Diritto alimentare. Prodotti confezionati all’estero, responsabilità colposa dell’importatore e suoi limiti. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III n. 19604 del 26 aprile 2017 (ud. del 28 febbraio 2017)

Pres. Amoresano, Est. Aceto

Diritto alimentare. Alimenti. Prodotti alimentari confezionati all’estero. Obblighi degli importatori. Responsabilità per colpa. Limiti. Art. 5 Legge n. 283/62.

L’obbligo di introdurre nel nostro paese sostanze alimentari rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle disposizioni in materia, grava anche nei confronti dell’importatore di prodotti alimentari confezionati in paesi dell’Unione Europea, e la sua inottemperanza determina la responsabilità dello stesso a titolo di colpa in relazione alle ipotesi di cui all’art. 5 Legge 30 aprile 1962 n. 283.

Chiunque detenga per la vendita un prodotto alimentare non conforme alla normativa vigente, ne risponde a titolo di colpa se non prova la sua buona fede, e cioè se non dimostra di avere eseguito – o fatto eseguire tutti i controlli o di avere posto in essere tutte le precauzioni possibili per evitare che quel prodotto fosse concretamente avviato al consumo. Egli, inoltre, va esente da colpa ogni volta che l’adozione delle opportune misure prudenziali non sia praticabile o perchè il prodotto sia contenuto in una confezione sigillata o perchè la facile deperibilità dell’alimento non consenta l’esecuzione dei controlli sulla sua composizione in quanto, nelle more di questi, il prodotto diverrebbe inevitabilmente non più commestibile (Sez. 6, n. 11390 del 29/09/1993, Bellarosa, Rv. 196756; Sez. 6, n. 5461 del 13/03/1986, Zavaglia, Rv. 173103).

COMMENTO:

In tema di requisiti igienico-sanitari prescritti per la conservazione degli alimenti, sussistono obbighi a carico dell’importatore per l’esecuzione autonoma di controlli ed esami sui prodotti importati dall’estero, non pontendosi fare affidamento sulle analisi eseguite dalla società estera produttrice della merce importata.

Nella concreta fattispecie, la scelta aziendale di avvalersi, per le analisi, del laboratorio della ditta produttrice del prodotto e non di un laboratorio terzo si scontra con l’orientamento di legittimità secondo il quale chi detenga un prodotto alimentare per la vendita non conforme alle normative vigenti risponda per colpa, a meno che non provi la sua buona fede dimostrando di aver eseguito tutte le possibili misure precauzionali praticabili. Restano così esclusi dal novero delle ipotesi colpose i casi di facile deperibilità del prodotto o quelli di contenimento in confezioni sigillate, condotte che non consentono all’importatore un adeguato, possibile e tempestivo controllo sullo stato conservativo del prodotto senza minarne la stessa conservazione o commestibilità. Nè rileva di per sè l’estraneità al processo produttivo, essendo l’importatore obbligato a mantenere tutte le garanzie in tema di corretta conservazione dei prodotti, con esenzione da responsabilità penale solo ove siano stati adottate precise cautele (cntrolli periodici a campione o richieste al produttore di tali indagini). Infine, è bene precisare che l’importatore non possa invocare un presunto adempimento, da parte di un commerciante estero non soggetto alle normative nazionali, delle disposizioni vigenti, ma debba verificare personalmente, prima della messa in commercio di un prodotto alimentare, la sua conformità ai requisiti di legge. L’esenzione da responsabilità prevista dall’art. 19 della Legge n. 283/62 afferma infatti che non soggiace alle pene previste dalla stessa legge il “commerciante che vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione”.

 

 

Cass. Pen., Sez. III n. 19604 del 26 aprile 2017 (ud. del 28 febbraio 2017)

RITENUTO IN FATTO

1.I sigg.ri N.I. e Z.M. ricorrono per l’annullamento della sentenza del 11/07/2016 del Tribunale di Torino che li ha condannati alla pena di 2.000,00 Euro di ammenda per il reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d) e art. 6, loro ascritto perchè, quali Presidente del C.d.a., il primo, amministratore delegato, il secondo, della società “NOV.AL S.r.l.”, detenevano per la vendita alla clientela 312 chilogrammi di pesce spada in tranci congelati contenenti mercurio oltre il limite consentito; il fatto è contestato come commesso in (OMISSIS).

1.1.Con il primo motivo, deducendo che il campionamento del prodotto è stato effettuato in violazione delle prescrizioni del regolamento CE n. 333 del 333 del 2007, con conseguente compromissione della rappresentatività del campione stesso, eccepiscono, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l’erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, artt. 5 e 6, del regolamento CE n. 333 del 2007, nonchè dell’art. 192 c.p.p. e art. 530 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione in ordine alla prova del superamento dei limiti di concentrazione del mercurio, avendo il tribunale erroneamente valutato l’eccezione sotto il profilo della utilizzabilità della prova.

1.2.Con il secondo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l’erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, artt. 5 e 6 e dell’art. 40 cpv. cod. pen., e vizio di mancanza di motivazione in ordine alla loro responsabilità, affermata in base ad una pretesa posizione di garanzia ricoperta in virtù del sol fatto che non vi fossero deleghe a favore di terzi, senza considerare che la complessità dell’organizzazione aziendale, la suddivisione in reparti, i compiti attribuiti in base alla divisione del lavoro, non rendono necessaria la formalizzazione di una specifica delega. Nel caso in esame, deducono, il settore surgelati è gestito da una specifica persona che svolge i propri compiti in base a procedure prestabilite finalizzate anche al controllo di qualità e sicurezza dei prodotti.

1.3.Con il terzo motivo eccepiscono, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l’erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, artt. 5 e 6 e dell’art. 42 c.p., comma 4, e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, affermata in base al travisamento delle testimonianze relative alle procedure adottate dalla società “NOV.AL S.r.l.” per la verifica dei prodotti in ingresso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.I motivi di ricorso sono infondati.

3.Il primo motivo è generico e proposto per motivi non consentiti dalla legge.

3.1.Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, il 07/10/2014 la ASL di Torino effettuò il prelievo di alcuni tranci di pesce spada, procedendo al campionamento di aliquote del prodotto e inviando i relativi campioni all’Istituto Zooprofilattico per le analisi di laboratorio. Fu inizialmente riscontrato un valore pari 1,4 mg di mercurio per chilogrammo; in sede di analisi di revisione, chieste dalla società, fu accertato un valore addirittura maggiore (2,5 mg/kg).

3.2.Ora, l’eccezione secondo la quale il campionamento fu effettuato in modo non conforme alle prescrizioni impartite dal Reg. CE n. 333 del 2007 contrasta con quanto si legge in sentenza dalla quale non solo risulta che il campionamento fu effettuato “come da normativa” e che la A., indicata dai ricorrenti come responsabile del settore surgelati, addirittura aiutò gli ispettori nell’attività di campionamento, ma che l’irregolarità del campionamento costituisce una mera ipotesi, poichè “nessuna prova in questo senso è stata nemmeno indicata”.

3.3.Appare evidente che l’eccepita irregolarità presuppone l’esistenza di un fatto che è stato contraddetto ed anzi escluso dalla sentenza; il vizio è sostenuto dalla difesa in base a prove delle quali non solo non viene eccepito il travisamento ma che non vengono nemmeno allegate.

3.4.E’ vero che secondo l’indirizzo costante e pluridecennale della Corte le norme relative al prelevamento e all’analisi di campioni di merci hanno carattere ordinatorio e non costituiscono condizioni per il regolare esercizio dell’azione penale, sicchè eventuali irregolarità in materia non determinano nullità, pur dovendo il giudice, che da tali analisi voglia trarre elementi di convincimento per la decisione, motivare adeguatamente in ordine all’attendibilità del risultato (Sez. 3, n 21652 del 02/04/2009, Rivoira, Rv. 243726; Sez. 3, n. 29737 del 11/05/2006, Sciolette, Rv. 234984; cfr. altresì Sez. U, n. 9 del 04/05/1968, Panebianco, Rv. 108761, secondo cui le norme relative al prelevamento ed alle analisi dei campioni, comprese quelle per revisione ai sensi della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1 hanno carattere ordinatorio e non costituiscono condizioni di procedibilità dell’Azione penale, attenendo unicamente alla formazione di elementi probatori da valutarsi dal giudice di merito secondo il principio del libero convincimento); è altrettanto vero, però, che tali irregolarità devono sussistere e non possono essere dedotte in questa sede mediante l’illustrazione diretta del contenuto delle prove.

4.Il secondo ed il terzo motivo, comuni per l’oggetto, possono essere esaminati congiuntamente.

4.1.Il Tribunale ha ritenuto che la mancanza di una delega scritta non esonera il legale rappresentante dell’impresa dalle sue responsabilità; tale responsabilità – afferma – non può essere addebitata a soggetti che hanno compiti operativi e non hanno il potere di emanare direttive. Ha anche aggiunto, quale profilo di colpa, che la società “NOV.AL S.r.l.” si avvaleva, per le analisi, del laboratorio della ditta produttrice del prodotto e non di un laboratorio terzo.

4.2.La diversa ricostruzione del fatto è ancora una volta affidata alla illustrazione degli elementi di prova estranei al testo della sentenza impugnata che tuttavia non vengono allegati.

4.3.Sostengono i ricorrenti che la fornitura del prodotto era accompagnata da un certificato di analisi rilasciato da un laboratorio chimico esterno, così confermando il dato, evidenziato dal Tribunale, che la “NOV.AL S.r.l.” non effettuava analisi autonome, facendo affidamento su quelle trasmesse dal fornitore. Appare perciò evidente che tale scelta è estranea alle concrete possibilità di intervento dei lavoratori dipendenti, ma costituisce il frutto di un’opzione aziendale riconducibile a chi può validamente impegnare l’impresa nei rapporti con i terzi.

4.4.Ne consegue che, a prescindere dall’esistenza di eventuali deleghe (argomento irrilevante nel caso in esame), ciò che rileva è che il detentore del prodotto si è sempre affidato, per i dovuti controlli, alla ditta produttrice.

4.5.Orbene, occorre a questo punto richiamare i principi più volte espressi dalla Corte di cassazione secondo i quali:

4.6. “chiunque detenga per la vendita un prodotto alimentare non conforme alla normativa vigente, ne risponde a titolo di colpa se non prova la sua buona fede, e cioè se non dimostra di avere eseguito – o fatto eseguire tutti i controlli o di avere posto in essere tutte le precauzioni possibili per evitare che quel prodotto fosse concretamente avviato al consumo. Egli, inoltre, va esente da colpa ogni volta che l’adozione delle opportune misure prudenziali non sia praticabile o perchè il prodotto sia contenuto in una confezione sigillata o perchè la facile deperibilità dell’alimento non consenta l’esecuzione dei controlli sulla sua composizione in quanto, nelle more di questi, il prodotto diverrebbe inevitabilmente non più commestibile” (Sez. 6, n. 11390 del 29/09/1993, Bellarosa, Rv. 196756; Sez. 6, n. 5461 del 13/03/1986, Zavaglia, Rv. 173103);

4.7. “in tema di commercializzazione di prodotti alimentari (ortofrutticoli) sfusi ai fini della configurabilità del reato previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5 è irrilevante che il commerciante sia rimasto estraneo al processo produttivo, atteso che anch’esso è destinatario del precetto penale che impone l’adozione di ogni cautela al fine di evitare l’immissione in commercio di un prodotto non regolamentare; ne consegue che la responsabilità può essere esclusa solo ove, quantomeno periodicamente, siano stati eseguiti controlli a campione su ciascuna delle categorie di prodotti acquistati per la rivendita o sia stata richiesta al produttore la prova di tali indagini” (Sez. 3, n. 37835 del 19/09/2001, Loggia D, Rv. 220347; Sez. 3, n. 43829 del 16/10/2007, Idri, Rv. 238263).

4.8.”quando un prodotto alimentare sia confezionato all’estero, e provenga da un produttore straniero non soggetto alla legge penale italiana (e pertanto non obbligato ad osservare le prescrizioni vigenti in materia al fine di prevenire il pericolo di frodi o di danno alla salute dei consumatori), l’importatore-commerciante all’ingrosso o al dettaglio, che opera sul territorio nazionale, non può ritenersi legittimato a presumere l’adempimento, da parte del produttore straniero, di obblighi giuridicamente inesistenti a carico di quest’ultimo. In tal caso non opera l’esimente speciale prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 19 perchè l’importatore è tenuto a verificare personalmente, prima del compimento di qualsiasi atto di commercio, la conformità del prodotto o dei componenti ai requisiti di legge” (Sez. 6, n. 1585 del 15/11/1972, Rinaldi, Rv. 123346; Sez. 3, n. 7700 del 01/07/1997, Rittà, Rv. 209089; Sez. 3, n. 7214 del 14/0571998, Cattaneo, Rv. 211200; Sez. 3, n. 6323 del 26/03/1999, Lombardini, Rv. 213748; Sez. 3, n. 3712 del 20/12/2004, Gramellini, Rv. 230671; Sez. 3, n. 7383 del 04/11/2014, Barile, Rv. 262407; in tema, altresì, Sez. 3, n. 2205 del 04/10/2005, Moine, Rv. 233006, secondo cui l’obbligo di introdurre nel nostro paese sostanze alimentari rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle disposizioni in materia, grava anche nei confronti dell’importatore di prodotti alimentari confezionati in paesi dell’Unione Europea, e la sua inottemperanza determina la responsabilità dello stesso a titolo di colpa in relazione alle ipotesi di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5 configurabile ancor prima dell’effettiva messa in commercio del prodotto alimentare sul territorio nazionale, atteso che il limite alla libertà di circolazione dei prodotti nell’ambito dell’Unione è legittimamente configurabile a salvaguardia della salute pubblica).

4.9.In conclusione; a) la società “NOV.AL” avrebbe dovuto comunque eseguire in modo autonomo i controlli e gli esami sui prodotti importati dall’estero (nel caso in esame la Spagna); b) la decisione di non eseguire detti controlli facendo affidamento alle analisi eseguite dalla stessa società estera (non importa se tramite laboratori a quest’ultima esterni) appartiene ai vertici societari e non manda esenti da colpa gli odierni ricorrenti.

4.10.Ne consegue che i ricorsi devono essere respinti.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Csì deciso in Roma il 28 febbraio 2017.

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen. sez. 3 sent. n. 19604-2017