DANNO AMBIENTALE: differenza con il danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette e meccanismi della procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali. Cassazione Penale n. 52258/2021.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 25528 del 6 luglio 2021 (ud. dell’11 dicembre 2020)

Pres. Andreazza, Est. Aceto

Danno ambientale. Differenza con il danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Estinzione delle contravvenzioni ambientali. Scopo della prescrizione. Artt. 318-bis e segg. d. lgs. n. 152/2006.

Il danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette di cui all’art. 318-bis, d. lgs. n. 152 del 2006, non si identifica con il “danno ambientale” di cui all’art. 300, stesso decreto. Il meccanismo delineato dagli artt. 318-bis e segg., d. lgs. n. 152 del 2006, è volto a stabilire la sequenza degli atti prodromici all’estinzione delle contravvenzioni previste e punite dal d. lgs. n. 152 del 2006, non a condizionare l’esercizio dell’azione penale. Lo scopo della prescrizione è quello di «eliminare la contravvenzione accerta» (così testualmente l’art. 318-ter, comma 1, d. lgs. n. 152 del 2006), non di subordinare al suo adempimento la procedibilità dell’azione; la sospensione del procedimento, dall’iscrizione della notizia di reato alla definizione della procedura conseguente all’adozione della prescrizione, è volta a impedire inutili processi ed evitabili pendenze giudiziarie

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 25528 del 6 luglio 2021 (ud. dell’11 dicembre 2020)

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Cosimo Mastrangelo ricorre per l’annullamento della sentenza del 14/05/2020 della Corte di appello di Firenze che, in parziale riforma della sentenza del 07/05/2018 del Tribunale di Arezzo, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, applicate le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena nella misura di un anno di arresto confermando, nel resto, la sua condanna per il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 perché, quale legale rappresentante della «Società Agricola Edileagraria S.r.l.», aveva realizzato un deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi (un furgone, un veicolo furgonato, numerosi diagrammi filtranti per la spremitura delle olive, cumuli di materiali inerti costituiti da tegole, asfalto, laterizi e guaine coibentanti, carrello rimorchio contenente laterizi, tegole e inerti, rifiuti di polistirolo, plastica, metallo e tubazioni di plastica e gomma). Il fatto è contestato come accertato in Terranuova il 16/12/2015.

1.1. Con il primo motivo, allegando, in fatto, che il sequestro preventivo gravante sull’area di stoccaggio dei rifiuti gli aveva impedito di provvedere alla eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato (nel caso di specie, peraltro, insussistenti), deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 318-bis e segg., d.lgs. n. 152 del 2006, e il vizio di omessa e manifesta illogicità della motivazione che ha escluso la possibilità di applicare la speciale causa estintiva del reato prevista dall’art. 318-septies, d.lgs. n. 152 del 2006, anche successivamente all’esercizio dell’azione penale.

1.2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e il vizio di di omessa e manifesta illogicità della motivazione che ha escluso l’applicazione della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che i Carabinieri del NOE che avevano proceduto al sequestro preventivo dell’area di stoccaggio dei rifiuti avevano altresì denunciato la mancanza di pavimentazione dell’area stessa, il contatto diretto dei rifiuti con il suolo e la loro esposizione agli agenti atmosferici, con conseguente sussistenza di un danno (o comunque di un pericolo concreto e attuale di danno) alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette, ostativo all’emanazione della prescrizione di cui agli artt. 318-ter e segg., d.lgs. n. 152 del 2006. Decisione avallata dal primo Giudice sul rilievo che il deposito incontrollato aveva generato un percolamento sul suolo. L’applicazione del meccanismo estintivo del reato disciplinato dagli artt. da 318-bis a 318-octies, d.lgs. n. 152 del 2006, aveva affermato il Tribunale, presuppone la sussistenza delle condizioni di applicabilità stabilite dall’art. 318-bis per il quale è necessario che le contravvenzioni sanzionate dal d.lgs. n. 152, cit, non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. E’ pur vero che, con riferimento ai soli due veicoli, il Tribunale aveva escluso il percolamento di liquidi quali oli, benzina e refrigeranti (ma resta il dato del percolamento provocato dagli altri rifiuti) e tuttavia aveva dato atto che il fatto aveva creato un danno o comunque un pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (pagg. 4 e 5).

2.1. Nel proporre appello, l’imputato aveva dedotto, tra l’altro, l’insussistenza del percolamento e di un danno ostativo all’estinzione del reato osservando che il danno al quale fa riferimento l’art. 318-bis, d. lgs. n. 152 del 2006, è quello definito dall’art. 300, d. lgs. n. 152 del 2006, a norma del quale «è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata a quest’ultima». La Corte di appello ha respinto la deduzione difensiva sul duplice rilievo che: a) il meccanismo estintivo delle contravvenzioni di cui alla citata parte VI bis, d.lgs. n. 152 del 2006, non è applicabile dopo l’esercizio dell’azione penale; b) in ogni caso, al momento della presentazione dell’istanza di oblazione il contravventore non aveva eliminato o comunque modificato la situazione ambientale creata.

2.2. Tanto premesso, la prima osservazione della Corte di appello non è condivisibile; lo è, per quanto si dirà, la seconda.

3. La parte VI bis del d.lgs. n. 152 del 2006 – Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, contenente gli artt. da 318-bis a 318-octies – è stata introdotta dall’art. 1, comma 9, legge n. 68 del 2015. Il meccanismo estintivo delle contravvenzioni punite dal d.lgs. n. 152 del 2006 segue lo stesso schema procedurale delineato dagli artt. 19 e segg., d.lgs. n. 758 del 1994 per le contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro.

3.1. L’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, pone una precisa linea di confine di tale meccanismo limitandone l’ambito applicativo alle sole contravvenzioni previste dal medesimo decreto n. 152, a condizione che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Ne restano esclusi, pertanto, i delitti contro l’ambiente previsti dal Titolo Sesto-Bis, del Libro II del codice penale, anch’esso inserito dalla legge n. 68 del 2015.

3.2. Quanto all’ulteriore elemento selettivo, il danno cui fa riferimento l’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, esso non si identifica, come invece vorrebbe il ricorrente, con il “danno ambientale” di cui all’art. 300, stesso decreto, che ha natura ben più ampia e consistente ed è soggetto, in caso di minaccia del suo verificarsi o dopo che si sia verificato, rispettivamente alle azioni di prevenzione o di ripristino ambientale di cui agli artt. 304, 305, 306 e 306-bis, d.lgs. n. 152 del 2006. Il danno ambientale di cui all’art. 300, cit., si può ben identificare con l’evento del delitto di inquinamento ambientale o, in caso di irreversibilità, con l’evento del delitto di disastro ambientale. L’utilizzo, a fini definitori, di termini quali: «qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima», pressoché sovrapponibili a quelli utilizzati per descrivere l’evento del delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen. («una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna») rende ragione del fatto che il danno di cui all’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, non necessariamente deve avere le caratteristiche di quello definito dall’art. 300, stesso decreto potendo avere dimensioni e consistenza ben minori. L’eliminazione del rischio del “danno ambientale” o il ripristino ambientale di cui agli artt. 304 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, non determinano l’estinzione del reato; nei soli casi previsti dall’art. 452-decies cod. pen. la bonifica o il ripristino dello stato dei luoghi costituisce circostanza attenuante. Sotto altro profilo, il danno (o il pericolo di danno) di cui all’art. 318-bis, cit., può riguardare anche le risorse urbanistiche o paesaggistiche protette, non solo le matrici indicate dall’art. 300, d.lgs. n. 152 del 2006.

3.3. Si può conclusivamente affermare che il danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette di cui all’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, non si identifica con il “danno ambientale” di cui all’art. 300, stesso decreto.

3.4. Quanto alla procedura estintiva, l’art. 318-ter, “Prescrizioni”, è sostanzialmente sovrapponibile all’art. 20, d.lgs. n. 758 del 1994: in entrambi i casi «allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario» (nel caso previsto dall’art. 318-ter, d.lgs. n. 152 del 2006, la prescrizione deve essere «tecnicamente asseverata»). Il termine può essere prorogato, «a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero»: a) «in presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella regolarizzazione» nel caso previsto dall’art. 318-ter; b) «per la particolare complessità o per oggettiva difficoltà dell’adempimento» nel caso previsto dall’art. 20. Il termine di sei mesi stabilito dall’art. 318-ter non è prorogabile; quello previsto dall’art. 20 è ulteriormente prorogabile di altri sei mesi quando «specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione». Identici sono i commi 2, 3 e 4 dei due articoli: «2. Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore. 3. Con la prescrizione l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose. 4. Resta fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale».

3.5. L’art. 318-quater – Verifica dell’adempimento – ripete alla lettera, salvo varianti linguistiche, il contenuto dell’omologo art. 21, d.lgs. n. 758 del 1994. Anche l’art. 318-quinquies – Notizie di reato non pervenute dall’organo accertatore – replica, quasi alla lettera, il contenuto dell’art. 22, d.lgs. n. 758 del 1994. L’art. 318-sexies – Sospensione del procedimento – importa il meccanismo sospensivo dell’azione penale già delineato dall’art. 23, d.lgs. n. 758 del 1994. Il diverso tenore letterale del comma secondo dell’art. 318-sexies  d.lgs. n. 152 del 2006 si spiega con il fatto che l’art. 15, d.lgs. n. 124 del 2004, ha esteso l’obbligo della prescrizione anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione (comma 3; si veda, sul punto, Sez. 3, n. 36405 del 18/04/2019, Rv. 276681-01, secondo cui la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale, prevista dagli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 si applica tanto alle condotte esaurite – come tali dovendosi intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore – quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l’illecito commesso prima dell’emanazione di prescrizioni. Già in precedenza la Corte costituzionale, con sentenza n. 19 del 1998, aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 758 del 1994, “nella parte in cui non prevede che possano essere ammessi alla definizione in via amministrativa con conseguente dichiarazione di estinzione del reato coloro i quali abbiano regolarizzato la violazione prima che l’autorità di vigilanza abbia impartito la prescrizione”, o “abbiano regolarizzato la violazione nonostante l’organo di vigilanza abbia omesso di impartire la prescrizione, ovvero l’abbia impartita senza osservare le forme legislativamente richieste”, osservando che, in base alla ‘ratio’ della disciplina e un’interpretazione costituzionalmente orientata, deve ritenersi consentita un’applicazione della disciplina in base alla quale, in caso di notizia di reato acquisita da un’autorità di polizia giudiziaria diversa dall’organo di vigilanza e di spontanea regolarizzazione da parte del contravventore, l’organo di vigilanza sia autorizzato ad impartire “ora per allora” la prescrizione prevista dall’art. 20, ovvero, ed a maggior ragione, a ratificare nelle forme dovute prescrizioni irritualmente impartite, nonchè a verificare l’avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e ad ammettere il contravventore al pagamento della somma determinata a norma dell’art. 21, commi 1 e 2, sì che l’autore dell’illecito, previo pagamento della somma stabilita, possa usufruire dell’estinzione del reato disciplinata dall’art. 24). L’art. 318-septies – Estinzione del reato – è sovrapponibile, quanto a contenuti, all’omologo art. 24, d.lgs. n. 758 del 1994. E’ tuttavia necessario precisare al riguardo che: a) l’adempimento tardivo della prescrizione deve comunque risultare congruo in relazione ai tempi imposti dall’organo di vigilanza o dalla polizia giudiziaria; b) l’adempimento tempestivo ma con modalità diverse da quelle specificamente prescritte e asseverate deve essere efficace e conseguire il medesimo risultato (eliminare la contravvenzione accertata); c) in entrambi i casi la somma da versare è pari alla metà del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (laddove il corretto e tempestivo adempimento della prescrizione asseverata comporta il pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa; ciò si spiega con la maggiore autorevolezza delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza derivante dall’imprimatur dell’ente specializzato competente in materia e con il fatto che l’adempimento tardivo e/o in violazione delle modalità tecniche specificamente prescritte non sortisce l’effetto deflattivo del dibattimento penale perseguito dagli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006); d) il meccanismo estintivo previsto dall’art. 318-septies, comma 3, presuppone che una prescrizione sia stata comunque impartita, potendo in alternativa l’imputato ricorrere all’istituto dell’oblazione speciale che, in quanto non alternativa al meccanismo estintivo qui esaminato, può essere esercitata non soltanto quando non ricorrano le condizioni per l’esperimento della procedura amministrativa prevista dal d.lgs. n. 152 del 2006, ma anche quando il contravventore abbia ritenuto di non avvalersene (cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 7878 del 10/01/2012, Rv. 252332 – 01; Sez. 3, n. 44369 del 24/10/2007, Rv. 238454 – 01).

4. La sostanziale sovrapponibilità dei procedimenti estintivi (espressamente riconosciuta da Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Rv. 277468 – 01) consente di applicare alle prescrizioni impartite ai sensi dell’art. 318-ter, d.lgs. n. 152 del 2006, i medesimi, consolidati principi di diritto affermati, da questa Corte di cassazione, in relazione alle prescrizioni impartite ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 758 del 1994, principi secondo i quali la prescrizione di regolarizzazione impartita dall’organo di vigilanza ex art. 20 del d.lgs. n. 758 del 1994, richiamato dall’art. 15 del d.lgs. n. 124 del 2004, non è un provvedimento amministrativo, ma un atto tipico di polizia giudiziaria, non connotato da alcuna discrezionalità, neppure tecnica, ed emesso sotto la direzione funzionale dell’autorità giudiziaria ex art. 55 cod. proc. pen., che si sottrae all’impugnazione davanti al giudice amministrativo, restando ogni questione devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario penale (Sez. 3, n. 14214 del 13/11/2019, dep. 2020, Rv. 279294 – 01; Sez. 3, n. 5864 del 18/11/2010, dep. 2011, Rv. 249566 – 01; Sez. 1, n. 1037 del 14/02/2000, Rv. 215391 – 01, secondo cui la prescrizione non è comunque mai autonomamente impugnabile; in senso conforme si vedano, altresì, Cass. civ., Sez. U, n. 3694 del 09/03/2012, Rv. 621896 – 01; Cass. civ., Sez. U, n. 19707 del 13/11/2012, Rv. 623888 – 01).

4.1. Sul piano testuale, l’espresso richiamo, contenuto anche nell’art. 318-ter, d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 55 cod. proc. pen. e alla funzione propria della polizia giudiziaria di impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori, conforta la conclusione che le prescrizioni impartite ai sensi dell’art. 318-ter, cit., sono atti di polizia giudiziaria non impugnabili dinanzi al giudice amministrativo.

4.2. Questa Corte di cassazione si è a lungo interrogata sulla obbligatorietà delle prescrizioni impartite a norma degli artt. 19 e segg., d.lgs. n. 758 del 1994, e sulle conseguenze della loro omessa adozione o di eventuali vizi o carenze della relativa procedura.

4.3. Secondo un primo indirizzo, la procedura di estinzione prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 758 del 1994 configura un’ipotesi di condizione di procedibilità dell’azione penale la cui completezza il giudice è tenuto ad accertare d’ufficio. In particolare, il giudice, prima di pronunciare sentenza di condanna per una delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa,  ossia: che l’organo di vigilanza abbia impartito al contravventore una apposita prescrizione fissando il termine necessario per la regolarizzazione; che l’organo di vigilanza non oltre sessanta giorni dalla scadenza di tale termine abbia verificato che la violazione sia stata eliminata secondo le modalità e nei termini prescritti; che in caso positivo l’organo di vigilanza abbia invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa nel termine di trenta giorni; che si sia comunicato al P.M., entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’inadempimento alla prescrizione stessa ovvero, entro centoventi giorni dal medesimo termine, che il contravventore sebbene abbia adempiuto alla prescrizione, non ha effettuato il pagamento della sanzione. Il processo rimane sospeso fino al momento in cui pervenga al P.M. una di tali comunicazioni, mentre in caso di adempimento alla prescrizione e di pagamento della sanzione il reato si estingue (Sez. 3, n. 43825 del 04/10/2007, Rv. 238260 – 01; Sez. 3, n. 11502 del 12/02/2002, Rv. 221091 – 01; Sez. 3, n. 13340 del 01/10/1998, Rv. 212484 – 01). Nell’ambito di questo indirizzo si è affermato che il mancato rispetto della procedura estintiva determina l’improcedibilità ‘tout court’ dell’azione penale, sì che al giudice sarebbe precluso ovviarvi assegnando all’imputato un termine per la regolarizzazione, dovendosi limitare a prendere atto del mancato perfezionamento della procedura (Sez. 3, n. 37228 del 15/09/2015, dep. 2016, Rv. 268050 – 01; Sez. 3, n. 34900 del 06/06/2007, Rv. 237199 – 01). Nell’ambito di questo orientamento si è affermato che il giudice, ferma restando l’insuperabilità dell’omessa adozione delle prescrizioni, può sopperire alle carenze del procedimento preordinato all’estinzione del reato assegnando esso stesso un termine per l’adempimento e il successivo pagamento dell’oblazione amministrativa (Sez. 3, n. 6331 del 20/01/2006, Rv. 233486 – 01; Sez. 3, n. 11502 del 2002, cit.).

4.4. Secondo un indirizzo più recente, l’omessa indicazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell’azione penale (Sez. 3, n. 7678 del 13/01/2017, Rv. 269140 – 01; Sez. 3, n. 20562 del 21/04/2015, Rv. 263751 – 01; Sez. 3, n. 5864 del 18/11/2010, Rv. 249566 – 01; Sez. 3, n. 26758 del 05/05/2010, Rv. 248097 – 01). Si è osservato che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 758 del 1994, la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata. Tale principio è stato espressamente applicato da Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Rv. 269140, anche alla procedura estintiva disciplinata dagli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, ancorché – si badi – l’oblazione assolta in sede giudiziaria ai sensi dell’art. 318-septies, comma 3, comporti il pagamento di una somma maggiore di quella dovuta in caso di corretto e tempestivo adempimento della prescrizione impartita ai sensi dell’art. 318-ter, cit.

4.5. La questione deve essere risolta mediante l’esame diretto delle norme che disciplinano il procedimento estintivo delle contravvenzioni in materia ambientale previste dal d.lgs. n. 152 del 2006. Tale scansione prevede dei passaggi ben precisi: a) accertamento del fatto-reato costitutivo del potere/dovere di impartire una prescrizione (contravvenzione che non ha cagionato danno, o pericolo concreto e attuale di danno, alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette; tale potere deve essere tenuto distinto dal dovere immanente di eliminare le conseguenze dannose e pericolose del reato che è rimesso all’iniziativa dell’autore del reato e non è subordinato all’emanazione di alcuna prescrizione); b) adozione della prescrizione asseverata che indichi, ai fini della regolarizzazione, l’oggetto dell’obbligazione e il termine per il suo adempimento; c) contestuale comunicazione al PM del fatto-reato e della prescrizione con obbligo di immediata iscrizione della “notitia criminis”; d) verifica, alla scadenza del termine, del corretto e tempestivo adempimento dell’obbligo (e dunque della eliminazione della violazione); e) in caso positivo: ammissione del contravventore al pagamento, entro trenta giorni, di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione; pagamento tempestivo dell’oblazione; comunicazione al PM dell’avvenuto pagamento (o, in alternativa, del mancato pagamento); f) in caso negativo: comunicazione al PM dell’inadempimento della prescrizione; g) sospensione del procedimento penale dalla data di iscrizione della notizia di reato fino alla comunicazione di uno degli esiti indicati alle lettere e) ed f) che precedono. L’adozione della prescrizione non preclude l’autonoma iniziativa del PM che ben può chiedere l’archiviazione del procedimento se ritiene l’infondatezza della notizia di reato (art. 318-sexies, d.lgs. n. 152 del 2006) oppure esercitare l’azione penale se ritiene che la contravvenzione non sia estinguibile a cagione del danno già provocato ovvero del pericolo concreto e attuale di danno.

4.6. Il meccanismo delineato dagli artt. 318-bis e segg., d.lgs. n. 152 del 2006, è volto a stabilire la sequenza degli atti prodromici all’estinzione delle contravvenzioni previste e punite dal d.lgs. n. 152 del 2006, non a condizionare l’esercizio dell’azione penale. Lo scopo della prescrizione è quello di «eliminare la contravvenzione accerta» (così testualmente l’art. 318-ter, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006), non di subordinare al suo adempimento la procedibilità dell’azione; la sospensione del procedimento, dall’iscrizione della notizia di reato alla definizione della procedura conseguente all’adozione della prescrizione, è volta a impedire inutili processi ed evitabili pendenze giudiziarie. Il PM ed il Giudice, infatti, sono totalmente estranei al rapporto che si instaura tra il contravventore e l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria che impartisce le prescrizioni, senza che il rappresentante della pubblica accusa possa interloquire sulle modalità e contenuti dell’obbligo (asseverati esclusivamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata), né sui tempi dell’adempimento. Eventuali proroghe, infatti, possono essere accordate al contravventore direttamente dall’organo di vigilanza e sono comunicate al PM a soli fini informativi, non allo scopo di aprire un’interlocuzione con lui (art. 318-ter, d.lgs. n. 152 del 2006). Allo stesso modo, il PM che acquisisca ‘aliunde’ la notizia di una contravvenzione astrattamente oblabile, dopo averla iscritta nel registro delle notizie di reato, la deve trasmettere all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria senza ulteriori deleghe o indicazioni di sorta; dell’esito di tale trasmissione egli deve essere solo tenuto informato (art. 318-quinquies, d.lgs. n. 152 del 2006). Il sindacato sulla correttezza dell’operato dell’organo di vigilanza/polizia giudiziaria (o del PM che ometta la comunicazione di cui all’art. 318-quinquies) può (e deve) essere effettuato dal giudice penale; prova ne sia che l’adempimento tardivo (purché congruo) della prescrizione (e dunque l’inadempimento) oppure l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza (e, dunque, in violazione delle prescrizioni specificamente impartite) non ostano alla possibilità del contravventore di accedere all’oblazione (ancorché pagabile in misura superiore) sia in sede di indagini preliminari, sia in sede dibattimentale. Il giudice è tenuto a verificare in ogni momento la sussistenza dei presupposti non del corretto esercizio dell’azione bensì delle condizioni che consentono al contravventore di beneficiare del meccanismo estintivo del reato al di fuori dei casi previsti dall’art. 162-bis cod. pen.

4.7. L’esercizio dell’azione penale, dunque, non preclude la possibilità di avvalersi dello (o invocare lo) speciale meccanismo estintivo di cui agli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, quando di esso l’imputato non abbia potuto beneficiare per cause a lui non imputabili. In analogia con quanto prevede l’art. 162-bis cod. pen., la richiesta di avvalersi dello speciale meccanismo estintivo del quale l’imputato sia stato ingiustamente privato deve essere proposta al più tardi prima dell’apertura del dibattimento e, se respinta, riproposta prima dell’inizio della discussione. Non sarebbe coerente con la finalità deflattiva (e a un tempo riparatoria del danno o del pericolo di danno) del meccanismo estintivo del reato consentire all’imputato di invocarne l’applicazione in ogni stato e grado del processo di merito.

4.8. Nel caso di specie la richiesta di applicazione del meccanismo estintivo, a dire del ricorrente erroneamente non iniziato per la sussistenza di un danno da lui contestato nella sua giuridica definizione (questione sulla quale la Corte di appello non si è pronunciata ma che, come visto, è infondata), era stata tempestivamente proposta in primo grado e reiterata in sede di discussione e quindi riproposta in appello. Osserva il Collegio che correttamente la richiesta era stata respinta sul rilievo dell’esistenza di un danno ostativo all’estinzione del reato e che, in ogni caso, il sequestro preventivo gravante sull’area non era di ostacolo alla eliminazione delle conseguenze pericolose o dannose della contravvenzione posto che nulla impediva all’imputato di chiedere sin da subito l’autorizzazione ad accedere all’area per eseguire le relative operazioni.

9. E’ infondato anche il secondo motivo.

9.1. La Corte di appello ha rigettato la richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto in considerazione del quantitativo di rifiuti stoccati (che provano – affermano i Giudici distrettuali – la reiterazione della condotta nel tempo), del ritardo con il quale l’imputato ha proceduto alla bonifica del terreno, del fatto che i rifiuti erano depositati su terreno non pavimentato ed erano stati esposti per mesi alle intemperie, del grave pericolo all’ambiente cagionato dall’imputato.

9.2. In disparte il richiamo alla abitualità della condotta, appare evidente che nella logica della decisione ha pesato l’entità del pericolo di danno all’ambiente ritenuto dalla Corte territoriale niente affatto esiguo in base ad un ragionamento che, diversamente da quanto afferma il ricorrente, non è manifestamente illogico. Non v’è infatti alcuna evidente frattura logica tra la premessa di fatto del ragionamento (quantitativo dei rifiuti, deposito per lungo tempo, accatastamento sul suolo non pavimentato) e le sue conclusioni (non modesta entità del danno); né il dato è scollegato dall’omessa rimozione dei rifiuti e bonifica del terreno cui non ostava, come detto, il sequestro dell’area interessata. Sotto questo profilo, la valorizzazione dell’accumulo dei rifiuti quale prova della reiterazione della condotta nel tempo rileva ai fini della modalità della condotta stessa quale valutabile ai sensi dell’art. 133, primo comma, n. 1), cod. pen., sotto il profilo dell’oggetto, del tempo e della modalità della condotta stessa.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, l’11/12/2020

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 25528-2021

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