Diritto alimentare. Cattivo stato di conservazione e alterazione degli alimenti. Differenze. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III,  sent. n. 1965 del 17 gennaio 2017 (ud. del 30 novembre 2016)

Pres. Fiale, Est. Galterio

Diritto alimentare. Stato di cattiva conservazione e alterazione degli alimenti. Differenze.

Le fattispecie di cui alle lettere b) (stato di cattiva conservazione degli alimenti) e d) (alterazione degli alimenti) dell’art. 5 L. 30 aprile 1962 n. 283, concernente la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari, si riferiscono a due autonome e distinte figure di reato, avuto riguardo alla diversità delle condotte incriminate ed alla diversità dei beni giuridici protetti: infatti, l’alterazione degli alimenti destinati alla vendita, a differenza dello stato di cattiva conservazione, presuppone che la mutazione della sostanza sia già avvenuta, e che si sia perciò già verificato il danno in cui si sostanzia l’oggetto della disposizione incriminatrice.

COMMENTO:

La riferibilità a due distinte fattispecie di reato comporta che, per quanto riguarda il cattivo stato di conservazione, esso, potendo concernere sia le caratteristiche intrinseche che le modalità estrinseche di conservazione del prodotto, riguardi quelle situazioni in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate, confezionate e messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire pericoli per la salute dei consumatori, ragione per la quale è stato ritenuto che la finalità perseguita dalla norma sia quella di tutelare il cd. ordine alimentare, ovverosia una protezione anticipata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga a questi con le cure igieniche imposte dalla sua natura”. L’alterazione degli alimenti invece  comporta la presenza di un processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sè per un fenomeno di spontanea degenerazione, la cui origine può essere dovuta all’azione di agenti fisici, quali ad esempio la luce o il calore, ovvero chimici, tra i quali si collocano i microorganismi viventi, agevolati dall’azione dell’umidità, quali batteri, muffe, funghi e via dicendo.

Nel caso dell’alterazione degli alimenti pertanto è necessario che la mutazione della sostanza sia già avvenuta, e che quindi si sia già verificato il danno. Da ciò si ricava che la contravvenzione prevista per l’ipotesi di cattivo stato di conversazione non può inserirsi in una condotta a progressione criminosa che comprenda fatti più gravi relativamente alle altre lettere previste dall’art. 5 della Legge n. 283/1962, con l’ulteriore conseguenza di escludere l’assorbimento delle condotte, che potranno ben concorrere tra loro.

 

Cass. Pen., Sez. III,  sent. n. 1965 del 17 gennaio 2017 (ud. del 30 novembre 2016)

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza pronunciata in data 27.11.2014 il Tribunale di Napoli ha condannato S.P., ritenendola colpevole del reato previsto dall’art.5 lett. b) e d) 1.283/1962 per aver detenuto all’interno del supermercato C. di cui era la legale rappresentante sostanze alimentari destinate alla vendita in cattivo stato di conservazione ed alterate e concesse le attenuanti generiche, alla pena di € 2.000 di ammenda. Avverso la suddetta sentenza l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione articolato nei due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.173, 10 comma disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo deduce in relazione al vizio di violazione di legge l’indifferenziato riferimento per ciascun alimento a due distinte ed autonome fattispecie criminose, ovverosia la cattiva conservazione e lo stato di alterazione, tra loro incompatibili in quanto alternative, non potendo una sostanza essere al contempo mal conservata ed alterata come evidenziato dal diverso regime sanzionatorio tra le due fattispecie; evidenzia altresì la confusione tra il cattivo stato di conservazione con la non corretta collocazione e segnalazione dei prodotti avendo la sentenza impugnata, nel desumere lo stato di cattiva conservazione fatto riferimento, al fatto che la merce da restituire fosse impropriamente sistemata, senza segnalazione, nelle immediate vicinanze di prodotti destinati alla vendita, laddove invece lo stato di cattiva conservazione discende sulla scorta del costante insegnamento giurisprudenziale, esclusivamente dall’inosservanza delle regole dettate a garanzia della conservazione sotto il profilo igienico e sanitario e deduce, ancora, l’insussistenza del presupposto applicativo del reato avendo accertato che la merce in contestazione non era destinata alla vendita.
  2. Il secondo motivo si incentra su un vizio motivazionale non avendo la sentenza impugnata chiarito quali fossero le modalità di conservazione e lo stato di alterazione accertato per ciascun prodotto, quest’ultimo peraltro del tutto contraddittoriamente desunto dalla cattiva conservazione ed avendo inoltre escluso il vincolo della continuazione tra i reati senza indicarne in alcun modo le ragioni, con ciò avendo di conseguenza illegittimamente sanzionato due volte la medesima condotta.
  3. Con successiva memoria depositata in data 16.2.2016 la difesa ha illustrato con maggior dettaglio i motivi già proposti ed ha altresì articolato un ulteriore motivo con il quale ha illustrato la sussistenza dei presupposti per la pronuncia di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex art.131 bis c.p. applicabile anche d’ufficio stante l’entrata in vigore della suddetta causa di non punibilità in epoca successiva al deposito del ricorso.

Considerato in diritto

  1. I primi due motivi di ricorso da esaminarsi congiuntamente attesa la logica ripercussione del denunciato vizio di violazione di legge sulla motivazione della sentenza impugnata, sono fondati. Le fattispecie di cui alle lettere b) e d) dell’art.5 L. 30 aprile 1962 n. 283, concernente la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari si riferiscono a due autonome e distinte figure di reato, avuto riguardo alla diversità delle condotte incriminate ed alla diversità dei beni giuridici protetti. Lo stato di cattiva conservazione, potendo concernere sia le caratteristiche intrinseche che le modalità estrinseche di conservazione del prodotto, riguarda quelle situazioni in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate, confezionate e messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire pericoli per la salute dei consumatori, ragione per la quale è stato ritenuto che la finalità perseguita dalla norma sia quella di tutelare il cd. ordine alimentare, ovverosia una protezione anticipata all’interesse del consumatore a che il prodotto giunga a questi con le cure igieniche imposte dalla sua natura.

L’alterazione degli alimenti definisce i per contro, la presenza di un processo modificativo di una sostanza alimentare che diviene altra da sé per un fenomeno di spontanea degenerazione, la cui origine può essere dovuta all’azione di agenti fisici, quali ad esempio la luce o il calore, ovvero chimici, tra i quali si collocano i microorganismi viventi, agevolati dall’azione dell’umidità, quali batteri, muffe, funghi e via dicendo (Sez. 3, n. 18098 del 28/02/2012, Siciliano, Rv. 25251401; Sez. 6, n. 8935 del 18/03/1994 Rv. 199038): a differenza dell’ipotesi di cui alla lettera b) l’alterazione degli alimenti destinati alla vendita presuppone che la mutazione della sostanza sia già avvenuta, e che si sia perciò già verificato il danno in cui si sostanzia l’oggetto della disposizione incriminatrice. Dovendosi pertanto escludere che la contravvenzione prevista per il cattivo stato di conservazione si inserisca nella previsione di una progressione criminosa che contempla fatti gradualmente più gravi in relazione alle successive lettere indicate dall’art. 5, né operando di conseguenza il principio dell’assorbimento, le due ipotesi ben possono concorrere fra loro (Sez. U. n. 443 del 19/12/2001 – dep. 09/01/2002, Butti e altro, Rv. 22071701; Sez.3, n. 35234 del 28/06/2007 – dep. 21/09/2007, Lepori, Rv. 23751801). Per contro la sentenza impugnata ha ritenuto con affermazioni generiche e prive di sostanziale motivazione che ricorressero indistintamente, in relazione alla pluralità e diversità di prodotti alimentari rinvenuti nel supermercato gestito dall’imputata, entrambe le fattispecie incriminatrici, senza né indicare in cosa consistessero, ove riferite ai medesimi generi alimentari indicati nell’imputazione e riportati nella stessa pronuncia, le due diverse condotte, né altrimenti distinguere a quali specifici prodotti si riferissero l’una o l’altra condotta. Del tutto immotivata rispetto alla pluralità delle condotte derivante dalla molteplicità dei generi alimentari indicati nella stessa sentenza a costei ascritte risulta in ogni caso l’esclusionedell’art.81, 2° comma c.p., peraltro contraddetta dal calcolo dalla pena irrogata in concreto. La sentenza del Tribunale deve essere conseguentemente annullata con rinvio al giudice che dovrà procedere a nuova deliberazione attenendosi ai principi sopra indicati.

  1. Il disposto annullamento impone di ritenere il terzo motivo assorbito.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

Così deciso in Roma il 30.11.2016.