RUMORE. Disturbo della quiete e del riposo delle persone da locale pubblico inserito in ambito condominiale: si applica l’art. 659 c.p.? Cassazione Penale n. 19988/2020.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 19988 del 3 luglio 2020 (ud. del 12 giugno 2020)

Pres. Aceto, Est. Liberati

Rumore. Disturbo della quiete e del riposo delle persone. Attività svolta in ambito condominiale. Art. 659 c.p. .

Per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che il disturbo venga arrecato a un gruppo indeterminato di persone e non solo a un singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto, come, ad esempio in un condominio.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 19988 del 3 luglio 2020 (ud. del 13 giugno 2020)

 

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 giugno 2019 il Tribunale di Cosenza ha dichiarato Salvatore Amelia responsabile del reato di cui all’art. 659 cod. pen. (ascrittogli per avere, quale amministratore della S.r.l. Gisafa, esercente l’attività di ristorazione mediante l’esercizio denominato Oasi del Gabbiano, disturbato le occupazioni e il riposo delle persone con i rumori causati dallo svolgimento di tale attività e abusando degli strumenti di riproduzione sonora, in particolate di un impianto musicale, utilizzati in tale attività; in Rende, dal novembre 2014 al marzo 2015), condannandolo alla pena di 200,00 euro di ammenda e al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, oltre che alla rifusione delle spese processuali dalla stessa sostenute.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’insufficienza e l’illogicità della motivazione nella parte relativa alla affermazione della propria responsabilità, non essendo stati rispettati i canoni di giudizio di cui all’art. 27 Cost. e agli artt. 533, comma 1, e 546 cod. proc. pen.
Ha sottolineato che il Tribunale, pur avendo richiamato l’orientamento interpretativo di legittimità in ordine alla irrilevanza penale delle condotte che arrechino disturbo a un numero circoscritto di persone, abitanti solamente negli appartamenti sottostanti o sovrastanti a quello di provenienza del rumore, non essendo in tale ipotesi configurabile alcuna lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto, aveva, in modo illogico, affermato la responsabilità del ricorrente in relazione alle emissioni sonore provenienti da una attività di ristorazione svolta all’interno di un condominio costituito da private abitazioni, nell’ambito del quale solamente la persona offesa aveva avvertito i rumori giudicati intollerabili.
Ha, inoltre, lamentato che il Tribunale aveva utilizzato ai fini della decisione atti, documenti e contestazioni relativi ad altri procedimenti nei confronti di altri imputati, in violazione del principio di personalità della responsabilità penale e della regola di giudizio di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., con la conseguente nullità, anche sotto tale profilo, della sentenza di condanna impugnata.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192, 194, 533, comma 1, e 546 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle dichiarazioni sia della persona offesa, costituita parte civile, che nelle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento aveva sensibilmente aumentato il numero degli episodi di emissioni sonore provenienti dal ristorante gestito dalla società amministrata dal ricorrente rispetto a quelli indicati nella querela, sia degli altri testimoni, tra cui Valerie Ann Cockburn, che aveva affermato di aver avvertito raramente musica proveniente dal ristorante Oasi del Gabbiano.
Ha censurato anche la valutazione compiuta dal Tribunale delle dichiarazioni rese dagli altri testi (tra cui Muraca, Palmieri, Nicastro e Dato), che, in realtà, avevano escluso di aver udito immissioni sonore fastidiose provenienti da detto locale, sottolineando che nessuno degli altri condomini abitanti nell’edificio nel quale si trova il ristorante aveva presentato denuncia o lamentato molestie con l’amministratore del condominio o nel corso delle assemblee dei condomini, evidenziando anche che nel locale esisteva un limitatore di potenza dell’impianto di diffusione acustica e che il teste Fasanella nel corso della sua escussione aveva manifestato astio nei confronti della proprietà del ristorante Oasi del Gabbiano.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., ulteriori violazioni degli artt. 187, 192, 530, comma 2, 533, comma 1, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e 659 cod. pen. e mancanza e contraddittorietà della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle prove testimoniali e documentali, evidenziando che il Tribunale aveva posto a fondamento della affermazione di responsabilità del ricorrente gli accertamenti eseguiti nel marzo 2014 dalla ARPACAL nei confronti di Ida Ruffolo (all’epoca gestore del medesimo ristorante) e l’ordinanza emessa nei suoi confronti dal Comune di Rende, dunque atti relativi a un altro procedimento nei confronti di altro soggetto, tra l’altro conclusosi con l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto, omettendo, invece, di considerare il nulla osta acustico rilasciato nel 2010 per l’attività da svolgere all’esterno di tale locale e anche gli accertamenti svolti dall’Ingegner Massimo Berlandelli, consulente tecnico della difesa (che aveva concluso per l’esistenza nel locale adibito a ristorante di accorgimenti tecnici fono-assorbenti idonei a impedire la propagazione oltre la soglia di tollerabilità del rumore prodotto nel locale in questione).
3. Il Procuratore Generale ha concluso, nella sua requisitoria scritta, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso, evidenziando la genericità e il contenuto non consentito in sede di legittimità di tutti i motivi di ricorso, in quanto volti a sollecitare una rivalutazione degli elementi di prova disponibili e considerati dal Tribunale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale sono state lamentate l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, a causa della mancanza del requisito della diffusività delle emissioni sonore, che avrebbero riguardato solamente l’abitazione della parte civile, e anche la violazione del principio di personalità della responsabilità penale, a causa dell’utilizzo di atti e documenti relativi ad altri soggetti, è manifestamente infondato.
Va ricordato che per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che il disturbo venga arrecato a un gruppo indeterminato di persone e non solo a un singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto, come, ad esempio in un condominio (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273216; Sez. 1, n. 45616 del 14/10/2013, Virgillito, Rv. 257345, secondo cui, perché sussista la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio; v. anche Sez. 1, n. 47298 del 29/11/2011, Iori, Rv. 251406; Sez. 1, n. 18517 del 17/03/2010, Oppong, Rv. 247062; Sez. 1, n. 1406 del 12/12/1997, Costantini, Rv. 209694).
Nel caso in esame il Tribunale ha dato atto della diffusività delle emissioni sonore provenienti dal ristorante gestito dalla società amministrata dal ricorrente, evidenziando quanto dichiarato non solo dalla persona offesa costituita parte civile, ma anche dai condomini Cockburn, Muraca, Palmieri e Marano, tutti concordi nel riferire della esistenza delle emissioni sonore provenienti da detto ristorante, in occasione delle feste che vi si svolgevano (in concomitanza delle quali venivano anche fatti esplodere fuochi d’artificio), e anche dal teste Fasanelli, che pur non abitando nel medesimo condominio ma nelle immediate vicinanze ha confermato quanto dichiarato dalla persona offesa, precisando di essere disturbato dai fuochi d’artificio esplosi nel ristorante oltre la mezzanotte due o tre volte a settimana, dalla musica ad alto volume proveniente dal locale e dagli schiamazzi degli avventori. Il Tribunale non ha, poi, omesso di considerare quanto dichiarato dai testimoni indicati dalla difesa, Raddi e Dato, evidenziando però che il primo abita in una mansarda posta all’ultimo piano dell’edificio eretto in condominio nel quale si trova il ristorante Oasi del Gabbiamo e il secondo risiede di fronte allo stesso. Sulla base di questi elementi è stata ricavata la prova della diffusività delle emissioni sonore provenienti da detto ristorante, essendo emersa la loro idoneità a turbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone, non solo abitanti nel medesimo edificio, con la conseguente correttezza della affermazione della configurabilità della contravvenzione contestata al ricorrente, affermazione che non risulta manifestamente illogica.
Il Tribunale non è, poi, pervenuto a tale affermazione sulla base di atti e documenti relativi ad accertamenti eseguiti nei confronti di altri soggetti (i precedenti gestori del medesimo ristorante, peraltro tutti appartenenti al medesimo nucleo familiare), bensì, come notato, alla luce di quanto dichiarato dai testi escussi in relazione alla attuale gestione di tale ristorante; il richiamo agli accertamenti eseguiti in precedenza e ai provvedimenti adottati nei confronti dei precedenti gestori è stato compiuto solamente per descrivere l’origine della attività e la risalenza nel tempo delle lamentele connesse alle emissioni sonore provenienti da tale ristorante, ma non certo per affermare la responsabilità del ricorrente.
Ne consegue, in definitiva, la evidente infondatezza delle censure formulate con il primo motivo, essendo state adeguatamente accertate sia la diffusività delle emissioni sonore oggetto della contestazione, sia la loro attribuibilità alla gestione da parte dell’imputato del ristorante Oasi del Gabbiano, di cui la società amministrata dall’imputato medesimo è titolare.
3. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente, essendo entrambi relativi alla valutazione delle prove, che sarebbe stata compiuta dal Tribunale in modo illogico e in violazione dei canoni di giudizio stabiliti dagli artt. 192 e 194 cod. proc. pen., contengono, in realtà, censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto sono volte a conseguire, attraverso una lettura alternativa delle dichiarazioni testimoniali, una diversa valutazione della loro portata, tale da escludere la diffusività e la lesività delle immissioni sonore in questione.
Nel giudizio di legittimità non è, infatti, consentita una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame il ricorrente ha proposto una vera e propria rivisitazione delle dichiarazioni testimoniali, prospettando l’inattendibilità di quelle della persona offesa e degli altri testi a carico e lamentando l’inadeguata e insufficiente considerazione delle dichiarazioni degli altri testimoni e degli accertamenti compiuti dal proprio consulente di parte, denunciando come illogicità e contraddittorietà della motivazione valutazioni di cui, come già evidenziato al punto 2, è stata data giustificazione con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, che, quindi, non sono rivisitabili sul piano del merito.
Il Tribunale, come già evidenziato, ha spiegato le ragioni sia della irrilevanza delle dichiarazioni dei testi a carico, sia della sufficienza di quanto riferito da quelli a carico per poter ritenere dimostrata la diffusività delle emissioni sonore provenienti dal ristorante Oasi del Gabbiano, con ciò, tra l’altro, implicitamente disattendendo la rilevanza degli accorgimenti fono-assorbenti adottati in tale attività indicati dal consulente di parte dell’imputato, e di tali rilievi, privi di illogicità manifeste, il ricorrente ha proposto una vera e propria rivisitazione sul piano del merito, attraverso una diversa, non consentita, rilettura in chiave alternativa degli elementi a disposizione, con la conseguente inammissibilità di tali censure.
4. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, stante l’evidente infondatezza e il contenuto non consentito in questa sede delle censure cui è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonché Sez.  U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12 giugno 2020

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