Cass. Civ., Sezioni Unite, ord. 28284 del 21 luglio 2021 (ud. del 25 maggio 2021)
Pres. Curzio, Est. Grasso
Danno ambientale. Giuridizione del giudice ordinario in materia di danno ambientale.
In materia di danno ambientale, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del d. lgs. n. 152 del 2006, art. 310, le controversie derivanti dall’impugnazione, da parte dei soggetti titolari di un interesse alla tutela ambientale di cui al precedente art. 309, dei provvedimenti amministrativi adottati dal Ministero dell’ambiente per la precauzione, la prevenzione e il ripristino ambientale, restando invece ferma la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle cause risarcitorie o inibitorie promosse da soggetti ai quali il fatto produttivo di danno ambientale abbia cagionato un pregiudizio alla salute o alla proprietà, secondo quanto previsto dall’art. 313, comma 7, dello stesso d. lgs. L’eventualità che l’attività nociva sia svolta in conformità a provvedimenti autorizzativi della p.a. non incide sul riparto di giurisdizione (atteso che ai predetti provvedimenti non può riconoscersi l’effetto di affievolire diritti fondamentali dei terzi) ma esclusivamente sui poteri del giudice ordinario, il quale, nell’ipotesi in cui l’attività lesiva derivi da un comportamento materiale non conforme ai provvedimenti amministrativi che ne rendono possibile l’esercizio, provvederà a sanzionare, inibendola o riportandola a conformità, l’attività rivelatasi nociva perché non conforme alla regolazione amministrativa, mentre, nell’ipotesi in cui risulti tale conformità, dovrà disapplicare la predetta regolazione ed imporre la cessazione o l’adeguamento dell’attività in modo da eliminarne le conseguenze dannose (ordinanza n. 8092, 23/04/2020, Rv. 657588).
Cass. Civ., Sezioni Unite, ord. 28284 del 21 luglio 2021 (ud. del 25 maggio 2021)
FATTO E DIRITTO
ritenuto che la vicenda al vaglio, per quel che qui rileva, può sintetizzarsi nei termini seguenti:
– Severino Maria Franca, premettendo di essere proprietaria d’un immobile, in relazione al quale pativa molestie, consistenti in intollerabili immissioni di rumori ed esalazioni maleodoranti, nonché lamentando di essere costretta a subire il pregiudizio igienico derivante dalla presenza di insetti e topi, a causa di un vicino punto di raccolta per il conferimento di materiali di rifiuto, citò, davanti al Tribunale di Genova, Amiu Genova s.p.a., chiedendo che fosse ordinata la cessazione della molestia e la convenuta condannata al risarcimento del danno;
– l’adito Tribunale, con sentenza del 14/9/2017, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, affermando sussistere quella del giudice amministrativo;
– il TAR della Regione Liguria, davanti al quale la Severino riassunse la causa, con l’ordinanza di cui in epigrafe, solleva conflitto negativo di giurisdizione con il giudice ordinario, evidenziando, in sintesi, che a mente del combinato disposto dell’art. 133, comma 1, lett. p) e 7, cod. proc. amm., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie attinenti alla gestione del ciclo dei rifiuti, purché esse siano “riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere”; che la Cassazione aveva posto la distinzione tra atti e comportamenti diretti alla gestione del ciclo dei rifiuti, ivi incluse le scelte di localizzazione, di strutture e di caratteristiche tecniche, dalle concrete condotte di gestione che possano “evitare di condurre alle maleodoranti esalazioni eccedenti ogni normale tollerabilità” (S.U. n. 11142/2017); che, pertanto, non poteva condividersi la tesi del Tribunale, il quale aveva ricondotto al pubblico potere tutte le scelte relative alla gestione degli “Ecopunti”, cui conseguiva l’affermazione secondo la quale Amiu avrebbe agito sempre e comunque nell’esercizio di un pubblico potere, occorrendo, invece verificare, a parere del Giudice amministrativo, se “in concreto i comportamenti contestati siano o meno connessi a potestà pubbliche”; che, in applicazione del principio enunciato in sede di legittimità (vengono citate le decisioni delle S.U. n. 2052/2016 e n. 11142/2017), non era bastevole la finalità pubblica a determinare l’esercizio del potere, occorrendo che gli atti materiali contestati fossero “oggettivamente necessari per realizzare il risultato che l’esercizio del potere deve raggiungere”; che nel caso di specie la ricorrente, addebitando al gestore la violazione del regolamento comunale, emesso sulla base del D. lgs.n. 162 del 2006, art. 198, comma 2, lamentava comportamenti inadeguati quanto alla cura e alla gestione dei rifiuti, dai quali sarebbero derivate intollerabili immissioni, lesive anche del bene della salute, “risolvendosi le condotte dei soggetti deputati allo smaltimento ed oggetto di contestazione nella materiale estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa, allorquando non siano dettate particolari modalità esecutive o applicative tecniche direttamente nei provvedimenti della pubblica amministrazione che hanno organizzato il servizio, così non risultando in alcun modo coinvolto l’esercizio dei una potestà pubblicistica” (S.U. n. 11142/2017);
osserva:
– questa Corte ha chiarito che in materia di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonostante sussista la giurisdizione esclusiva amministrativa, già in virtù del d. lgs. n. 80 del 1998, art. 33, comma 2, lett. e), come modificato dalla L. n. 205 del 2000, ed oggi del d. lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. p), all. 1, appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda del privato che si dolga delle concrete modalità di esercizio del relativo ciclo produttivo, assumendone la pericolosità per la salute o altri diritti fondamentali della persona e chiedendo l’adozione delle misure necessarie per eliminare i danni attuali e potenziali e le immissioni intollerabili, atteso che la condotta contestata integra la materiale estrinsecazione di un’ordinaria attività di impresa, allorquando non siano dettate particolari regole esecutive o applicative tecniche direttamente nei provvedimenti amministrativi, sicché non risulta in alcun modo coinvolto il pubblico potere (S.U., n. 11142, 08/05/2017, Rv. 644050);
– dispone il d. lgs. n. 152 del 2006, art. 198, comma 2: “I comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità e in coerenza con i piani d’ambito adottati ai sensi dell’art. 201, comma 3, stabiliscono in particolare:
a) le misure per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani;
b) le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;
c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani ed assimilati al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi;
d) le norme atte a garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione di cui all’art. 184, comma 2, lett. f);
e) le misure necessarie ad ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare;
f) le modalità di esecuzione della pesata dei rifiuti urbani prima di inviarli al recupero e allo smaltimento;
g) l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ferme restando le definizioni di cui all’art. 184, comma 2, lett. c) e d)”.
Resta, quindi, devoluto alla p.a. l’esercizio del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani; ciò, tuttavia, non fa venir meno, come affermato dalla citata decisione n. 11142/2017, la giurisdizione ordinaria nel caso in cui il privato lamenti la lesione di un diritto soggettivo, e in primo luogo di quello alla salute, derivante dalle concrete modalità scelte dall’azienda incaricata dello smaltimento, non dipendenti da regole cogenti dettate dalla p.a..
In perfetta sintonia queste S.U., ancora successivamente, hanno precisato che in materia di danno ambientale, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del d. lgs. n. 152 del 2006, art. 310, le controversie derivanti dall’impugnazione, da parte dei soggetti titolari di un interesse alla tutela ambientale di cui al precedente art. 309, dei provvedimenti amministrativi adottati dal Ministero dell’ambiente per la precauzione, la prevenzione e il ripristino ambientale, restando invece ferma la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle cause risarcitorie o inibitorie promosse da soggetti ai quali il fatto produttivo di danno ambientale abbia cagionato un pregiudizio alla salute o alla proprietà, secondo quanto previsto dall’art. 313, comma 7, dello stesso d. lgs. L’eventualità che l’attività nociva sia svolta in conformità a provvedimenti autorizzativi della p.a. non incide sul riparto di giurisdizione (atteso che ai predetti provvedimenti non può riconoscersi l’effetto di affievolire diritti fondamentali dei terzi) ma esclusivamente sui poteri del giudice ordinario, il quale, nell’ipotesi in cui l’attività lesiva derivi da un comportamento materiale non conforme ai provvedimenti amministrativi che ne rendono possibile l’esercizio, provvederà a sanzionare, inibendola o riportandola a conformità, l’attività rivelatasi nociva perché non conforme alla regolazione amministrativa, mentre, nell’ipotesi in cui risulti tale conformità, dovrà disapplicare la predetta regolazione ed imporre la cessazione o l’adeguamento dell’attività in modo da eliminarne le conseguenze dannose (ordinanza n. 8092, 23/04/2020, Rv. 657588).
I principi sopra riportati non trovano reale contrasto in talune altre decisioni solo apparentemente di segno contrario (ci si riferisce, in ispecie, alle S.U. n. 22317/2013, n. 16304/2013 e n. 26913/2014), stante la non sovrapponibilità delle vicende portate al vaglio del giudice. Invero, nei casi da ultimo evocati si trattava di domande con le quali il privato contestava la complessiva gestione comunale del ciclo dei rifiuti, alla quale si addebitava di avere leso, in definitiva, la salubrità del territorio comunale.
Per contro, nel caso qui in esame la Severino lamenta la lesione del bene della salute e la lesione del diritto di godere del proprio immobile, a cagione delle concrete e specifiche scelte operative dell’azienda di gestione dei rifiuti (collocazione di un punto di raccolto nelle immediate vicinanze della propria abitazione e mala gestione dello stesso, così da essere fonte d’immissioni olfattive maleodoranti e di rumori, nonché fonte per la proliferazione di colonie d’insetti e roditori); scelte tutte lasciate all’iniziativa dell’impresa. Anche in relazione all’individuazione del sito ove collocare il punto di raccolta, come correttamente riporta l’ordinanza di rimessione, il regolamento comunale, posta la distanza massima di duecentocinquanta metri dall’ultimo numero civico, si limita a richiedere che lo spostamento debba “di massima essere concordato con la Circoscrizione competente per territorio”. Senza contare, peraltro, che, come affermato con l’ordinanza n. 8092/2020, sopra citata, ove l’attività nociva derivi dalla regolazione amministrativa il giudice ordinario dovrà disapplicare la predetta regolazione ed imporre la cessazione o l’adeguamento dell’attività in modo da eliminarne le conseguenze dannose.
Consegue a quanto esposto il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
La natura officiosa del procedimento esclude regolamento delle spese.
P.Q.M.
dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021
Scarica in pdf il testo dell’ordinanza: cass. civ., sez. unite, ord. n. 28284-2021
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