Inquinamento idrico. Nozione di acque reflue industriali e scarico, reflui provenienti da officina meccanica come scarichi industriali. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5751 del 8 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)

Pres. Ramacci, Est. Graziosi

Inquinamento idrico. Acque. Nozione di acque reflue industriali. Scarico di acque reflue industriali. Assenza di autorizzazione. Fattispecie: reflui provenienti da officina meccanica automobilistica. Art. 137, comma 1 d.lgs. n. 152/2006. Giurisprudenza. Elementi probatori. Principio della motivazione implicita.

Ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 137, d. lgs. n. 152/2006, rientrano nella nozione di acque reflue industriali tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive (sul tema, Cass. sez. III, 02/10/2014 -23/01/2015 n. 3199; Cass. sez. III, 05/02/2009 n. 12865 e Cass. sez. III, 01/07/2004 n. 35870).  È d’altronde del tutto ovvio che le acque reflue provenienti da un’area di lavoro come quella che è una officina meccanica assimilano la natura industriale della attività che su tale area si esercita, per cui non possono non rientrare nella categoria delle acque reflue industriali. Nel caso di specie, la vasca di lavaggio risultava ubicata nell’area di lavoro e destinata anche allo scarico delle acque di lavorazione, per cui, considerato il tipo delle sostanze impiegate nella lavorazione (olii sintetici, combustibili, derivati del petrolio etc.), andava certamente esclusa l’assimilabilità a “servizi igienici, cucine e mense”.
Il giudice di merito non ha obbligo nella motivazione di menzionare tutti gli elementi probatori, essendo tenuto esclusivamente ad esternare la sua valutazione su quelli decisivi rispetto alla struttura accertatoria descritta appunto con l’apparato motivazionale, per il resto valendo il principio della motivazione implicita (cfr. per esempio, ( Cass. sez. I, 22/05/2013 n. 27825; Cass. sez. II, 8/02/2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19/10/2012 n.49970; Cass. sez.I, 19/10/2011 n. 41738; Cass. sez. IV, 13/05/2011 n. 26660 e Cass. sez. VI, 4/05/2011 n. 20092; Cass. sez. VI, 2/12/2010 n. 45036).
Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5751 del 8 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 
sul ricorso proposto da: COMETA MICHELE nato il 20/08/1974 a TARANTO;
avverso la sentenza del 17/11/2015 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TARANTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2016, la relazione svolta dal Consigliere CHIARA GRAZIOSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del STEFANO TOCCI che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi difensor Avv. //;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 novembre 2015 il G.u.p. del Tribunale di Taranto ha condannato alla pena di pena di € 800 di ammenda Michele Cometa per il reato di cui all’articolo 137, primo comma, d. lgs.152/2006 per scarico di acque reflue industriali provenienti dalla sua attività (officina meccanica automobilistica) in assenza di autorizzazione.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di tre motivi, primo e il terzo denuncianti in rubrica violazione di legge e il secondo vizio motivazionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 606, primo comma, lettera b), c.p.p., violazione degli articoli 137, primo comma, d.lgs. 152/2006 e 2 d.p.r. 227/2011.
Il giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto del tipo di acque reflue, da ritenersi terzo rispetto alle acque domestiche e alle acque industriali, ai sensi dell’articolo 2 d.p.r. 227/2011, e non avrebbe correttamente identificato come acque reflue industriali quelle provenienti dai due lavabi dell’officina, su cui sarebbe stato apodittico nell’affermare che fossero contaminate da sostanze inquinanti. Non avrebbe altresì tenuto conto che l’imputato, stipulando una convenzione con la ditta Ecologica Sud per smaltire vari elementi relativi alla sua attività, avrebbe posto in essere tutti comportamenti necessari per la tutela della salute pubblica; per di più avrebbe anche chiesto un parere all’Asl.
3.1.2 Anzitutto, deve rilevarsi che non corrisponde all’effettivo contenuto della motivazione della sentenza impugnata la pretesa non considerazione dell’articolo 2 d.p.r. 227/2011. Invero, il ricorrente ripropone in questa sede quanto aveva già addotto come sostegno della sua difesa dinanzi al primo giudice. Infatti, quest’ultimo dà atto che la difesa aveva contestato la fondatezza dell’accusa tra l’altro evidenziando che “non si tratta di acque reflue industriali, in quanto – ai sensi dell’art.2, lett. b), D.P.R. n. 227/2011 – “sono assimilate alle acque reflue domestiche … le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazioni di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense” “. Il Tribunale aveva correttamente confutato tale argomentazione osservando che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito che ai fini della integrazione del reato contestato rientrano nella nozione di acque reflue industriali tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive (viene richiamato, con pertinenza, il più recente arresto massimato sul tema, Cass. sez. III, 2 ottobre 2014-23 gennaio 2015 n. 3199; sulla stessa linea v. pure Cass. sez. III, 5 febbraio 2009 n. 12865 e  Cass. sez. III, 1 luglio 2004 n. 35870). E ha quindi rilevato che, nel caso di specie, la vasca di lavaggio “risulta ubicata nell’area di lavoro e destinata … allo scarico, attraverso di essa, delle acque di lavorazione” per cui, “considerato il tipo di quest’ultima e di sostanze impiegate in essa (olii sintetici, combustibili, derivati del petrolio etc.), ne va certamente esclusa l’assimilabilità a “servizi igienici, cucine e mense” “. È d’altronde del tutto ovvio che le acque reflue provenienti da un’area di lavoro come quella che è una officina meccanica assimilano la natura industriale della attività che su tale area si esercita, per cui non possono non rientrare nella categoria delle acque reflue industriali.
3.1.3 Nella seconda parte, il motivo sostanzialmente contesta che l’imputato abbia posto in essere una condotta illecita, richiamando il suo contratto con la ditta Ecologica Sud e il suo essersi rivolto alla Asi. Anche qui si è di fronte ad una riproposizione della difesa avanzata in primo grado, che è stata adeguatamente considerata e confutata dal Tribunale; ma soprattutto si discende su un piano direttamente fattuale, negando che sussista la prova, appunto, della condotta contestata al Cometa. Se, dunque, la prima parte della censura risulta manifestamente infondata, questa seconda non può che definirsi inammissibile per fattualità.
3.2 Il secondo motivo non si discosta, a ben guardare, dalla inammissibilità della seconda parte del vivo precedente. Si denuncia motivazione “non fedele” alle risultanze processuali, onde vi sarebbe violazione dell’articolo 606, primo comma, lettera e), c.p.p. per “contraddittorietà processuale” (sic). Ad avviso del ricorrente, il giudice di merito avrebbe omesso di valutare tutte le risultanze che, se invece lo fossero state, avrebbero portato all’assoluzione del Cometa. Non vi sarebbe prova che Ecologica Sud non smaltisse le acque reflue in questione; e vengono indicati vari elementi fattuali per concludere, infine, che la motivazione della sentenza sarebbe “assolutamente illogica e sconnessa dalle risultanze processuali”.
Si tratta, ictu oculi, di una inammissibile proposta di valutazione alternativa degli esiti del compendio probatorio, fermo l’ovvio principio che il giudice di merito non ha obbligo nella motivazione di menzionare tutti gli elementi probatori, essendo tenuto esclusivamente ad esternare la sua valutazione su quelli decisivi rispetto alla struttura accertatoria descritta appunto con l’apparato motivazionale, per il resto valendo il principio della motivazione implicita (cfr. per esempio, (v. Cass. sez. I, 22 maggio 2013 n. 27825; Cass. sez. II, 8 febbraio 2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2012 n.49970; Cass. sez.I, 19 ottobre 2011 n. 41738; Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n. 26660 e Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092; Cass. sez. VI, 2 dicembre 2010 n. 45036). E nel caso in esame la motivazione offerta dal Tribunale è completa e adeguata.
3.3 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 606, primo comma, lettera b), c.p.p., violazione dell’articolo 47 c.p., adducendo che, qualora il giudice di legittimità ritenesse provata la natura di acque reflue industriali delle acque scaricate dal Cometa nel lavabo dell’antibagno e nel bucataio dell’officina, dovrebbe comunque tenere conto del parere favorevole della Asi, per cui tutt’al più vi sarebbe stato un errore incolpevole e la condotta del Cometa sarebbe quindi stata una condotta lecita.
È sufficiente la sintesi appena tracciata del motivo per evidenziarne la natura direttamente fattuale, diretta ad ottenere dal giudice di legittimità una valutazione probatoria, il che lo rende inammissibile.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2016