, infatti, stabilisce che “Per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della Tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, il punto di misurazione dello scarico è fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale di cui al d. lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti. Qualora, come nel caso dell’art. 124, comma 2, secondo periodo, l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo allegato 5, riceva, tramite condotta, acque reflue provenienti da altri stabilimenti industriali o acque reflue urbane, contenenti sostanze diverse non utili ad un modifica o ad una riduzione delle sostanze pericolose, in sede di autorizzazione l’autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di e missione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue”.

Pertanto le sostanze nocive non devono superare i limiti tabellari al momento dello scarico “dall’impianto di trattamento” (o dopo l’uscita dello stabilimento, solo se esiste un solo impianto di trattamento). Invero nelle ipotesi di più linee produttive con impianti di trattamento, i limiti non devono essere superati, dopo ognuno di essi; mentre all’uscita dello stabilimento se presente una sola linea di trattamento. E’ questa l’unica interpretazione che evita l’accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini. E’ lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale – unito ad acque di diluizione -. Infatti la norma, art. 108, comma 5, citato, non a caso indica i punti di accertamento sia in quello “subito dopo l’uscita dallo stabilimento” e sia in quello “dall’impianto di trattamento”; con una disgiunzione “o”, chiara, o l’uno o l’altro, a seconda della conformazione dell’impianto produttivo; unico – la prima ipotesi, subito dopo l’uscita dallo stabilimento – o con più linee produttive – la seconda ipotesi, dall’impianto di trattamento -.

Sul Punto vedi Cassazione Sez. 3, n. 24426 del 25/05/2011 – dep. 17/06/2011, Bruni, Rv. 250610:

“Il campionamento del refluo industriale, al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 108) e non sullo scarico finale”.

Pertanto l’indicazione contenuta nell’autorizzazione non rileva per i controlli, come quello in oggetto.

4.1. Inoltre la natura di scarico industriale deriva proprio dal c.d. concetto di prevalenza, vedi Cassazione, Sez. 3, n. 1870 del 26/11/2015 – dep. 19/01/2016, Copeti e altro, Rv. 266016:

“In materia di tutela delle acque dall’inquinamento, lo scarico da depuratore che convoglia le acque reflue urbane, in assenza di elementi di prova forniti dal P.M. circa la prevalenza di reflui di natura industriale, deve essere ritenuto a natura mista ed i relativi reflui vanno qualificati come scarichi di acque urbane, con la conseguenza che la condotta di scarico senza autorizzazione, non integra il reato di cui al d. lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 5, ma un mero illecito amministrativo”. La misurazione alla fine del processo produttivo, dell’intero stabilimento produttivo, o solo dopo una linea produttiva parziale, controllo intermedio, quindi, determina la differenza, anche del tipo di scarico. Lo scarico industriale quindi deve necessariamente controllarsi alla fine del processo produttivo, prima della sua eventuale diluizione con altri tipi di liquidi; altrimenti diventerebbe uno scarico misto di acque reflue, secondo il richiamato concetto di prevalenza.

5. Anche il secondo motivo risulta infondato. Le considerazioni del tecnico di parte Eugenio C., sentito all’udienza del 23 settembre 2014, davanti al Giudice di primo grado, sono state adeguatamente considerate dalle sentenze, con motivazione (doppia conforme) adeguata ed immune da contraddizioni e manifeste illogicità. La critica del C. del resto era solo ipotetica, teorica; il C.T., infatti, riteneva che le due analisi, quella a monte (intermedia – 11,4 mg/l) e quella alla fine (0,1 mogi) non erano tecnicamente compatibili, in relazione alla portata (flusso) degli scarichi. Tale diversa ricostruzione (incompatibilità dei dati per il flusso delle acque), solo ipotizzata come possibile dallo stesso C., non trova elementi certi negli atti, e nè gli stessi, del resto, sono indicati nell’atto di impugnazione, e quindi e quindi si tratta di mere ipotesi teoriche, non proponibili in sede di legittimità (vedi espressamente Cassazione, Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 – dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 260409: “La regola dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali”.

Del resto la modalità degli accertamenti, non contestata al momento dell’esecuzione degli stessi, deve ritenersi regolare. La giurisprudenza di legittimità ha del resto precisato che “Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell’Allegato 5 alla Parte II del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nello specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio non stabiliscono un criterio legale di valutazione della prova, in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze. (nel caso di specie la Corte ha precisato che tali esigenze possono derivare dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico, dal tipo di scarico o dal tipo di accertamento)”. (Sez. 3, n. 16054 del 16/03/2011 – dep. 21/04/2011, Catabbi, Rv. 250309, nello stesso senso Sez. 3, n. 26437 del 13/04/2016 – dep. 24/06/2016, Copreni e altro, Rv. 26711001).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016.

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. III, sent. n. 1296-2017