Diritto alimentare. Alimenti, cattivo stato di conservazione, detenzione, destinazione per la vendita, legittimita’ del sequestro probatorio. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38990 del 8 agosto 2017 (ud. del 9 maggio 2017)

Pres. Ramacci, Est. Socci

Diritto alimentare, Alimenti. Cattivo stato di conservazione. Detenzione. Legittimità del sequestro probatorio.

La detenzione di prodotti mal conservati non è sanzionata solo se diretta alla vendita al consumatore finale, ma anche se detenuta per la vendita in genere: “L’art. 5 lett. b) della legge 30 aprile 1962 n. 283 sancisce il divieto di detenere per la vendita o comunque distribuire per il consumo prodotti destinati ad uso alimentare che si trovino in cattivo stato di conservazione. Ai fini della sussistenza del reato, la “destinazione per la vendita” significa non soltanto il possesso di prodotti destinati immediatamente alla vendita, ma anche il possesso di prodotti da vendersi successivamente. Essa indica, cioè, una relazione di fatto fra il soggetto e il prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita stessa, senza che sia necessario che la merce si trovi in luoghi destinati ai consumatori. Ne consegue che integra l’elemento materiale del reato la detenzione anche in locali adibiti a deposito, siano essi contigui o meno a quelli di vendita, di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, destinati per la vendita o comunque per il consumo” (Sez. VI, n. 6325 del 24/02/1994 – dep. 30/05/1994, Franchini, Rv. 19898601).
In tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma è circoscritto alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato e al controllo circa la qualificazione dell’oggetto sequestrato come corpus delicti e, quindi, all’esistenza di una relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale. (Sez. III, n. 19141 del 08/04/2014, Villani, Rv. 26011201).

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38990 del 8 agosto 2017 (ud. del 9 maggio 2017)

RITENUTO IN FATTO

1.11 Tribunale di Cosenza, con ordinanza del 16 novembre 2016, rigettava la richiesta di riesame proposta da Michelangelo Nocito e, per l’effetto, lo condannava alle spese del procedimento. Il ricorrente con l’istanza citata aveva chiesto il riesame del decreto di sequestro probatorio emanato nei suoi confronti dal P.M. del Tribunale di Paola in data 5 ottobre 2016, avente ad oggetto 1288 bidoni per alimenti contenenti coppe di cedro semilavorato, nonché 146 bidoni contenenti cubetti di cedro semilavorato, corpo di reato o comunque cosa pertinente al reato di cui all’art. 5, lett. B), legge 30 aprile 1962, n. 283. 2. Ricorre per Cassazione il Nocito, tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 

2. 1. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., in relazione al d. lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 per non avere, l’ordinanza contro cui si ricorre, ritenuto depenalizzato il reato di cui all’art. 5, lett. B), I. n. 283 del 1962. Il Tribunale del Riesame escludeva che il reato de quo fosse stato depenalizzato dal d. lgs. n. 8, del 2016, in quanto non rientrante nell’art. 1, comma 1, del decreto citato. L’art. 1, comma 2, d. lgs. 8 del 2016, tuttavia, prevede l’applicazione della novella anche ai reati puniti con la pena detentiva, sì che il reato contestato al Nocito deve ritenersi depenalizzato. 

2. 2. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., in relazione all’art. 5, lett. B), legge n. 283 del 1962; mancanza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente in ordine alla sussistenza del fumus commissi delícti. I provvedimenti del Pubblico Ministero e del Tribunale del Riesame sono illegittimi per violazione macroscopica dell’obbligo costituzionalmente sancito di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Invero, è stato contestato alla ditta Eurocedro s.r.I., di cui il Nocito era legale rappresentante, che i bidoni per alimenti che contenevano il prodotto semilavorato, cedro, erano adagiati all’interno dell’area perimetrale dell’azienda, sulla nuda terra, soggetti ad oscillazioni di temperature e privi di un sistema di protezione dalla contaminazione batterica esterna o da probabili deiezioni di animali. Tuttavia, tanto il decreto di sequestro quanto l’ordinanza in questa sede impugnata hanno omesso di esporre qualsiasi elemento in ordine ai metodi di conservazione, previsti da fonti normative o comunque diffusamente adottati sì da assurgere a massima di esperienza, che sarebbero stati violati. Il Tribunale del riesame si è limitato ad affermare, argomentando in modo tautologico e inconcludente, che sulla base degli atti della Polizia giudiziaria sussiste l’astratta possibilità del reato. Non ha tenuto conto, in particolare, di una serie di elementi imprescindibili: della natura del prodotto, favorevole alle variazioni di temperatura; della soluzione salina che evita la proliferazione di batteri; del protocollo di autocontrollo seguito dall’indagato (di cui l’ordinanza non fa menzione); del fatto che i bidoni erano chiusi ermeticamente e non vi era alcun contatto del prodotto con l’esterno. L’ordinanza impugnata nemmeno ha avuto considerazione del fatto che, considerata l’ordinaria procedura di lavorazione, l’alimento non può essere considerato in commercio fino all’ulteriore fase della canditura, eseguita non dall’indagato, ma da aziende di primaria importanza. Il prodotto, dunque, era ancora in corso di lavorazione e non era detenuto dall’indagato per l’immissione in commercio, non era, in altre parole, un prodotto finito. Si evidenzia a tal proposito che l’art. 3 dell’ordinanza del Ministero della Sanità dell’ 11 ottobre 1978 stabilisce che il prelevamento del campione da esaminare sia eseguito sul prodotto finito, segno della scarsa significatività di un riscontro favorevole su di un alimento che deve essere sottoposto a ulteriori manipolazioni. Deve quindi escludersi la configurabilità del reato in ordine ad un prodotto in corso di lavorazione, soggetto ad ulteriori manipolazioni e controlli prima dell’immissione in commercio. 

2. 3. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. B), cod. proc. pen., in relazione all’art. 253 cod. proc. pen., per avere l’ordinanza contro cui si ricorre ritenuto necessarie le cose sequestrate per l’accertamento dei fatti in ordine al reato di cui all’art. 5, lett. B), legge n. 283 del 1962, in assenza di motivazione o, comunque, attraverso una motivazione meramente apparente. Mancanza assoluta di motivazione in relazione all’esigenza probatoria. Il reato contestato si configura per il solo fatto estrinseco della conservazione in cattivo stato della sostanza alimentare, indipendentemente dall’eventuale modificazione delle sue caratteristiche intrinseche. L’elemento probatorio risultava pertanto già soddisfatto dai verbali di sequestro e dall’attività di indagine effettuata dalla Polizia giudiziaria; l’espletamento di un accertamento tecnico irripetibile rendeva peraltro evidentemente superflua la permanenza del vincolo, considerando altresì come non avrebbe alcuna rilevanza una ulteriore perizia eseguita a distanza di anni. Non permane allora nessuna necessità di vincolo sui beni sequestrati, né il Tribunale del Riesame ha idoneamente argomentato in senso contrario. 

2. 4. L’imputato Con memoria del 5 maggio 2017 ha proposto motivi nuovi, e ha depositato una perizia a firma della dott.ssa Angelina D’Alessandro; ribadiva che la ditta Eurocedri s.r.l. produceva un prodotto semilavorato non destinato direttamente al consumo, ma destinato ad aziende che dovevano poi lavorarlo per immetterlo al consumo. I contenitori erano altresì idonei per la conservazione del prodotto, anche all’esterno. 

3. La Procura Generale della Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore Gabriele Mazzotta, ha chiesto il rigetto del ricorso. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

4. Il ricorso è inammissibile. Manifestamente infondato è anzitutto il primo motivo di ricorso, relativo alla pretesa depenalizzazione del reato in esame. Infatti, il reato di cui all’art. 5), lett. B), legge n. 283 del 1962, pacificamente non rientrante tra le ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, d. lgs. n. 8 del 2016, in quanto punito alternativamente con l’arresto o l’ammenda, nemmeno può essere ricondotto, diversamente da ciò che sostiene il ricorrente, a quanto statuito dal comma 2 del predetto articolo: la disposizione estende la depenalizzazione anche ai reati puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria, ma soltanto ove tale pena sia prevista nelle ipotesi aggravate, ciò che non ricorre nel caso di specie. 

4. 1. Quanto al preteso difetto di motivazione relativamente alla sussistenza del fumus commissi delicti, secondo motivo di ricorso, se ne rileva la manifesta infondatezza, ricordandosi in proposito che, in tema di sequestro probatorio, il sindacato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma è circoscritto alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato e al controllo circa la qualificazione dell’oggetto sequestrato come corpus delicti e, quindi, all’esistenza di una relazione di immediatezza tra il bene stesso e l’illecito penale. (Sez. III, n. 19141 del 08/04/2014, Villani, Rv. 26011201). Alla luce del principio predetto, deve rilevarsi la legittimità del provvedimento impugnato, che specificamente indica gli elementi sulla base dei quali è stata ritenuta sussistente l’astratta possibilità del reato. 

4. 2. Si rileva infine la genericità e manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso, atteso che “il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine, non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa, a differenza del sequestro delle cose pertinenti al reato che necessita di specifica motivazione su quest’ultimo specifico aspetto. (In motivazione, la S.C. ha, tra l’altro, precisato che l’art. 253, comma primo, cod. proc. pen., ricollega teleologicamente la necessità di accertamento dei fatti solo all’apprensione delle cose pertinenti al reato, non anche al corpo di reato che si pone in collegamento diretto ed immediato con la fattispecie incriminatrice evocata, tanto da giustificare in via generale la previsione della confisca ex art. 240 cod. pen.)” (Sez. II, n. 52259 del 28/10/2016, Esposito, Rv. 26873401). Nel nostro caso il sequestro è avvenuto sul corpo del reato (gli alimenti deteriorati, in cattivo stato di conservazione). 

5. Con la memoria si è prodotta la perizia della dott.ssa D’Alessandro, ma preliminarmente deve valutarsi l’ammissibilità della produzione documentale in sede di legittimità. Il documento (la perizia) non è stato sottoposto al Tribunale del riesame. Nessun rilievo è stato mosso sul contenuto della perizia davanti ai giudici del riesame. Nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano nuova prova e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito. (Fattispecie di ricorso avverso ordinanza di rigetto di riesame di sequestro preventivo, in cui la Corte ha ritenuto inammissibile la produzione di perizia redatta in data successiva alla decisione del tribunale e di documentazione non esibita nei precedenti gradi cautelari). (Sez. III, n. 5722 del 07/01/2016 – dep. 11/02/2016, Sanvitale, Rv. 26639001, vedi anche Sez. II, n. 1417 del 11/10/2012 – dep. 11/01/2013, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254302). Il ricorrente avrebbe potuto (e potrebbe, in seguito) richiedere la restituzione del bene al giudice che ha disposto il sequestro, il quale, diversamente da questo giudice di legittimità, può valutare la /14-4P- documentazione allegata (perizia) verificandone anche la validità ed efficacia in relazione al caso specifico. 

5. 1. Relativamente alla detenzione non per la vendita al consumatore finale, ma ad altre ditte che avrebbero immesso poi il prodotto in commercio dopo altra lavorazione, motivo ribadito nella memoria, si deve rilevare che la detenzione di prodotti mal conservati non è sanzionata solo se diretta alla vendita al consumatore finale, ma anche se detenuta per la vendita in genere: “L’art. 5 lett. b) della legge 30 aprile 1962 n. 283 sancisce il divieto di detenere per la vendita o comunque distribuire per il consumo prodotti destinati ad uso alimentare che si trovino in cattivo stato di conservazione. Ai fini della sussistenza del reato, la “destinazione per la vendita” significa non soltanto il possesso di prodotti destinati immediatamente alla vendita, ma anche il possesso di prodotti da vendersi successivamente. Essa indica, cioè, una relazione di fatto fra il soggetto e il prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita stessa, senza che sia necessario che la merce si trovi in luoghi destinati ai consumatori. Ne consegue che integra l’elemento materiale del reato la detenzione anche in locali adibiti a deposito, siano essi contigui o meno a quelli di vendita, di prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione, destinati per la vendita o comunque per il consumo” (Sez. VI, n. 6325 del 24/02/1994 – dep. 30/05/1994, Franchini, Rv. 19898601). Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di C 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen. .

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 9 maggio 2017

 

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