DANNO AMBIENTALE. Soggetti legittimati alla richiesta di risarcimento. Cassazione Penale n. 24677/2015.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 24677 del 11 giugno 2015 (ud. del 9 luglio 2014)
Pres. Fiale, Est. Gentili

Danno ambientale. Risarcimento del danno. Soggetti legittimati alla richiesta di risarcimento. Danno di natura pubblica. Esclusività allo Stato. Danno patrimoniale diverso da quello ambientale. Legittimazione degli enti pubblici territoriali minori. Art. 2043 c.c. .

Alla luce della normativa attualmente in vigore, spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell’Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente (la Corte ha, peraltro, precisato che tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e gli Enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 24677 del 11 giugno 2015 (ud. del 9 luglio 2014)

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

BUSOLIN Giovanni, nato a Venezia il 7 aprile 1964; CONTI Loris, nato a Rimini il 12 ottobre 1961; VELLA Enrico, nato a Nogara, il 17 settembre 1960;

nonché dalla seguenti costituite parti civili: Provincia di Venezia, in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore; Provincia di Treviso, in Persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore;

avverso la sentenza n. 343 della Corte di appello di Venezia emessa il 7 marzo 2013; letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Aldo POLICASTRO il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi presentati dagli imputati e l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile, limitatamente alle statuizioni civili;

sentiti, altresì, l’avv. Gian Paolo COLOSIMO, del foro di Rimini, per il ricorrente Conti e in qualità di sostituto dell’avv. Domenico GIURI, per il Rossi; l’avv. Roberto ZAZZA, del foro di Roma, per i ricorrenti Busolin e Vella; l’avv. Gianni MORRONE, del foro di Padova, per Barbetta; l’avv. Giancarlo DI GIULIO, del foro di Roma, in sostituzione dell’avv.ssa Cynthia DE CONCILIIS, del foro di Roma, per i ricorrenti Busolin e Vella; l’avv. Sebastiano TONON, del foro di Venezia, anche in sostituzione dell’avv. Mariano ROSSETTI, del foro di Bologna, per le costituite parti civili Regione Veneto, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Venezia e Provincia di Treviso; l’avv. Italo BAGOZZO, del Foro di Padova, per il Comune di Pernumia; l’avv. Emanuele Romanelli, del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. Alfredo ZABEO, del foro di Venezia, per il Comune di Mira; l’avv. Alessia CIPROTTO, del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. Gabriele PAFUNDI, deòl foro di Roma, per il Comune di Mira e l’avv.ssa Cristina GERARDIS, della Avvocatura generale dello Stato, per la parte civile Ministero dell’Ambiente, i quali hanno tutti insistito per l’accoglimento dello loro rispettive richieste.

RITENUTO IN FATTO

Con un’articolatissima sentenza, datata 7 marzo 2013, la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Venezia il precedente 10 settembre 2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati allora evocati in giudizio essendosi i numerosi reati loro contestati – aventi ad oggetto la plurima violazione della disciplina sulla gestione, smaltimento e trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi nonché un’ipotesi di associazione per delinquere – tutti estinti per intervenuta prescrizione. Nondimeno, la Corte territoriale, ritenuta la astratta sussumibilità delle condotte contestate all’interno del paradigma accusatorio riscontrato dal giudice di prime cure, confermava la condanna degli imputati nonché dei responsabili civili al risarcimento del danno patito dalle costituite parti civili, sia pure diversificando la posizione del Ministero dell’ambiente, esclusivo beneficiario del risarcimento del danno ambientale, da quella delle altre parti ammesse alla tutela della loro posizione soggettiva di diritto privato, ritenendo risarcibile in favore di queste ultime il solo danno rilevante ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. Hanno proposto ricorso per cassazione taluni degli imputati ed alcune delle costituite parti civili. Partendo dalla impugnazione di queste ultime, sì osserva che, con ricorsi sostanzialmente identici, la Amministrazione provinciale di Venezia e quella di Treviso hanno impugnato la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui in essa, in tal senso rigettando uno dei motivi di appello già formulato avverso la sentenza del giudice di prime cure, è stato negato agli enti territoriali diversi dal Ministero dell’Ambiente il risarcimento del danno ambientale puro. In particolare, ed in estrema sintesi, le ricorrenti, pur consapevoli del fatto che, una volta entrato in vigore il d. lgs n. 152 del 2006, ai sensi dell’art. 311 di tale testo normativo, è riservato allo Stato e per esso al Ministero dell’Ambiente il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale, osservano che, sempre a tenore di quanto ivi previsto dall’art. 303, comma 1, lettera f), del detto decreto legislativo, le norme contenute nella sua parte sesta, non sono retroattive; da qui esse fanno derivare la possibilità di continuare ad applicare alla fattispecie in questione, verificatasi in epoca anteriore alla entrata in vigore del dlgs n. 152 del 2006, fissata al 29 aprile 2006, l’art. 18 della legge n. 349 del 1986 il quale, invece, prevedeva una più ampia platea di soggetti legittimati a richiedere il risarcimento per il danno ambientale puro. In via gradata rispetto all’accoglimento del precedente motivo di doglianza le predette amministrazioni provinciali lamentano anche il fatto che, in occasione della determinazione della provvisionale liquidata dai giudici del merito in relazione al risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., essa sia stata limitata alla misura di euro 25.000,00 per la provincia di Treviso e di euro 40.000,00 per quella di Venezia, misura ritenuta incongrua rispetto alla entità del danno a detto titolo patito dai due enti territoriali in questione. Relativamente alla posizione degli imputati, hanno proposto ricorso per cassazione Conti Loris, Vella Enrico e Busolin Giovanni. Quanto al Conti, questi, riformulando in sede di legittimità una censura già svolta nei confronti della sentenza dì primo grado, ha dedotto la incompetenza territoriale del Tribunale dì Venezia, in favore di quello di Padova, ciò in funzione del fatto che, indiscussa la maggiore gravità fra gli illeciti contestati del reato di cui all’art. 260 del d. lgs n. 152 del 2006, questo si sarebbe realizzato, sotto il profilo della priorità temporale, dapprima nell’ambito del circondario di Padova e non in quello di Venezia, per cui la competenza a giudicare rispetto ai reati di cui al processo spettava all’autorità giudiziaria patavina. Nel formulare i propri motivi di ricorso anche Busolin Giovanni ha primieramente dedotto, sostanzialmente sulla base delle medesime argomentazioni formulate dal Conti la incompetenza territoriale del Tribunale di Venezia in favore di quella del Tribunale di Padova. Ha, quindi, ritenuto viziata la impugnata sentenza nella parte in cui è stata ammessa la costituzione delle numerose parti civili enti locali territoriali ed è stata accolta la loro domanda risarcitoria in assenza di elementi tali da i comprovare la sussistenza di un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a loro carico. Infine il Busolin ha impugnato la sentenza, al solo fine di escludere la sussistenza della sua responsabilità risarcitoria, nella parte in cui, pur dichiarata la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la Corte territoriale ha ritenuto astrattamente riferibile la sua condotta alla ipotesi di reato a lui contestata. In sostanza il Busolin, cui è contestata oltre alla partecipazione alla associazione per delinquere, la condotta di illegittimo trasporto di rifiuti, osserva che la sua ditta ha agito, nell’interesse della C&C e del suo legale rappresentante, soggetto cui sarebbero addebitabili tutte le condotte delittuose, non in quanto tale ma come partecipante ad un consorzio di imprese, denominato Eurocar; poiché sarebbe questo soggetto e non la ditta del Busolin ad avere avuto contatti con la C&C, dovrebbe, semmai, essere il legale rappresentante della Eurocar, mai evocato in giudizio, a dover rispondere per i trasporti di rifiuti effettuati in contrasto con la vigente normativa ambientale. Quanto all’imputato Vella, questi ha contestato la addebitabilità a lui delle fraudolente condotte poste in essere, in concorso con altri, dal titolare della C&C, posto che la impresa da lui diretta, impegnato nel campo dello smaltimento dei rifiuti, aveva effettivamente ricevuto dalla C&C rifiuti da smaltire, e non materit prime secondarie, sicché la sua condotta rientrava perfettamente nella corretta attività di gestione dei rifiuti per i quali era regolarmente munito di apposita autorizzazione rilasciata dai competenti organi pubblici. L’errore in cui sarebbero caduti i giudici del merito starebbe nel non avere considerato che il “conglomerato cementizio” che la ditta da lui diretta riceveva dalla C&C non era un prodotto immediatamente utilizzabile; ciò in quanto detto materiale non era stato idoneamente lavorato dalla ditta conferente e necessitava, pertanto, di una nuova lavorazione da parte della Vella Recyclig, impresa facente capo all’odierno ricorrente, il cui impianto era adatto a tale tipo di trattamento. L’assenza di, sia pure astratti, profili di responsabilità penale escluderebbe, ad avviso del Vella la legittimità della condanna a suo carico al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. In prossimità della odierna udienza hanno presentato memorie nel loro interesse di parte civile sia le due Province ricorrenti, che la Regione Veneto, queste ultime con unico atto, che, infine, la Regione Emilia-Romagna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Mentre i ricorsi presentati dagli imputati sono risultati inammissibili, sono invece fondate, nel termini che saranno di seguiti precisati, le doglianze proposte dalle ricorrenti parti civili, sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al competente giudice, nei soli limiti delle sue statuizioni in sede civile. Prendendo le mosse dall’esame dei motivi di ricorso formulati dagli imputati Busolin, Conti e Vella, questa Corte osserva che sia Conti Loris che Busolin Giovanni hanno contestato la affermata competenza della autorità giudiziaria di Venezia a procedere in primo grado nel presente giudizio. Siffatta deduzione, che ripete in termini quasi testuali l’analogo motivo di impugnazione fatto valere di fronte alla Corte di appello, è inammissibile. Deve preliminarmente osservarsi che sul punto della competenza territoriale, come detto già posto in discussione a seguito degli appelli proposti avverso la sentenza di primo grado, la Corte veneziana già aveva preso posizione, rigettando i relativi motivi di gravame, rilevando che, premessi i criteri codicistici ai fini della individuazione del giudice competente, il più grave fra i reati contestati, sulla base del quale determinare il giudice competente, era la violazione dell’art. 260 del d. lgs n. 152 del 2006, di cui al capo A) della articolata rubrica. Esso, secondo le considerazioni svolte dalla Corte territoriale aveva avuto modo di realizzarsi, in prima battuta, nello stabilimento di Mira, Comune questo ricadente nell’ambito territoriale del circondario di Venezia, poiché tale stabilimento era in funzione sin dal 2001, mentre lo stabilimento di Pernunnia, ubicato, invece all’interno del circondario di Padova, aveva attivato la propria operatività non prima del’aprile 2002, a tale conclusione essendo giunti i giudici del merito considerato che solo nel gennaio di tale anno, come rileva la Corte veneziana, era stata data la comunicazione di inizio attività e che per la effettiva attivazione dello stabilimento era necessario, secondo la previsione di cui all’art. 33 del d. lgs n. 22 del 1997, che passassero almeno novanta giorni dalla predetta comunicazione. Tanto richiamato, si rileva che in più occasioni questa Corte ha ribadito il suo fermo principio in base al quale deve affermarsi la inammissibilità del ricorso per cassazione qualora esso sia fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado; ciò sia in ragione della insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate nei precedenti gradi di giudizio e sia per la genericità dei motivi di ricorso che, in tal modo, solo apparentemente, ma non specificamente, denunciano un determinato errore logico o giuridico della sentenza impugnata (ex multis: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 14 maggio 2009, n. 20377). Nel caso ora in esame la Corte territoriale ha indubbiamente applicato in maniera corretta i criteri astratti utilizzabili ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente, ancorando poi siffatti criteri a deduzioni di fatto – quali quelle relative alla priorità temporale della attivazione della gestione abusiva dei rifiuti nei due stabilimenti di Mira e di Pernumia – che, appunto, per la loro natura fattuale non sono suscettibili di essere più discusse in questa sede di merito se non viziate per manifesta illogicità. Circostanza questa certamente non ricorrente nel caso in esame posto che gli argomenti utilizzati dalla Corte veneta come sopra riportati, onde dimostrare la priorità temporale nella attivazione di uno stabilimento rispetto all’altro, appaiono pienamente plausibili e ragionevolmente esposti. Il Busolin, quale secondo motivo dì impugnazione, ha contestato la motivazione della sentenza impugnata, sostenendone la mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità, in ordine alla ammissione della costituzione delle parti civili. Trattasi di motivo inammissibile in quanto, come già nel recente passato osservato da questa Corte, le questioni preliminari relative alla costituzione di parte civile devono essere poste, ai sensi dell’art. 491 cod. proc. pen., subito dopo che sia stato compiuto, per la prima volta, l’accertamento della regolare costituzione delle parti e devono essere decise immediatamente, con la conseguenza che qualora la prima udienza – compiuto il predetto accertamento – si concluda senza che sia stata sollevata la questione, la proposizione di quest’ultima deve ritenersi preclusa nelle successive udienze, né l’ammissione della costituzione di parte civile può essere in seguito contestata in sede di impugnazione (Corte di cassazione Sezione VI penale, 5 dicembre 2013, n. 49057). Poiché la predetta questione, peraltro sotto il profilo del rigetto delle richieste delle parti civili, risulta essere stata posta solamente coi motivi di appello, quando da essa il ricorrente era oramai decaduto, la medesima non può adesso formare oggetto di motivo di impugnazione di fronte a questa Corte di legittimità. Come terzo motivo di impugnazione il Busolin lamenta il fatto che la Corte di Venezia, avrebbe illogicamente motivato in ordine alla sussistenza in capo al medesimo degli elementi oggettivi e soggettivi delle ipotesi criminose a lui attribuite. Trattasi, come è evidente, di questione di fatto, in quanto argomentata tramite la contestazione della materialità soggettiva delle operazioni di trasporto dei rifiuti, eseguite secondo i capì di imputazione dal Busolin, ovvero da persont da lui incaricate, nella sua qualità di socio amministratore della Fratelli Busolin Autotrasporti Snc. E’, infatti, chiaro che la tesi difensiva svolta dal ricorrente, secondo la quale i trasporti in questione, pur eseguiti anche dal Busolin in persona, fossero attribuibili non alla attività della impresa da lui gestita ma a quella del consorzio Eurocar, del quale peraltro pure il Busolin faceva parte, involge apprezzamenti di fatto, già esaurientemente svolti in sede di merito e tramite i quali si è pervenuti a conclusioni opposte da quelle postulate dal ricorrente, ora non più suscettibili di riesame in questa sede di legittimità. Venendo ora al ricorso proposto dal Vella, rileva il Collegio che esso concerne la stessa condotta attribuita al ricorrente, se cioè essa consistesse o meno nella illecita gestione di rifiuti, costituiti dai fanghi derivanti dalla attività produttiva svolta dalla impresa Endesa e dall’ENEL, presso lo stabilimento della impresa Vella Recycling da lui gestita.Diversamente da quanto sembra ritenere il Vella, la sentenza impugnata non presenta alcuna illogicità in quanto la accusa che gli viene mossa non attiene al fatto che egli, titolare di una impresa il cui scopo è il riciclaggio dei rifiuti, avrebbe ricevuto presso il proprio stabilimento dei prodotti, conglomerato cementizio che, per essere una materia prima secondaria, non poteva giustificare l’interesse imprenditoriale del Vella per essa (e nell’avallare l’esistenza di questa irragionevole operazione starebbe, secondo il ricorrente, la dedotta manifesta illogicità della sentenza impugnata) ma detta accusa ha ad oggetto l’avere egli ricevuto realmente rifiuti, cioè i fanghi Endesa ed ENEL, laddove la documentazione che corredava il trasporto di questi rifiuti, aveva invece ad oggetto tutt’altro prodotto, cioè i ricordati conglomerati cementizi in cordoli. Nessuna contraddizione vi è, quindi, nella ricostruzione del fatto presente nella sentenza impugnata, posto che in essa, invece, in maniera del tutto conseguente, si ricava la compartecipazione del Vella all’accordo criminoso proprio in virtù del fatto che la documentazione ufficiale, che corredava i singoli trasporti, faceva apparire, questo sì in maniera incongrua, che presso lo stabilimento del Vella erano recapitati dei prodotti (conglomerato cementizio in cordoli) non destinati ad essere riciclato e non oggetto di produzione da parte della ditta C&C, cioè della impresa che sarebbe risultata essere la fonte del materiale fittiziamente recapitato al Vella. La dimostrata manifesta infondatezza del motivo di ricorso articolato dal Vella ne determina la inammissibilità anche di esso, Alla inammissibilità dei ricorsi presentati dagli imputati Conti, Vella e Busolin, segue la condanna di costoro al pagamento delle spese processuali e di una somma, equitativamente determinata nella seguente misura, di euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di difesa affrontate nel presente grado dalla costituite parti civili, liquidate come da dispositivo. Per quanto, invece, attiene alle impugnazioni avanzate dalle ricordate due parti civili, queste debbono essere viceversa accolte per quanto di ragione. La sostanziale identità delle censure presentate da tali ricorrenti ne suggerisce, per evidenti ragioni di economia processuale, la congiunta trattazione. Osserva al riguardo il Collegio che, mentre deve dichiararsi inammissibile il secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la determinazione della provvisionale liquidata in favore della Provincia di Treviso ed in favore della Provincia di Venezia, ritenuta dai ricorrenti incongrua in relazione alla entità del danno rispettivamente patito, deve essere accolto il restante motivo di impugnazione. Sul primo punto, infatti, questa Corte non può che ribadire il principio, in numerosissime occasioni già affermato in sede di legittimità e, a quanto risulta, mai abbandonato, secondo il quale la pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito, il quale non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto; da quanto sopra consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto per sua natura è insuscettibile di passare in giudicato ed è destinato, pertanto, ad essere travolto dalla effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento del danno (ex plurimis: Corte di cassazione, Sezione V penale, 26 agosto 2011, n. 32899; idem Sezione IV penale, 27 settembre 2010, n. 34791; idem Sezione V penale, 7 febbraio 2007, n. 5001; idem Sezione V penale, 15 ottobre 2004, n. 40410). Fondato è, viceversa, il restante comune motivo di impugnazione. Le due Provincie lamentano, infatti, che la Corte territoriale veneta, in ciò confermando la precedente statuizione presa dal Tribunale lagunare, abbia considerato risarcibile nei confronti degli enti territoriali minori costituitisi parte civile il solo danno diverso dal cosiddetto danno ambientale puro. Ciò la Corte di appello ha fatto richiamando dichiaratamente un orientamento, definito “in via di consolidamento”, secondo il quale spetterebbe solamente allo Stato, e per esso al Ministero dell’ambiente, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per i reati contro l’ambiente per ottenere il risarcimento del danno ambientale inteso come interesse alla tutela dell’ambiente in sé considerato. Tale assunto, pur astrattamente corretto, come vedremo, non si presta, però, ad una sua pertinente applicazione nel presente caso. Deve, infatti, ricordarsi che questa Corte ha, invero, più volte affermato il principio che, alla luce della normativa attualmente in vigore, spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell’Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali, alfine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente (Corte di cassazione, sezione III penale, 18 ottobre 2012, n. 39453). La Corte ha, peraltro, precisato che tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e gli Enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 c.c., “per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale” (Corte di cassazione Sezione III penale, 23 maggio 2012, n. 19437; idem Sezione III penale, 21 ottobre 2010, n. 41015). Si è, infatti, rilevato che la legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, comma 3, attribuiva allo Stato e agli Enti territoriali sui quali insistono i beni oggetto del fatto lesivo la legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale; il detto art. 18 è stato, però, abrogato dal dlgs 3 aprile 2006, n. 152, art. 318, comma 2, lett. a), (ad eccezione del solo comma 5 dell’art. 18 citato„ che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale). Attualmente, il d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, riserva, all’art. 311, allo Stato, ed in particolare al Ministro dell’ambiente, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l’azione civile in sede penale. Le Regioni e gli Enti locali, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale, in forza del d. lgs n. 152 del 2006, art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni nell’ambito di procedimenti finalizzati all’adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l’intervento statale a tutela dell’ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale. La giurisprudenza di questa Corte successiva all’appena ricordato mutamento legislativo ha bensì rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al Ministro dell’ambiente, ai sensi del citato d. lgs. n. 152 del 2006, art. 311, comma 1, ma anche all’Ente pubblico territoriale ed ai soggetti privati, precisando, tuttavia, che per costoro siffatta legittimazione deve intendersi limitata ai casi in cui per effetto della condotta illecita essi abbiano subito un ordinario danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 gennaio 2010, n. 755). Si è, altresì, precisato, con la sentenza di questa III Sezione penale, 16 aprile 2010, n. 14828 che il d. lgs. n. 152 del , 2006 “ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell’Ambiente” (sicché le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da esse concretamente patiti a causa del degrado ambientale, “mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica”). Conclusivamente, il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dal d. lgs. n. 152 del 2006, art. 311, sicché il titolare della pretesa risarcitoria per tale tipo di danno è esclusivamente lo Stato, in persona del Ministro dell’ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli Enti pubblici territoriali e le Regioni, possono invece agire, in forza dell’art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 giugno 2011, n. 25193; idem, Sezione III penale, 12 gennaio 2012, n. 633), così come possono agire per il risarcimento del danno non patrimoniale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 maggio 2012, n. 19439), avente tuttavia le medesime caratteristiche del precedente quanto alla estraneità al danno ambientale di natura pubblica. Nell’accertamento di tale voce di danno il giudice dovrà verificare, sulla base della concreta allegazione di parte, la sussistenza di esso, consistente nel pregiudizio arrecato all’attività da detti soggetti effettivamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo (Corte di cassazione, Sezione III penale, 26 settembre 2011, n. 34761). Siffatti principi (da ultimo ribaditi da Corte di cassazione, Sezione III penale 8 luglio 2014, n. 29750), hanno però come loro ineludibile presupposto normativo l’avvenuta abrogazione, per effetto della entrata in vigore dell’art, 318, comma 2, lettera a), del d. lgs n. 152 del 2006, del ricordato art. 18, comma 3, della legge n. 349 del 1986. Poiché tale effetto è intervenuto solo in data 29 aprile 2006, data di scadenza della vacatio legis relativa al predetto d. lgs n. 152 del 2005, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica del 14 aprile 2006, e tenuto conto ella circostanza che il ricordato decreto legislativo non contiene alcuna disposizione intertemporale destinata a disciplinare gli effetti del trapasso da un determinato assetto normativo ad un altro ad esso sopravvenuto, deve ritenersi che, per i fatti, verificatisi anteriormente alla entrata in vigore della predetta normativa e pertanto nella conseguente vigenza di quella preesistente, deve continuare ad applicarsi l’art. 18, comma 3, della legge n. 349 del 1986, che non poneva limitazioni alla legittimazione attiva degli enti locali all’esercizio della azione risarcitoria. In tal senso può essere significativo rilevare che, secondo gli orientamenti giurisprudenziali formatisi nella vigenza della cessata normativa, la legittimazione attiva a costituirsi parte civile per il risarcimento del danno ambientale era riconosciuta, oltre che agli enti territoriali diversi dallo Stato, anche alle associazioni di protezione ambientale riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349 del 1986 (Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 ottobre 2004, n. 38748). Il fatto che le condotte di cui al presente processo siano cronologicamente riferibili ad un periodo, si tratta degli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, anteriore alla entrata in vigore del ricordato art. 3018 del d. lgs n. 152 del 2006, fa sì che la sentenza della Corte territoriale veneta, che ha, invece, ritenuto di dovere applicare anche a siffatti episodi la normativa in tema di risarcibìlità del danno ambientale puro sopravvenuta rispetto alle condotte realizzate, debba essere sul punto annullata, con rinvio, per un riesame della questione che tenga conto dell’espresso principio di diritto, al giudice civile competente in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili relative alle azioni risarcitorie esercitate dalla Provincia di Venezia e dalla Provincia di Treviso, e rinvia al giudice civile competente per valore) in grado di appello. Dichiara inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati Conti, Busolin e Vella, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione solidale delle spese del grado in favore delle parti civili Ministero dell’Ambiente, Regione Veneto, Provincia di Rovigo, e Comune di Mira, che liquida in euro 3.500,00 per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il 9 luglio 2014.

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