Inquinamento acustico e atmosferico. Rumore, individuazione delle immissioni di gas di scarico da caldaie e miasmi da pozzo nero, fumo o calore, mezzi di prova. Cassazione Civile.

Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 20555 del 30 agosto 2017 (ud. 5 luglio 2017)

Pres. Bianchini, Est. Scarpa

Inquinamento acustico. Rumore. Inquinamento atmosferico. Immissioni e livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. . Individuazione  della intollerabilità delle immissioni di gas di scarico derivanti dalle caldaie e da miasmi da sfiati provenienti dal pozzo nero del condominio. Mezzi di prova esperibili. Indagine tecnica e testimoniale sulle stesse circostanze di fatto. Condominio. Distanze legali nei rapporti fra proprietari. Condizione abitativa e igiene. Apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni. Immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni. Principio della sana convivenza. Limiti. Immissioni di fumo o di calore e rapporti tra i proprietari di fondi vicini. Valutazione di sopportabilità.

In tema di immissioni, i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d’ufficio con funzione “percipiente”, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi (Cass. Sez. II, 20/01/2017, n. 1606). Altrettanto può certamente dirsi ove l’indagine tecnica sia preferita dal giudice di merito, rispetto all’assunzione di prove costituende, per l’accertamento di accadimenti i quali, sia pure sul fondamento di dati obbiettivi, possono essere posti in luce soltanto attraverso una particolare esperienza tecnica (nella specie, la sussistenza di allagamenti, o la presenza sui luoghi di causa di impianti di scarico delle acque di particolari dimensioni o caratteristiche di funzionamento). D’altro canto, la valutazione di superfluità dell’assunzione di prove per interrogatorio formale o per testimoni sulle stesse circostanze di fatto che siano già state oggetto di accertamento peritale costituisce espressione di un giudizio discrezionale del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, congruamente motivato.

Negli edifici condominiali, la disciplina in tema di distanze legali nei rapporti fra proprietà singole non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass. Sez. II, 15/07/1995, n. 7752; Cass. Sez. II, 18/06/1991, n. 6885; Cass. Sez. II, 05/12/1990, n. 11695).

La disposizione dell’art. 844 c.c. è applicabile anche negli edifici in condominio nell’ipotesi in cui un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, tuttavia, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. Dalla convivenza nell’edificio, tendenzialmente perpetua (come si argomenta dall’art. 1119 c.c.), scaturisce talvolta la necessità di tollerare propagazioni intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini; per contro, la stessa convivenza suggerisce di considerare in altre situazioni non tollerabili le immissioni, che i proprietari dei fondi vicini sono tenuti a sopportare. Il principio, dunque, va precisato in considerazione delle condizioni di fatto, del tutto peculiari, consistenti nei confini in senso orizzontale e verticale tra le unità abitative. In particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale, cui è informato l’art. 844 cit., impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (artt. 14, 31, 47 Cost.) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali (Cass. Sez. II, 15/03/1993, n. 3090).

In tema, poi, di immissioni di fumo o di calore, le disposizioni dettate, con riguardo, nella specie, all’installazione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia o della tutela dall’inquinamento ambientale (disposizioni che attengono a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla tutela dell’interesse collettivo della salvaguardia della salute in generale, ed i privati, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria) non regolano direttamente i rapporti tra i proprietari di fondi vicini, per i quali vige la disciplina dell’art. 844 c.c., disciplina che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse (arg. da Cass. Sez. II, 25/08/2005, n. 17281; Cass. Sez. II, 29/04/2002, n. 6223; Cass. Sez. VI-II, 01/02/2011, n. 2319; Cass. Sez. II, 17/01/2011, n. 939).

Il giudice civile non è necessariamente vincolato dalla normativa tecnica prescritta per limitare l’inquinamento ed i consumi energetici, e, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo motivatamente al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., sulla scorta di un prudente apprezzamento di fatto che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, e che rimane, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità. Spetta, quindi, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa, supponendo tale accertamento un’indagine di fatto, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di cassazione di prendere direttamente in esame l’intensità o la nocività delle emissioni per sollecitarne una diversa valutazione di sopportabilità.

Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 20555 del 30 agosto 2017 (ud. 5 luglio 2017)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 24989-2013 proposto da:

CERQUETTINI EVELINA CRQVLN29P59G453G, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO ROGNONI;

– ricorrente –

contro

PUCCI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCO ANTONAZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO MOROSINI;

– controricorrente –


nonchè contro

FANO IMMOBILIARE SRL, GERBONI GABRIELE, CONDOMINIO I LECCI VIA ROSSINI 13/15A FANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 469/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 19/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso ed il rigetto dei restanti motivi, ovvero in subordine per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Rognoni e Antonazzo, per delega dell’Avvocato Morosini.

FATTI DI CAUSA

Evelina Cerquettini ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 469/2012 del 19/07/2012, che ne aveva rigettato l’appello formulato contro la sentenza resa il 12 gennaio 2005 dal Tribunale di Pesaro.

Resiste con controricorso Paolo Pucci, mentre la Fano Immobiliare s.r.l., Gabriele Gerboni e il Condominio I Lecci, via Rossini, 13, 13A, 15, 15A di Fano, rimangono intimati senza svolgere attività difensive.

Il giudizio trae origine dalla domanda avanzata da Evelina Cerquettini nei confronti di Paolo Pucci, della Fano Immobiliare s.r.l., di Gabriele Gerboni e del Condominio I Lecci, via Rossini, 13, 13A, 15, 15A, Fano. L’attrice aveva chiesto di accertare i vizi dell’immobile vendutole dalla Fano Immobiliare s.r.l. con atto del 4 dicembre 1995, condannando questa, nonché gli altri convenuti, oltre che ai danni, all’eliminazione delle diverse cause di pregiudizio nel godimento del bene, quali: le esalazioni di fumi di scarico dalle caldaie degli appartamenti sottostanti, di proprietà Pucci e Gerboni; i miasmi da sfiati provenienti dal pozzo nero di proprietà del condominio I Lecci, che comprende l’appartamento della Cerquettini; gli allagamenti in occasione delle piogge per l’inidoneità degli scarichi delle acque. Il Condominio I Lecci chiamava in garanzia la Sai Assicurazioni s.p.a.

Espletata CTU, il Tribunale di Pesaro aveva rigettato tutte le domande per assenza di prova dei vizi lamentati, essendo risultato, in particolare: che le caldaie fossero conformi alla normativa esistente all’epoca della loro installazione, quando non era ancora vigente il d.P.R. n. 412/1993; che lo sfiato fosse correttamente collocato sulla copertura del tetto e non ne provenissero miasmi intollerabili; che, una volta riparato il filtro dello scarico di raccolta delle acque, il deflusso delle stesse fosse ritornato regolare; che non era stata allegata, né comunque provata, l’intollerabilità delle immissioni di gas di scarico derivanti dalle caldaie, come anche delle esalazioni provenienti dalla fossa biologica.

La Corte d’Appello di Ancona, dopo aver richiesto chiarimenti al CTU sulla questione dei fumi provenienti dalle caldaie, ha parimenti negato difetti di manutenzione delle caldaie, o violazioni delle norme tecniche che rendessero intollerabili le immissioni; come anche la sussistenza dei miasmi provenienti dallo sfiato posto sulla copertura dell’edificio imputabili a difetti tecnici dell’impianto condominiale. La Corte di merito ha conseguentemente escluso pure la garanzia per vizi redibitori dovuta dalla venditrice dell’immobile.

La ricorrente Evelina Cerquettini e il controricorrente Paolo Pucci hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, deve rilevarsi che il ricorso non è stato notificato alla SAI Assicurazioni S.p.A., chiamata in garanzia dal Condominio I Lecci e parte ancora del giudizio di appello. E’ noto come la chiamata in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile dia luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che nei giudizi di impugnazione determina l’inscindibilità delle cause a norma dell’art. 331 c.p.c. Pur tuttavia, poiché il ricorso appare prima facie infondato, risulta superflua la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c. per l’integrazione del contraddittorio nei confronti della SAI Assicurazioni S.p.A., atteso che la  concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizionedel giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficioper la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

I. Il primo motivo di ricorso di Evelina Cerquettini denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, lamentando ancora, come fatto con l’appello, la mancata ammissione delle prove per interrogatorio formale e per testimoni dedotte in primo grado, i cui capitoli sono ritrascritti in ricorso, in ordine alla fuoriuscita delle esalazioni e dei miasmi, agli allagamenti ed alle caratteristiche degli impianti di scarico.

I.1. Il motivo è infondato.

La Corte di Ancona ha motivato al riguardo che “trattandosi di controversia nella quale i profili tecnici rivestono un aspetto determinante, la consulenza tecnica, anche all’esito dei chiarimenti richiesti al CTU in grado di appello, rappresenta un elemento esaustivo e completo, ai fini della risoluzione delle questioni”, non risultando pertanto “necessario l’espletamento di ulteriori incombenti istruttori, al fine di chiarire gli aspetti tecnici, già posti adeguatamente in luce da parte del CTU”. Come di recente affermato da questa Corte, in tema di immissioni, i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d’ufficio con funzione “percipiente”, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi (Cass. Sez. 2, 20/01/2017, n. 1606). Altrettanto può certamente dirsi ove l’indagine tecnica sia preferita dal giudice di merito, rispetto all’assunzione di prove costituende, per l’accertamento di accadimenti i quali, sia pure sul fondamento di dati obbiettivi, possono essere posti in luce soltanto attraverso una particolare esperienza tecnica (nella specie, la sussistenza di allagamenti, o la presenza sui luoghi di causa di impianti di scarico delle acque di particolari dimensioni o caratteristiche di funzionamento). D’altro canto, la valutazione di superfluità dell’assunzione di prove per interrogatorio formale o per testimoni sulle stesse circostanze di fatto che siano già state oggetto di accertamento peritale costituisce espressione di un giudizio discrezionale del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, congruamente motivato.

II. Il secondo motivo di ricorso di Evelina Cerquettini denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’artt. 871 c.c., dell’art. 5 del d.P.R. n. 412/1993, dell’art. 98 Regolamento edilizio Comune di Fano, della legge n. 615/1996, del d.P.R. 1991/1970, dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Si critica la sentenza della Corte di Ancona per aver affermato che gli impianti termici installati nelle proprietà Pucci e Gerboni fossero conformi ai progetti ed alle certificazioni, nonché alle norme tecniche vigenti, e non presentassero difetti di manutenzione o valori di emissioni superiori alla norma. Si richiamano le contestazioni mosse alla CTU, si assume che l’epoca di ultimazione degli impianti (13 ottobre 1995) rendesse gli stessi soggetti al d.P.R. n. 512/1993 ed all’art. 98 del Regolamento edilizio comunale, si prospetta la violazione della distanza di cui all’art. 890 c.c.

Il terzo motivo di ricorso di Evelina Cerquettini denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’artt. 844 e.e e dell’art. 112 c. p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in punto di tollerabilità delle emissioni delle caldaie. Viene dedotta la mancata risposta del CTU ai chiarimenti richiestigli dalla Corte d’Appello e lamentata la mancata considerazione delle note della U.S.L. n. 3 di Fano e della A.S.U.R. Marche, inerenti le caratteristiche che devono avere le canne fumarie delle caldaie. Si sottolinea come gli scarichi delle caldaie siano posti a circa 2,5 metri dalle fineste dell’appartamento della ricorrente.

II.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, perché connessi, e si rivelano in parte inammissibili ed in parte infondati.

Le due censure sono inammissibili ove denunciano la violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme (nella specie, la legge n. 615/1996, il d.P.R. 1991/1970), perché così precludono al collegio di individuare la norma che si assume violata o falsamente applicata (cfr. Cass. Sez. U, 18/07 /2013, n. 17555). Le stesse sono del pari inammissibili ove allegano l’omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., essendo la stessa astrattamente configurabile da parte del giudice d’appello soltanto ove sia allegata la totale carenza di considerazione di una domanda o di un’eccezione (e non di una mera allegazione difensiva) sottoposta al suo esame con la formulazione di uno specifico motivo di gravame, e sempre che il medesimo giudice abbia mancato completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, indispensabile alla soluzione del caso concreto. D’altro canto, l’omessa pronuncia, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, da far valere in cassazione attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia dell’inosservanza dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4, c.p.c. – presuppone un difetto di attività del giudice di secondo grado, e non, come nel caso di specie, che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza ma l’abbia risolta in modo che alla parte sembri giuridicamente non corretto, o non adeguatamente giustificato.

La questione giuridica della distanza delle caldaie sotto il punto di vista della regolamentazione di cui all’art 890 c.c., che implica all’evidenza accertamenti di fatto incompatibili col processo di cassazione, non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, né la ricorrente specifica, come prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto del giudizio di merito fosse avvenuta la deduzione di tale questione, sicchè la stessa deve qui intendersi come inammissibilmente nuova.

Si consideri, comunque, l’orientamento di questa Corte, secondo il quale, negli edifici condominiali, la disciplina in tema di distanze legali nei rapporti fra proprietà singole non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass. Sez. 2, 15/07/1995, n. 7752; Cass. Sez. 2, 18/06/1991, n. 6885; Cass. Sez. 2, 05/12/1990, n. 11695).

Quanto al resto, la Corte d’Appello di Ancona, recependo le indicazioni del CTU, ha negato che l’intervento di manutenzione straordinaria eseguito dopo l’ottobre 1995 rendesse le caldaie soggette all’art. 5 del d.P.R. n. 412/1993, e, valutata l’entità dei fumi da essere provenienti, ha considerato i valori nella norma, tali da non arrecare alcun pregiudizio all’ambiente, ed ha poi definito gli impianti conformi alle vigenti prescrizioni tecniche.

Come da questa Corte già chiarito, d’altro canto, la disposizione dell’art. 844 c.c. è applicabile anche negli edifici in condominio nell’ipotesi in cui un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, tuttavia, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. Dalla convivenza nell’edificio, tendenzialmente perpetua (come si argomenta dall’art. 1119 c.c.), scaturisce talvolta la necessità di tollerare propagazioni intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini; per contro, la stessa convivenza suggerisce di considerare in altre situazioni non tollerabili le immissioni, che i proprietari dei fondi vicini sono tenuti a sopportare. Il principio, dunque, va precisato in considerazione delle condizioni di fatto, del tutto peculiari, consistenti nei confini in senso orizzontale e verticale tra le unità abitative. In particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale, cui è informato l’art. 844 cit., impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (artt. 14, 31, 47 Cost.) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali (Cass. Sez. 2, 15/03/1993, n. 3090).

In tema, poi, di immissioni di fumo o di calore, le disposizioni dettate, con riguardo, nella specie, all’installazione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia o della tutela dall’inquinamento ambientale (disposizioni che attengono a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla tutela dell’interesse collettivo della salvaguardia della salute in generale, ed i privati, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria) non regolano direttamente i rapporti tra i proprietari di fondi vicini, per i quali vige la disciplina dell’art. 844 c.c., disciplina che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse (arg. da Cass. Sez. 2, 25/08/2005, n. 17281; Cass. Sez. 2, 29/04/2002, n. 6223; Cass. Sez. 6-2, 01/02/2011, n. 2319; Cass. Sez. 2, 17/01/2011, n. 939).

Si vuol quindi dire che non hanno decisività le censure svolte dalla ricorrente avendo riguardo ai parametri fissati dalla normativa speciale in tema di requisiti e dimensionamento degli impianti termici negli edifici (in quanto diretti alla protezione di esigenze della collettività di rilevanza pubblicistica), pur potendo gli stessi essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano. Il giudice civile non è infatti necessariamente vincolato dalla normativa tecnica prescritta per limitare l’inquinamento ed i consumi energetici, e, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo motivatamente al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., sulla scorta di un prudente apprezzamento di fatto che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, e che rimane, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità. Spetta, quindi, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa, supponendo tale accertamento un’indagine di fatto, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di cassazione di prendere direttamente in esame l’intensità o la nocività delle emissioni per sollecitarne una diversa valutazione di sopportabilità.

Il ricorso, nel denunciare vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza della Corte di Ancona, sotto il profilo dell’omesso esame di circostanze e di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., si limita a censure di erroneità e/o di inadeguatezza delle stime peritali, e si risolve, dunque, nel far valere la non rispondenza della ricostruzione delle vicende di lite operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della ricorrente, proponendosi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, ovvero una nuova pronuncia sulle vicende di lite volta a sovvertire aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, che attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’ iter formativo di tale convincimento.

III. Il quarto motivo di ricorso di Evelina Cerquettini denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490, 1497 e/o 1667, 1669, 844, 2043 c.c., dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La complessa censura è diretta alla parte della sentenza impugnata che ha affermato, sempre in adesione alla CTU, che i miasmi provenienti dallo sfiato posto sulla copertura dell’edificio, qualificati come “lievi inconvenienti che possono derivare all’abitazione dell’appellante”, non sono attribuibili a difetti tecnici dell’impianto condominiale (in quanto “eseguito a regola d’arte”) e sono agevolmente eliminabili mediante la sostituzione del coppo con un camino in cotto, senza perciò dar luogo ad un vizio redibitorio ex art. 1490 c.c..

La ricorrente ribadisce la portata delle proprie domande, trascurate dalla Corte d’Appello: azione ex artt. 1490, 1497 e ex artt. 1667, 1669 c.c. nei confronti della Fano Immobiliare s.r.l., in quanto venditrice, ma anche appaltatrice dell’appartamento; azione ex artt. 844, 2043 c.c. nei confronti del Condominio I Lecci.

111.1. Il quarto motivo di ricorso è in parte inammissibile e per il resto infondato.

E’ inammissibile la prospettazione dell’applicazione del regime di responsabilità previsto dagli artt. 1667 e 1669 c.c. alla Fano Immobiliare s.r.l., in quanto tale duplice qualità di costruttrice – venditrice, del tutto ignorata dalla sentenza impugnata, implica un nuovo accertamento di fatto sul contenuto del rapporto contrattuale fra le parti, che non è in alcun modo compatibile coi limiti del giudizio di legittimità; né, del resto, la ricorrente indica specificamente, ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto dei pregressi gradi di merito tale questione fosse stata prospettata.

La Corte d’Appello ha poi negato la garanzia della venditrice Fano Immobiliare s.r.l. per vizi dell’immobile ex art. 1490 c.c., definendo non tale l’esigenza di un intervento modificativo del coppo del pozzo nero con un camino in cotto. Il ragionamento della Corte d’Appello sul punto è coerente con l’interpretazione dell’art. 1490 e dell’art. 1497 c.c. costante nella giurisprudenza di questa Corte, per cui il vizio redibitorio (ex art. 1490 c.c., che riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa venduta), al pari della mancanza di qualità promesse o essenziali (ex art. 1497 cod. civ., che attiene alla natura del bene e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra), suppone il riscontro di difetti capaci di rendere la res alienata inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito. Né appare certamente irragionevole la valutazione, fatta dalla Corte d’Appello, di negare all’acquirente di un appartamento inserito in un condominio edilizio l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui agli artt 1490 e ss. c.c., in correlazione all’imperfetto funzionamento dell’impianto fognario o del pozzo nero condominiali.

Quanto alla domanda di immissioni rivolta al condominio sempre per i miasmi provenienti dal pozzo nero, la Corte d’Appello ha non solo affermato che esso fosse a norma e mantenuto a regola d’arte (il che, invero, non escluderebbe ex se la reponsabilità ex art. 2043 c.c. del Condominio: cfr. Cass. Sez. 2, 31/10/2014, n. 23283), ma ha anche sottolineato come il Tribunale avesse rilevato che la Cerquettini non aveva neppure allegato l’intollerabilità delle esalazioni provenienti dalla fossa biologica, ed ha richiamato il giudizio del CTU sui “lievi inconvenienti” derivanti all’abitazione della ricorrente per gli sfiati del pozzo nero, peraltro comodamente eliminabili con un modesto intrevento manutentivo, così compiendo anche un implicito giudizio di non eccedenza delle esalazioni rispetto alla normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.

IV. Il quinto motivo di ricorso di Evelina Cerquettini denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490, 1497 e/o 1667, 1669, c.c., dell’art. 44 della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 86 ter del 1965, dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La complessa. Si critica la Corte d’Appello di Ancona per aver “ritenuto la tutela richiesta dalla Cerquettini non meritevole di tutela in quanto la situazione accertata dal C. T. U non sarebbe riconducibile a vizio redibitorio e l’applicazione del filtro e la manutenzione dello scarico eviterebbero pericoli di intasamento”.

IV.1. Il quinto motivo di ricorso, al pari del quarto, è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Torna l’inammissibile, perché nuova, prospettazione dell’applicazione del regime di responsabilità previsto dagli artt.1667 e 1669 c.c. alla Fano Immobiliare s.r.l., secondo quanto già spiegato in risposta al precedente motivo.

Si aggiunge qui la denuncia della violazione di una circolare ministeriale, la quale non può mai costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, in quanto le circolari ministeriali non contengono norme di diritto, e danno luogo, piuttosto, ad atti unilaterali di natura negoziale o amministrativa (cfr. Cass. Sez. 3, 19/06/2008, n.16612).

Infondate sono analogamente le doglianze sull’apprezzamento di fatto che la Corte di merito ha operato in ordine alla non configurabilità di un vizio redibitorio dell’appartamento ex art.1490 c.c. con riguardo all’impianto di scarico delle acque piovane.

V. Consegue il rigetto del ricorso.

Le spese processuali del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore del controricorrente Paolo Pucci, mentre non occorre provvedere in proposito per la Fano Immobiliare s.r.l., per Gabriele Gerboni e per il Condominio I Lecci, i quali non hanno svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d. P. R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.


P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese processuali sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.200,00, di cui € 200,00 per esborsi.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i(ricorsi), a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2017.