Danno ambientale: risarcimento del danno di natura pubblica, legittimazione processuale tra Stato e enti territoriali. Cassazione Penale, n. 6727/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 6727 del 12 febbraio 2018 (ud. del 22 novembre 2017)
Pres. Di Nicola, Est. Gai
Danno ambientale. Processi per reati ambientali. Risarcimento del danno ambientale di natura pubblica. Stato in via esclusiva (e per esso al Ministero dell’Ambiente). Legittimazione al risarcimento e esercizio dell’azione civile in sede penale. Art. 318 d. lgs n. 152/2006. Rifiuti. Reato di deposito incontrollato di rifiuti. Attività di stoccaggio di materiali. Inquinamento acustico. Getto pericoloso di cose. Art. 674 c.p. . Nozione deposito controllato o temporaneo. Luogo di produzione funzionalmente collegato all’impresa produttrice. Adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione. Differenza tra deposito preliminare, messa in riserva, deposito incontrollato o abbandono e discarica abusiva.  Artt. 183, 256 d. lgs n. 152/2006.
A seguito della abrogazione dell’art. 18, comma terzo, della legge n. 349 del 1986 derivante dall’entrata in vigore dell’art. 318, comma secondo, lett. a), del d. lgs. n. 152 del 2006, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006, spetta, in via esclusiva, allo Stato, e per esso al Ministero dell’Ambiente, che può esercitarla per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono esercitare l’azione civile in sede penale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva. Mentre, tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e le Provincie e agli enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. “per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale” (Cass. Sez. 3, n. 19437 del 17/02/2012, Miotti; idem Sezione 3, 21/10/2010, n. 41015).
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti è integrato in presenza di un’attività di stoccaggio di materiali costituiti «anche in parte da rifiuti», (rottura dei pezzi in seguito allo scarico frettoloso). (Cass. Sez. 3, n. 28890 del 24/03/2011, Trapletti; Sez. 3, n. 11802 del 29/01/2009, Berardi). Nella fattispecie, è stata affermata la penale responsabilità del ricorrente sul rilievo che i vari materiali di plastica oggetto dell’imputazione e classificati come rifiuti, erano certamente prodotti dall’attività di vivaista svolta dalla ditta del ricorrente ed erano stati depositati in modo incontrollato perché riversati in un’area di terzi, antistante al luogo ove si esercitava l’attività di vivaista e al di fuori di ogni controllo da parte del produttore, per circa due mesi, e senza alcuna cautela tant’è che vennero bruciati sprigionando fumi, con la conseguenza che il deposito non poteva definirsi temporaneo.
Per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel d.lgs n. 152 del 2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti e che solo in difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere considerato: 1) deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dal d.lgs n. 152 del 2006, art. 256 comma 1; 2) messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d.lgs n. 152 del 2006, art. 256 comma 1; 3) deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa. Quando l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi; Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni). Infine, in tema di gestione illecita dei rifiuti, il luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello che si trova nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione (Sez. 3, n. 8061 del 23/01/2013, Ercolani).

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 6727 del 12 febbraio 2018 (ud. del 22 novembre 2017)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Serra Salvatore, nato a Copertino il 22/04/1971;
avverso la sentenza del 10/02/2017 del Tribunale di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Francesca Buonopane in sost. avv. Giuseppe Rosafio che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10 febbraio 2017, il Tribunale di Lecce ha condannato Serra Salvatore, alla pena di € 4.000 di ammenda, perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 256 comma 1 d.lgs n. 152 del 2006 per avere, quale titolare della ditta individuale “Serra floricoltura di Serra Salvatore”, illecitamente effettuato un’attività di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da un grosso quantitativo di tubi di plastica del tipo per irrigazione, vasi e sottovasi di plastica prodotti e materiali similare, tutto danneggiato proveniente dalle attività vivaistica, che riversava in modo incontrollato sul terreno di proprietà di Serra Maria Rosaria sito nel comune di Galatina. Fatto commesso in Galatina in data antecedente prossima al 7 giugno 2012. Con la medesima sentenza Serra Salvatore era stato assolto per non aver commesso il fatto dal reato di cui all’art. 674 cod.pen. per avere incendiato parte dei rifiuti illegalmente smaltiti e così provocato emissioni di fumo in atmosfera. Il Tribunale ha altresì condannato l’imputato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita Provincia di Lecce, danni quantificati in via equitativa in € 10.000,00, oltre alla rifusione delle spese processuali dalla medesima sostenute.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Serra Salvatore, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. per avere il Tribunale ritenuto la natura di rifiuto del materiale plastico della ditta Serra Salvatore, spostato sul terreno antistante in ragione del fatto che erano in corso lavori di ristrutturazione, non considerando il portato delle dichiarazioni testimoniali rese dalle quali emergeva che il materiale era stato meramente spostato e il Serra non volveva disfarsene.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 256 e 183 comma 1 lett. bb) del d.lgs n. 152 del 2006. Il Tribunale avrebbe errato nella qualificazione del fatto quale deposito incontrollato, sull’erroneo presupposto che il materiale plastico depositato qualificabile come rifiuto ha erroneamente escluso che si trattasse di un deposito temporaneo alla luce del disposto di cui all’art. 183 comma 1 lett. bb) del d.lgs n. 152 del 2006, e ciò tenuto conto della brevità (circa 20 giorni) del deposito e dell’appartenenza dei rifiuti ad un’unica categoria merceologica omogenea secondo il codice CER.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile Provincia di Lecce. Argomenta il ricorrente che l’ente provinciale non sarebbe legittimato a costituirsi parte civile essendo la legittimazione in capo unicamente allo Stato e per esso al Ministero dell’Ambiente e contesta, comunque, l’assenza di prova del danno da parte dell’ente.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato con riguardo al terzo motivo di ricorso, inammissibile il primo, manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché contiene un vizio non riconducibile al novero di quelli di cui all’art. 606 cod.proc.pen. perché sollecita una rivalutazione del compendio probatorio in chiave alternativa alla ricostruzione operata dal giudice in punto qualificazione della natura di rifiuto dei beni oggetto della condotta illecita contestata.
Nel rammentare che le censure proposte dal ricorrente non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, rileva, il Collegio, che il giudice ha ritenuto la natura di rifiuto del materiale plastico sul rilievo che era costituito da prodotti, proveniente dalla attività lavorativa svolta dal ricorrente, già utilizzati, in parte danneggiati e destinati allo smaltimento, come confermato anche dai testimoni della difesa, sentiti nel corso del dibattimento, i quali avevano riferito sia dello stato di deterioramento dei materiali, già utilizzati e danneggiati, sia della necessità di una successiva selezione dei materiale ai fini dello smaltimento, sicchè il giudice del merito ha correttamente ritenuto che il materiale fosse da qualificarsi quale «rifiuto» ovvero di materiale che il detentore «si disfa o intende disfarsi o ha l’obbligo di disfarsi».
Ciò premesso, il giudicante ha argomentato, in modo congruo e corretto in diritto, la sussistenza della natura di rifiuti delle cose (materiale plastico depositato nell’area antistante la sua azienda vivaistica) e la sussistenza del reato sul rilievo che il reato di deposito incontrollato di rifiuti è integrato in presenza di un’attività di stoccaggio di materiali costituiti «anche in parte da rifiuti», motivazione a fronte della quale il ricorrente oppone una inammissibile rilettura del dato probatorio (rottura dei pezzi in seguito allo scarico frettoloso) non consentita in questa sede e che non esclude, in ogni caso, il reato contestato (cfr. Sez. 3, n. 28890 del 24/03/2011, Trapletti, non mass., Sez. 3, n. 11802 del 29/01/2009, Berardi, Rv 243402 secondo cui il reato di deposito incontrollato di rifiuti si configura ogniqualvolta si accerti un’attività di stoccaggio e smaltimento di materiali, costituiti anche in parte da rifiuti, abusivamente ammassati).
5. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La costante giurisprudenza della Corte di cassazione si è espressa nei termini correttamente esposti nella motivazione della sentenza impugnata, e non può in questa sede che ribadirsi il principio secondo cui l’accumulo di una quantità consistente di rifiuti (nella specie materiale di plastica costituito da vasi tubi in plastica proveniente dall’attività di vivaista del ricorrente) non corrisponde alla ipotesi, prospettata dal ricorrente, di deposito temporaneo o controllato, bensì alla ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti. Questa Corte ha affermato che, per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel d.lgs n. 152 del 2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti e che solo in difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere considerato: 1) deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dal d.lgs n. 152 del 2006, art. 256 comma 1; 2) messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d.lgs n. 152 del 2006, art. 256 comma 1; 3) deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa. Quando l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva ( cfr ex multis Sez. 3, Sentenza n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384; Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni, Rv. 245865). Ed ancora, questa Corte ha affermato, e recentemente ribadito che, in tema di gestione illecita dei rifiuti, il luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello che si trova nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione (Sez. 3, n. 8061 del 23/01/2013, Ercolani, 254754).
Sul punto il Tribunale è pervenuto ad affermare la penale responsabilità del ricorrente sul rilievo che i vari materiali di plastica oggetto dell’imputazione e classificati come rifiuti, erano certamente prodotti dall’attività di vivaista svolta dalla ditta del ricorrente ed erano stati depositati in modo incontrollato perché riversati in un’area di terzi, antistante al luogo ove si esercitava l’attività di vivaista e al di fuori di ogni controllo da parte del produttore, per circa due mesi, e senza alcuna cautela tant’è che vennero bruciati sprigionando fumi, con la conseguenza che il deposito non poteva definirsi temporaneo.
6. Il terzo motivo di ricorso è fondato per quanto qui esposto.
In linea generale gli interessi correlati al valore ambientale suscettibili di tutela innanzi al giudice ordinario possono essere fatti valere anche in sede penale mediante la costituzione di parte civile ai sensi degli artt. 185 e ss. cod.pen. e 22 cod.proc.pen.
Quanto ai soggetti legittimati, deve rammentarsi che, a seguito della abrogazione dell’art. 18, comma terzo, della legge n. 349 del 1986 derivante dall’entrata in vigore dell’art. 318, comma secondo, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006, spetta, in via esclusiva, allo Stato, e per esso al Ministero dell’Ambiente, che può esercitarla per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono esercitare l’azione civile in sede penale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva (Sez. 3, n. 24677 del 09/07 /2014, Busolin e altri, Rv. 264114; Sez. 3, n. 633 del 29/11/2011, Stigliani, Rv. 251906).
La corte di legittimità ha, peraltro, precisato che tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e le Provincie e agli enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. “per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale” (Sez. 3, n. 19437 del 17/02/2012, Miotti, Rv. 252909; idem Sezione 3, 21 ottobre 2010, n. 41015).
7. La sentenza impugnata va, dunque, annullata nella parte in cui ha condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita Provincia di Lecce, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M. 
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 22/11/2017
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