Aria. Emissioni in atmosfera per allevamento di esche vive. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 41530 del 12 settembre 2017 (ud. del 15 dicembre 2016)

Pres. Ramacci, Est. Gentili

Aria. Emissioni in atmosfera. Allevamento di esche vive. Artt. 269, 279 d. lgs. n. 152/2006.

L’attività di allevamento di esche vive è produttiva di emissioni in atmosfera, come emerge dalla sua stessa natura, essendo l’allevamento di esche vive, cioè di larve di insetti (nella specie si tratta di mosca carnaria), inevitabilmente produttivo, se condotto su base industriale, di gas inquinanti derivanti dallo stesso ciclo vitale degli insetti, i quali si cibano di carne putrefatta, nonché dalla decomposizione del loro terreno di coltura (trattandosi nella fattispecie di carcasse di polli morti).

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 41530 del 12 settembre 2017 (ud. del 15 dicembre 2016)

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Forlì, ha dichiarato, con sentenza del 27 ottobre 2014, la penale responsabilità di Vita Emanuele in ordine ai reati a lui contestati ai capi a) e b) della rubrica elevata nei suoi confronti, assolvendolo, invece, con la formula della insussistenza del fatto, quanto al reato a lui contestato sub c) della rubrica medesima e condannandolo, pertanto, previa riunificazione dei reati per cui è intervenuta la dichiarazione di responsabilità sotto il vincolo della continuazione, alla pena di euro 15.000,00 di ammenda.

Al prevenuto era stata contestata la violazione sia degli artt. 269, comma 1, e 279, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006, in quanto, nella qualità di legale rappresentante della VGMD di Vita Emanuele, impresa esercente l’attività di produzione di esche vive, proseguiva nello svolgimento della propria attività pur in epoca successiva alla intervenuta scadenza della autorizzazione a suo tempo rilasciatagli per lo svolgimento di essa, sia degli artt. 192, comma 1, 256, commi 1, lettera a), e 2, del dlgs n. 152 del 2006, in quanto, nella predetta qualità, depositava sul suolo due cumuli di carniccio esausto, l’uno del volume di circa mc 108, l’altro del volume di mc 658, in tal modo creando fenomeni di impaludamento e ruscellamento nel terreno ove tali materiali erano depositati e teneva, nei pressi di un capannone pertinente alla impresa da lui gestita, materiali in disuso in istato di abbandono costituenti un deposito incontrollato di rifiuti; per tali condotte il prevenuto veniva riconosciuto penalmente responsabile; come accennato lo stesso veniva, invece, assolto per insussistenza del fatto quanto alla imputazione avente ad oggetto la violazione dell’art. 734 cod. pen., in ipotesi commessa attraverso la condotta di cui al capo b) della rubrica.

Avverso la detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Vita, tramite il patrocinio del suo difensore di fiducia, articolando tre motivi di doglianza. Il primo di essi concerne il vizio di violazione di legge ovvero la contraddittorietà della motivazione in merito alla sussistenza degli elementi integrativi della fattispecie di reato contestata sub a) della rubrica, non essendo stata né accertata né provata la esistenza delle immissioni in atmosfera caratteristiche del reato di cui all’art. 269 del d. lgs. n. 152 del 2006.

Il secondo motivo concerne a sua volta il travisamento della prova ovvero la contraddittorietà della motivazione in relazione alla qualificazione della 2 condotta di cui al capo b) della rubrica come costituente non un deposito incontrollato ma un deposito temporaneo in attesa di smaltimento.

Infine il terzo motivo di impugnazione ha ad oggetto la denunzia di illegittimità della sentenza impugnata per non essere state indicate le ragioni che avevano indotto il giudicante ad determinare nella entità irrogata la sanzione a carico dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

Osserva il Collegio, quanto al primo motivo di impugnazione, che l’art. 269, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006, in relazione al quale l’eventuale trattamento sanzionatorio in caso di violazione dei precetti in esso contenuti è dettato dal successivo art. 279 del medesimo dlgs n. 152 del 2006, prevede, sotto la comminatoria delle sanzioni appunto previste dal citato art. 279 in caso di violazione del precetto in questione, che debba munirsi di apposita autorizzazione all’esercizio della impresa colui il quale gestisca uno stabilimento dal quale promanino emissioni in atmosfera. Secondo le definizioni dettate dal precedente art. 268 del citato d. lgs. n. 152 del 2006, si intende per inquinamento atmosferico: “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente”; mentre costituisce emissione in atmosfera, qualsiasi sostanza, solida, liquida o gassosa, introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico.

Che nel caso di specie l’attività condotta dal Vita fosse produttiva di emissioni in atmosfera, come accertato in sede di merito, deriva dalla sua stessa natura, essendo l’allevamento di esche vive, cioè di larve di insetti (nella specie si tratta di mosca carnaria), inevitabilmente produttivo, se condotto su base industriale, di gas inquinanti derivanti dallo stesso ciclo vitale degli insetti, i quali si cibano di carne putrefatta, nonché dalla decomposizione del loro terreno di coltura (trattandosi nella fattispecie di carcasse di polli morti); d’altra parte è ragionevole indice dimostrativo del fatto che siffatta autorizzazione fosse necessaria la circostanza che per il passato il Vita ne fosse stato titolare, sia pure a titolo provvisoria, e che la illegittimità della condotta a lui attribuita è consistita, appunto, nell’aver proseguito nella sua attività pur in epoca successiva alla scadenza della autorizzazione rilasciata a titolo provvisorio.

Riguardo al secondo motivo di impugnazione, relativo alla qualificazione del deposito di rifiuti di cui al capo b) della rubrica come deposito incontrollato e non come deposito temporaneo, come sostenuto dal ricorrente, osserva la Corte come la attribuzione della qualifica di deposito temporaneo ad una raccolta di rifiuti è subordinata ad una serie di requisiti – la cui presenza è, peraltro, oggetto di onere della prova a carico del prevenuto trattandosi di disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria (Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 agosto 2016, n. 35494) – puntualmente elencati all’art. 183, lettere bb), del dlgs n. 152 del 2006, fra le quali appaiono essere ora significativamente rilevanti quelle di cui ai nn. 2) e 3) della richiamata elencazione in forza delle quali il deposito temporaneo non può comportare una giacenza di materiali superiori ai 30 mc e per periodi di regola non superiori a tre mesi e comunque nel rispetto delle norme tecniche concernenti il deposito delle tipologie di rifiuto in questione.

Nel caso di specie non solo i residui della stabulazione delle larve di insetto erano ammassati in assenza di presidi volti preservare il terreno sottostante da pericoli di inquinamento, come dimostrato dalla esistenza dei fenomeni di ruscellamento ed impaludamento segnalati nel non contestato capo di imputazione, ma la loro quantità era macroscopicamente esuberante rispetto a quella massima consentita ai fini della predetta, malamente invocata dal ricorrente, qualificazione.

Con riferimento, infine, al terzo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la censura in ordine alla motivazione sulla entità della pena, osserva la Corte che la contravvenzione contestata al Vita al capo b) della rubrica, ritenuta la più grave fra le violazioni commesse in continuazione fra loro e, pertanto, costituente la base sanzionatoria sulla quale computare la pena complessiva da irrogare al prevenuto, prevede, quanto alla pena pecuniaria (alternativa a quella detentiva), unica concretamente irrogata al Vita, una forcella edittale che oscilla fra la ammenda di euro 2600,00 e quella di euro 26.000,00; la pena concretamente inflitta, collocata pertanto nei pressi del medio edittale, appare del tutto congrua ove si considerino (come evidentemente, fatto dal giudice del merito), quali elementi rilevanti ai fini di cui all’art. 133 cod. pen., sia la non certo ridotta entità della massa di rifiuti accumulata dal Vita, pari a diverse centinaia di mc, sia la sua personalità decisamente poco rispettosa delle esigenze connesse al rispetto dell’ambiente, come espressamente evidenziato dal Tribunale di Forlì, quale rappresentata dalla presenza, non contestata, di precedenti penali specifici a carico dell’imputato. Anche il motivo in questione è, pertanto, del tutto inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 15 dicembre 2016.

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen. sez. 3 sent. n. 41530-2017