Sicurezza sul lavoro. Obblighi del datore di lavoro per formazione ed informazione al lavoratore. Mansioni pericolose ed estranee al contratto di lavoro. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 45864 del 5 ottobre 2017 (ud. del 14 settembre 2017)

 Pres. Blaiotta, Est. Serrao

Sicurezza sul lavoro. Infortunio durante l’attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa. Mansioni estranee al contratto e pericolose. D. lgs. n. 81/2008. Art. 18, comma 1 e 37, comma 1 d. lgs. n. 81/2008. Obbligo di formazione ed informazione al lavoratore.

COMMENTO:

Nella fattispecie concreta, il presidente di una società cooperativa aveva stipulato un contratto con altra società in virtù del quale la prima società inviava alla seconda alcuni dei suoi dipendenti affinchè eseguissero attività di movimentazione merci, imballaggio e lavaggio dei pezzi meccanici, sempre sotto la direzione di un responsabile della società cooperativa. Un dipendente della cooperativa era stato invece adibito a mansioni estranee al contratto e pericolose, in relazione alle quali non aveva ricevuto alcuna informazione né formazione; nell’eseguire, dunque, la prova di tenuta di un serbatoio di alluminio con aria compressa, aveva riportato lesioni personali a causa dello scoppio del serbatoi, punite ai sensi dell’art. 590, comma 1 e 3 c.p. .

La ricostruzione fattuale ha fatto emergere che il lavoratore infortunato fosse stato adibito anche prima del giorno dell’infortunio all’attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa.

In relazione al d. lgs. n. 81/2008, sono state punite le violazioni di cui agli artt. 18, comma 1 e 37, comma 1 del T.U. sicurezza. Il datore di lavoro è titolare di una serie di obblighi prevenzionistici da adottare in favore dei lavoratori: all’art. 18 comma 1 viene in particolare previsto che il datore di lavoro debba: e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37; m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato. In tema di formazione ed informazione, l’art. 37 comma 1 prevede che il datore di lavoro debba assicurarsi che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.

Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 45864 del 5 ottobre 2017 (ud. del 14 settembre 2017)

Fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Firenze – Sez. Distaccata di Pontassieve nei confronti di B.A. in relazione al reato previsto dall’art.590, commi 1 e 3, cod. pen. per avere cagionato, in qualità di datore di lavoro, lesioni personali a F.B. con violazione di norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro. In Borgo San Lorenzo in data 8 febbraio 2011.
2. B.A. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per violazione dell’art.606, comma 1, lett.c) cod. proc. pen. in relazione agli artt.649 e 669 cod. proc. pen. per essere intervenuta sentenza assolutoria definitiva del Tribunale di Firenze con la quale il ricorrente è stato assolto dall’imputazione per due contravvenzioni costituenti il precetto in cui si è sostanziata l’ipotesi di colpa specifica ascritta al B.A. nel presente procedimento. Con un secondo motivo deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e) cod. proc. pen. per avere i giudici di merito tralasciato di considerare o travisato l’elemento dirimente per cui B.A. non era presente quando al lavoratore era stato chiesto di eseguire un’attività esorbitante dalle sue mansioni e dalla sua formazione.
3. Con memoria depositata il 6 settembre 2017 il difensore del ricorrente ha sviluppato ulteriormente i motivi di ricorso.

Diritto
1. Il fatto è stato così ricostruito nei gradi di merito: la Cooperativa L.F. a r.L, di cui B.A. era Presidente, aveva stipulato un contratto con la Gieffe Sistemi s.r.l. in virtù del quale la prima società inviava alla seconda alcuni dei suoi dipendenti affinchè eseguissero attività di movimentazione merci, imballaggio e lavaggio dei pezzi meccanici; tali attività si dovevano svolgere sempre sotto la direzione di un responsabile della Cooperativa; F.B., dipendente della Cooperativa L.F., era stato invece adibito a mansioni estranee al contratto e pericolose, in relazione alle quali non aveva ricevuto alcuna informazione né formazione; nell’eseguire, dunque, la prova di tenuta di un serbatoio di alluminio con aria compressa, aveva riportato lesioni personali a causa dello scoppio del serbatoio.
2. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. La pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale di Firenze, la cui autorità di cosa giudicata si invoca in questa sede onde dedurre la violazione del divieto di bis in idem, concerne la contestata violazione degli artt.18, comma 1, e 55, comma 5, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 nonché degli artt.37, comma 1, e 55, comma 5, d. lgs. n. 81/2008 per avere adibito il lavoratore, assunto con la qualifica di facchino, ad operazioni di montaggio e collaudo in pressione delle tenute senza fornire al lavoratore adeguata formazione.
2.2. La sentenza qui impugnata è, tuttavia, pervenuta all’affermazione di responsabilità penale di B.A. in relazione al reato di lesioni colpose per aver egli omesso di svolgere il doveroso controllo in ordine alle mansioni che il lavoratore avrebbe svolto presso la Gieffe Sistemi s.r.l. ed alla loro corrispondenza alla formazione specifica del lavoratore.
2.3. Come noto, secondo l’oramai consolidato insegnamento della Corte di Cassazione, ai fini della configurabilità della preclusione connessa al divieto di un secondo giudizio, è necessaria la corrispondenza tra il fatto storico – considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona – sul quale si è formato il giudicato e quello per cui si procede (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv.23179901; Sez. 1, n. 39746 del 15/03/2016, Bovio, Rv. 26814701). Principi questi che appaiono sostanzialmente in linea con l’orientamento espresso dalla Corte EDU, sin dalla sentenza Zolotoukhine c. Russia (Corte EDU 10/02/2009), per giungere alla più recente sentenza Grande Stevens c. Italia (Corte EDU 4/03/2014), per cui il principio del ne bis in idem impone una valutazione ancorata ai fatti e non alla qualificazione giuridica degli stessi, dal momento che quest’ultima è da ritenersi troppo restrittiva in vista della tutela dei diritti della persona. In tal senso, come emerge dalla citata sentenza Zolotoukhine (par. 84) e come ribadito dalla più recente decisione emessa nel caso Grande Stevens c. Italia (par. 221), la nozione di condotta si traduce nell’insieme delle circostanze fattuali concrete, collocate nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata ai fini della condanna.
2.4. La sentenza impugnata non ha messo in dubbio questi consolidati principi, ma ha escluso che nel caso di specie sussista violazione del divieto di un secondo giudizio sulla base del rilievo che la pronuncia assolutoria si sia fondata su dati probatori incompleti e comunque diversi da quelli acquisiti nel presente processo. Va, in aggiunta, ricordato che i reati giudicati nei due distinti processi non sono in fatto sovrapponibili perchè non vi è coincidenza dell’intera materialità del reato nei suoi tre elementi, costituiti da condotta, evento e nesso causale.
2.5. Come ricordato, l’identità del fatto ai fini della preclusione di un secondo giudizio deve essere valutata in relazione al concreto oggetto del giudicato e della nuova contestazione, e la valutazione compiuta dai giudici d’appello risulta conforme a tale criterio di giudizio. Deve dunque escludersi che il fatto contestato al ricorrente corrisponda nella sua sostanza essenziale al fatto già valutato nella sentenza assolutoria per la contravvenzione di norme antinfortunistiche, posto che la stessa nozione di fatto, pur colta nella sua dimensione per l’appunto «fattuale», ha, ai fini dell’imputazione, inevitabilmente anche carattere normativo, in quanto presuppone la selezione e qualificazione da parte del legislatore del bene oggetto di tutela.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, i giudici di merito hanno indicato, con motivazione esente da vizi, da quali elementi istruttori sia emerso che il lavoratore infortunato fosse stato adibito anche prima del giorno dell’infortunio all’attività di verifica della tenuta di un serbatoio con aria compressa, nonché quali siano state le prove a sostegno dell’accertata presenza del B.A. nei pressi del lavoratore allorché poneva in essere tale pericolosa attività.
3.2. Ed esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Baratta, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv.244181). Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca,  in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificità con l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale.
4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Segue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 settembre 2017

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