Inquinamento acustico. Condominio, rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete. Art. 659 c.p. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 1746 del 16 gennaio 2017 (ud. 20 settembre 2016)

Pres. Rosi, Est. Renoldi

Inquinamento acustico. Rumore. Immissioni sonore superiori alla “normale tollerabilità”. Condominio. Rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete. Art. 659 c.p. .

La dimostrazione della sussistenza di una situazione di pericolo concreto per la quiete pubblica può essere offerta anche alla stregua delle dichiarazioni dei soggetti disturbati, potendo tale valutazione essere compiuta secondo un parametro di comune esperienza, purché idoneo a dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete. Nella specie, il giudice è stato in grado di accertare, con apprezzamento “in fatto”, come l’attività rumorosa determinata dall’uso dell’ascensore e dal continuo afflusso di frequentatori del centro di formazione, “con il connesso moltiplicarsi delle voci, delle attese, delle discussioni tra i frequentatori del centro”, avesse determinato una situazione di grave pregiudizio per la quiete pubblica e per il riposo delle persone, incidendo non soltanto sulla sfera personale di pochi soggetti, ma anche sull’intera collettività condominiale.
 
La fattispecie di cui all’art. 659 comma 1 c.p., riveste la natura di reato di pericolo concreto, sicché al fine della sua integrazione, è necessario verificare la effettiva idoneità della condotta, secondo una valutazione da compiere in concreto ed ex ante, ad arrecare disturbo al riposo o alle occupazioni di un numero indeterminato di persone (Cass. Pen., Sez. I, n. 7748 del 24/01/2012, dep. 28/02/2012, Giacomasso e altro; Sez. I, n. 44905 del 11/11/2011, dep. 2/12/2011, Mistretta e altro; Sez. I, n. 246 del 13/12/2007, dep. 7/01/2008, Guzzi e altro; Sez. I, n. 40393 del 08/10/2004, dep. 14/10/2004, P.G. in proc. Squizzato). E nel caso di attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Sez. I, n. 45616 del 14/10/2013, dep. 13/11/2013, Virgillito e altro; v., in termini, anche Sez. III, n. 23529 del 13/05/2014, dep. 05/06/2014, Ioniez, relativa all’esercizio di una discoteca e del disturbo recato al riposo delle persone abitanti nell’edificio in cui era ubicato il locale), pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare (Sez. I, n. 47298 del 29/11/2011, dep. 20/12/2011, lori), configurandosi in caso contrario un illecito civile che resta confinato nell’ambito dei rapporti di vicinato (così Sez. I, n. 17825 del 23/04/2002, dep. 10/05/2002, Tonello ed altro; Sez. I, n. 17670 del 19/03/2002, dep. 09/05/2002, Baratta e altro; Sez. I, n. 1406 del 12/12/1997, dep. 05/02/1998, P.C. e Costantini; Sez. 1, n. 5578 del 6/11/1995, dep. 04/06/1996, Giuntini ed altro). Peraltro, la dimostrazione della sussistenza di una situazione di pericolo concreto per la quiete pubblica può essere offerta anche alla stregua delle dichiarazioni dei soggetti disturbati (v. Sez. III, n. 11031 del 5/02/2015, Montali e altro; Sez. III, n. 23529 del 13/05/2014, Ioniez; Sez. I, n. 20954 del 18/01/2011, Torna; Sez. I, n. 7042 del 27/05/1996, Fontana), potendo tale valutazione essere compiuta alla stregua di un parametro di comune esperienza, purché idoneo a “dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete” (così, ancora, Sez. III, n. 11031 del 5/02/2015, Montali e altro).
 
L’art. 659 del codice penale, tra le contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, preveda due distinte ipotesi di reato: quella di cui al primo comma, la quale punisce il comportamento di colui il quale “mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici”; nonché quella di cui al secondo comma, che invece punisce il fatto di “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità”. Dunque, mentre la prima fattispecie, contemplata dal comma 1, punisce il disturbo della pubblica quiete da chiunque cagionato, peraltro con modalità espressamente e tassativamente determinate, la seconda, disciplinata dal comma 2, punisce le attività rumorose, industriali o professionali, esercitate in difformità dalle prescrizioni di legge o dalle disposizioni dell’autorità. In ogni caso, entrambe le fattispecie in questione tutelano la tranquillità pubblica, evitando che le occupazioni e il riposo delle persone possano venire disturbate con schiamazzi o rumori o con altre attività idonee ad interferire nel normale svolgimento della vita privata di un numero indeterminato di persone, con conseguente messa in pericolo del bene giuridico della pubblica tranquillità.
 
Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 1746 del 16 gennaio 2017 (ud. 20 settembre 2016)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Bernasconi Franco, nato a Umbertide il 25/09/1947;
avverso la sentenza del 7/01/2015 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott.ssa Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito, per l’imputato, l’Avv. Patrizia Macario, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 34/2015 in data 7/01/2015, depositata in data 18/03/2015, il Tribunale di Salerno condannò Franco Bernasconi alla pena, condizionalmente sospesa, di 300,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, in quanto riconosciuto colpevole della contravvenzione di cui all’art. 659, comma 1, cod. pen., per avere, in qualità di amministratore unico del CEPU-CEDS S.R.L. (Corsi Editati Schede Dispense S.r.l.) e localmente responsabile della sede CEPU di Salerno ubicata ai piani 1 (sede amministrativa) e 5 (sede dei corsi scolastici) della scala A nel condominio Palazzo Tescione sita nel Corso Vittorio Emanuele n. 140 di Salerno, consentendo nell’appartamento del 5 piano – scala A) rumori persistenti derivanti dall’attività scolastica e dal flusso continuativo della relativa utenza (con andirivieni quotidiano, mattutino e pomeridiano di persone tra studenti, docenti, personale d’ufficio, personale delle pulizie; continua apertura e chiusura delle porte dell’ascensore e della porta di ingresso dell’appartamento destinato a scuola) disturbato le occupazioni ed il riposo delle persone abitanti nel suddetto condominio; reato accertato in Salerno, nel periodo successivo al 15/07/2008. Con lo stesso provvedimento Franco Bernasconi fu assolto dal reato ascrittogli relativamente al periodo antecedente al 15/07/2008, per non avere commesso il fatto, avendo solo da tale data assunto il ruolo di legale rappresentante e amministratore della suddetta società, in precedenza rivestito da tale Gianluca POLIDORI.
L’imputato fu poi condannato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile Vera D’Ambrosia, da liquidarsi in separata sede, nonché alla refusione delle spese processuali del grado sopportate dalla stessa parte civile.
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore fiduciario, sulla base di tre distinti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, Bernasconi denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione ed erronea applicazione degli artt. 659 cod. pen., 533 e 192 cod. proc. pen., nonché la manifesta carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Il ricorrente deduce, in primo luogo, l’insussistenza dell’elemento oggettivo, atteso che la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. richiederebbe che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, debbano essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Infatti, la fattispecie contestata configurerebbe un reato di pericolo concreto, sicché sarebbe necessario, ai fini dell’integrazione della fattispecie penale, che la condotta oggetto dell’imputazione sia potenzialmente idonea alla effettiva lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, costituito dal diritto alla quiete nelle proprie occupazioni ed al riposo di una pluralità tendenzialmente ampia ed indeterminata di soggetti e non solo del singolo e ristretto gruppo di individui che soggiornino nei pressi del luogo dal quale originano le emissioni sonore.
Pertanto, quando l’attività disturbante si sia verificata in un edificio condominiale, non sarebbe sufficiente che i rumori arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti gli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, i quali, se lesi, potrebbero far valere le loro ragioni in sede civile, ma dovrebbe ricorrere una situazione di oggettiva e concreta idoneità dei rumori ad arrecare disturbo alla totalità degli occupanti dell’edificio o a quelli degli stabili prossimi e, dunque, ad un numero considerevole di soggetti.
Nel caso in esame, tuttavia, sarebbe emerso che gli unici danneggiati dai presunti rumori molesti causati dagli studenti attraverso l’uso dell’ascensore nonché dal “rumore” conseguente all’afflusso degli studenti e dei tutor alle sedi didattiche, sarebbero stati solo “alcuni condomini” occupanti il fabbricato, infastiditi da “rumori” connaturali e fisiologici al normale accesso, in orari diurni, alle sedi didattiche, regolarmente esistenti nel condominio.
Quanto poi all’elemento soggettivo, il ricorrente osserva che la responsabilità per “condotta omissiva” dell’imputato sarebbe stata affermata nonostante la prova che Bernasconi non conoscesse i fatti in contestazione, atteso che la teste Giordano, responsabile della sede CEPU di Salerno, avrebbe affermato di non avere personalmente parlato con l’imputato e “di avere rappresentato agli uffici superiori le doglianze”. Pertanto, la colpevolezza di Bernasconi sarebbe stata fondata esclusivamente sulle sua qualità di rappresentante legale ovvero per una sorta di responsabilità oggettiva.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la nullità della sentenza per applicazione, nel dispositivo, di una pena, quella della multa, del tutto illegittima in considerazione della natura contravvenzionale dell’illecito contestato, nonché per contrasto tra la motivazione e il dispositivo, avendo il primo giudice ritenuto che si trattasse di un errore materiale sanabile con una mera “precisazione” nella parte motiva della sentenza. Tale modus operandi sarebbe però illegittimo, in quanto il dispositivo non potrebbe essere modificato con la motivazione ed in caso di difformità tra di essi, il primo dovrebbe prevalere sulla seconda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere dichiarato rigettato.
2. Quanto al primo motivo di impugnazione, giova, preliminarmente, porre in luce come l’art. 659, inserito nel codice penale nell’ambito della sezione I del Capo I del Libro III, tra le contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, preveda due distinte ipotesi di reato: quella di cui al primo comma, la quale punisce il comportamento di colui il quale “mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici”; nonché quella di cui al secondo comma, che invece punisce il fatto di “chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità”. Dunque, mentre la prima fattispecie, contemplata dal comma 1, punisce il disturbo della pubblica quiete da chiunque cagionato, peraltro con modalità espressamente e tassativamente determinate, la seconda, disciplinata dal comma 2, punisce le attività rumorose, industriali o professionali, esercitate in difformità dalle prescrizioni di legge o dalle disposizioni dell’autorità (Sez. 3, n. 23529 del 13/05/2014, Ioniez, Rv. 259194). In ogni caso, entrambe le fattispecie in questione tutelano la tranquillità pubblica, evitando che le occupazioni e il riposo delle persone possano venire disturbate con schiamazzi o rumori o con altre attività idonee ad interferire nel normale svolgimento della vita privata di un numero indeterminato di persone, con conseguente messa in pericolo del bene giuridico della pubblica tranquillità.
Per quanto specificamente attiene alla fattispecie di cui al comma 1, se ne ritiene, in giurisprudenza, la natura di reato di pericolo concreto, sicché al fine della sua integrazione, è necessario verificare la effettiva idoneità della condotta, secondo una valutazione da compiere in concreto ed ex ante, ad arrecare disturbo al riposo o alle occupazioni di un numero indeterminato di persone (cfr. Sez. 1, n. 7748 del 24/01/2012, dep. 28/02/2012, Giacomasso e altro, Rv. 252075; Sez. 1, n. 44905 del 11/11/2011, dep. 2/12/2011, Mistretta e altro, Rv. 251462; Sez. 1, n. 246 del 13/12/2007, dep. 7/01/2008, Guzzi e altro, Rv. 238814; Sez. 1, n. 40393 del 8/10/2004, dep. 14/10/2004, P.G. in proc. Squizzato, Rv. 230643). E nel caso di attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Sez. 1, n. 45616 del 14/10/2013, dep. 13/11/2013, Virgillito e altro, Rv. 257345; v., in termini, anche Sez. 3, n. 23529 del 13/05/2014, dep. 05/06/2014, Ioniez, Rv. 259194, relativa all’esercizio di una discoteca e del disturbo recato al riposo delle persone abitanti nell’edificio in cui era ubicato il locale), pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare (Sez. 1, n. 47298 del 29/11/2011, dep. 20/12/2011, lori, Rv. 251406), configurandosi in caso contrario un illecito civile che resta confinato nell’ambito dei rapporti di vicinato (così Sez. 1, n. 17825 del 23/04/2002, dep. 10/05/2002, Tonello ed altro, Rv. 221411; Sez. 1, n. 17670 del 19/03/2002, dep. 09/05/2002, Baratta e altro, Rv. 221294; Sez. 1, n. 1406 del 12/12/1997, dep. 5/02/1998, P.C. e Costantini, Rv. 209694; Sez. 1, n. 5578 del 6/11/1995, dep. 04/06/1996, Giuntini ed altro, Rv. 204796).
Peraltro, la dimostrazione della sussistenza di una situazione di pericolo concreto per la quiete pubblica può essere offerta, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche alla stregua delle dichiarazioni dei soggetti disturbati (v. Sez. 3, n. 11031 del 5/02/2015, Montali e altro, citata; Sez. 3, n. 23529 del 13/05/2014, Ioniez, Rv. 259194; Sez. 1, n. 20954 del 18/01/2011, Torna, Rv. 250417; Sez. 1, n. 7042 del 27/05/1996, Fontana, Rv. 250324), potendo tale valutazione essere compiuta alla stregua di un parametro di comune esperienza, purché idoneo a “dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete” (così, ancora, Sez. 3, n. 11031 del 5/02/2015, Montali e altro, Rv. 263433).
2.1. Tanto premesso in termini di inquadramento generale, deve innanzitutto rilevarsi come si configuri del tutto coerente e puntuale, sul piano logico, la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito, il quale, sulla base delle testimonianze raccolte e della documentazione acquisita agli atti, è stato in grado di accertare, con apprezzamento “in fatto” certamente insindacabile in questa sede (Sez. 3, n. 11031 del 5/02/2015, dep. 16/03/2015, Montali e altro, Rv. 263433), come l’attività rumorosa determinata dall’uso dell’ascensore e dal continuo afflusso di frequentatori del centro di formazione, “con il connesso moltiplicarsi delle voci, delle attese, delle discussioni tra i frequentatori del centro”, avesse determinato una situazione di grave pregiudizio per la quiete pubblica e per il riposo delle persone, incidendo non soltanto sulla sfera personale di Carmela PETRAGLIA e della figlia Vera D’AMBROSIO, ma anche sull’intera collettività condominiale. Ciò che, nella specie, è stato adeguatamente accertato da parte del giudice di merito, attraverso un autentico vaglio di una serie cospicua di elementi indiziari, costituiti dalla sottoscrizione degli esposti da parte di diversi abitanti dell’immobile, dalle dichiarazioni rese da alcuni di essi, le cui abitazioni si trovavano su piano diverso da quello della stessa PETRAGLIA, come nel caso di Maria Giuseppa BOGGI, Giuseppe PIANTINO e Angela LA STELLA (la quale aveva riferito di essere stata costretta a ricorrere, per riposare, al rimedio dei “tappi” per le orecchie), nonché dagli accertamenti svolti dagli operatori dell’Arpac (i quali hanno riportato, nella propria relazione di servizio, che durante il suo funzionamento l’ascensore produceva un rumore ambientale di 50 Db, sicché l’uso frequente dello stesso determinava immissioni sonore superiori alla “normale tollerabilità”).
In questa prospettiva, appare del tutto logica e congruamente motivata l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui la circostanza che sia emerso come una pluralità di condomini abbia patito un marcato disagio a cagione delle condotte moleste riferibili alle ordinarie attività del Centro di formazione dimostra chiaramente la potenzialità diffusiva delle fonti di rumore, senz’altro idonee a determinare la concreta messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice contestata.
2.2. Parimenti infondata è la doglianza relativa alla ritenuta erroneità dei meccanismi di imputazione, anche sotto il profilo soggettivo, delle condotte contestate al legale rappresentante della società.
Secondo la tesi difensiva, infatti, la colpevolezza dell’imputato sarebbe stata fondata su un meccanismo di occulta responsabilità oggettiva. Ciò in quanto lo stesso Bernasconi non sarebbe stato a conoscenza delle rimostranze dei condomini e, dunque, del fatto che lo svolgimento delle ordinarie attività del Centro di formazione determinasse la emissione di onde sonore in grado di recare pregiudizio alla quiete pubblica; e, inoltre, perché le fonti di rumore sarebbero state sottratte alla sua possibilità di controllo, trattandosi di condotte riferibili a soggetti non rientranti tra i dipendenti della struttura, come appunto i frequentatori del centro CEPU.
Tale ricostruzione è, nondimeno, del tutto inconferente.
Il giudice di prime cure, con motivazione ineccepibile dal punto di vista della costruzione giuridica, ha innanzitutto posto in luce come il reato contestato possa essere portato a consumazione anche mediante condotte omissive, nella specie consistenti nel non avere adottato, in mancanza di una indimostrata delega di funzioni al personale in servizio nella sede di Salerno, le misure organizzative che, in ragione del suo ruolo formale, Bernasconi sarebbe stato tenuto ad assumere al fine di contenere le emissioni rumorose comunque connesse, in maniera sostanzialmente stabile, all’attività svolta dall’azienda di cui egli era legale rappresentante; e, dunque, al fine di impedire qualunque pregiudizio alla quiete pubblica.
Tale mancanza, oltre a rilevare sotto l’aspetto dell’elemento oggettivo della fattispecie in esame, configura altresì, in capo all’odierno imputato, un evidente profilo di negligenza, suscettibile di integrare il coefficiente soggettivo di natura colposa richiesto, per gli illeciti contravvenzionali, dall’art. 42 cod. pen.. Ciò in quanto, come correttamente rilevato dal primo giudice, il legale rappresentante della CESD S.r.l. sarebbe stato certamente nella condizione di impartire, in maniera non estemporanea, puntuali disposizioni organizzative finalizzate, anche attraverso una diversa modulazione degli orari di lezione, a meglio distribuire, nell’arco della giornata, la presenza degli studenti all’interno della struttura e, conseguentemente, a limitare l’uso dell’ascensore, in specie in orario pomeridiano o dopo le 20, o comunque ad impedire l’eccessiva durata della sosta nei pianerottoli da parte dei frequentatori del centro, essendo pacificamente emerso, sulla base di quanto riferito dalla teste Maria GIORDANO, in servizio presso la sede salernitana della società, che allorquando era stato richiesto a studenti e docenti, a causa delle ripetute lamentele dei condomini, di adottare condotte meno rumorose, i disagi per i residenti erano, sia pur provvisoriamente, diminuiti. Ciò che all’evidenza dimostra, come correttamente osservato dal Tribunale salernitano, che sarebbe stato certamente possibile assumere acconce iniziative al fine di limitare l’incidenza delle fonti di rumore, garantendo così la tranquillità dei condomini e degli occasionali visitatori di Palazzo Tescione.
3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata è, infatti, del tutto evidente il lapsus calami nel quale è incorso il primo giudice, laddove la pena è stata indicata, in dispositivo, in euro 300,00 di “multa” e non di “ammenda”, quale frutto di un evidente errore di carattere materiale. Tanto è vero che la sentenza, proprio in motivazione, ha fatto espressamente riferimento alla necessità di correggere l’errore e alla volontà del giudice di procedere in tale senso.
Tale modus operandi è conforme all’orientamento di questa Corte, pienamente condiviso da questo Collegio in quanto rispondente a imprescindibili esigenze di economia processuale, secondo cui in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del dispositivo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice.
Infatti, ove la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall’esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volontà del giudice, questa Corte ha già affermato che la motivazione deve prevalere sul dispositivo e che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del secondo (v., sostanzialmente in termini, Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016, dep. 23/06/2016, Ferlito e altro, Rv. 267153; Sez. F, n. 47576 del 9/09/2014, dep. 18/11/2014, Savini, Rv. 261402; Sez. 5, n. 7427 del 26/09/2013, dep. 17/02/2014, Rallo e altri, Rv. 259029).
Ne consegue l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso.
4. Pertanto, e conclusivamente, il ricorso formulato da Franco Bernasconi deve essere rigettato.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016