Acque. Inquinamento idrico, nozione di scarico, collettamento, acceidentalità della fuoriuscita. Cassazione Penale n. 5239/2017

Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5239 del 3 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)

Pres. Ramacci, Est. Andreazza

Acque. Inquinamento idrico. Nozione di scarico e accidentalità della fuoriuscita di sostanze. Responsabilità del legale rappresentante ed amministratore della società. Artt. 74, 91, 124, 137, 318 septies, 318 octies d.lgs. n. 152/2006.
In materia di inquinamento, secondo la definizione di scarico offerta dall’art. 74, comma 1, lett. ff), del d.lgs. n. 152 del 2006, è  tale “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore”, ivi rientrando acque superficiali, suolo e sottosuolo. Né possono assumere rilievo in ordine alla nozione in oggetto considerazioni attinenti alla accidentalità dello scarico, influenti invece, come si dirà subito oltre, sotto altro e diverso profilo, o alla sua episodicità, non venendo, evidentemente, sol per questo, alterata la fisionomia in sé della condotta e la sua rispondenza, quanto allo scarico posto in essere, alla nozione di legge (Cass., Sez. III, n. 47038 del 07/10/2015, dep. 27/11/2015, Branca).


Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5239 del 3 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Buja Giuliano, n. a Padova il 23/03/1960;
avverso la sentenza del 04/11/2015 del Tribunale di Vicenza;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S. Tocci, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia Avv. G. Caruso che ha concluso per l’accoglimento;
 
RITENUTO IN FATTO
1. Buja Giuliano ha proposto ricorso nei confronti del Tribunale di Vicenza di condanna per il reato di cui agli artt. 124 e 137 del d.lgs. n. 152 del 2006 per avere effettuato, quale legale rappresentante della ditta Italcolor S.r.l., uno scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione.
2. Con un primo motivo lamenta la violazione dell’art. 74, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006 in relazione alla nozione di scarico e alla accidentalità della fuoriuscita delle sostanze. In particolare, assume che lo scolo di acque reflue creatosi occasionalmente per la rottura di parti dell’impianto dovrebbe essere qualificato non come scarico, che presuppone un sistema di deflusso stabile, bensì come rifiuto liquido, con conseguente applicabilità della parte IV del c.d. testo unico ambientale con conseguente difetto di tipicità del fatto o comunque necessità di contestazione suppletiva per il fatto diverso. Il sistema di collettamento delle acque industriali non poteva qualificarsi come scarico rilevante ex art. 137 cit. Dopo avere descritto il funzionamento dell’impianto di depurazione utilizzato per condensare i residui delle pitture industriali, deduce come nessuna possibilità potesse esservi, salvo eventi accidentali o non prevedibili, che liquidi del tipo di quello riversatosi nel fiume Tesinella potessero riversarsi nell’ambiente esterno, con conseguente non necessità di alcuna previa autorizzazione. Ed infatti, in data 2/3/2012, si era verificato che la valvola di chiusura del ciclo produttivo era rimasta accidentalmente aperta, tanto da determinare il riversamento del refluo nel pozzetto per poi incanalarsi in una tubazione sfociante sul piazzale retrostante lo stabilimento; il refluo aveva così dapprima imbrattato il piazzale e poi era colato attraverso delle fessure apertesi sul cemento fino a giungere, attraverso dei tombini, nel fiume Tesinella.
3. Con un secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’attribuibilità della manomissione della valvola e alla sussistenza del dolo o della colpa del fatto. Deduce in particolare l’indebita valorizzazione delle dichiarazioni testimoniali del figlio dell’imputato laddove lo stesso ha parlato di negligenza intendendo tuttavia riferirsi alla negligenza di chi, estraneo all’azienda, aveva, il giorno prima del fatto, messo le mani sul depuratore, e in ogni caso la non considerazione delle dichiarazioni in ordine alla accidentalità comunque del fatto. Lamenta la mancata motivazione circa il collegamento logico tra sversamento e intervento di manutenzione dell’impianto avvenuto il giorno prima a cura della ditta. Inoltre evidenzia l’illazione della sentenza rappresentata dalla affermata possibilità che lo scarico venisse usato in altre e diverse occasioni. Invoca, da un lato, l’assenza di dolo posto che, diversamente, si dovrebbe ritenere che, del tutto assurdamente, il percorso ad ostacoli seguito dal refluo sia stato appositamente predisposto e, dall’altro, l’assenza di colpa stante che né in relazione alle fessure nel cemento, che hanno consentito la fuoriuscita del refluo dal piazzale né in relazione alla apertura della valvola, potrebbe essere mosso alcun rimprovero all’imputato, stante il caso fortuito della prima circostanza e l’adozione di un programma giornaliero di manutenzione quanto alla seconda tanto, più avendovi solo il giorno prima messe le mani il personale
della ditta Crat Servizi incaricata di studiare la sicurezza degli impianti e non essendosi mai in precedenza verificatosi un analogo sversamento. Anzi era emerso che, subito dopo il fatto, l’imputato si era prodigato per arrestare lo sversamento contattando apposita ditta.
4. Con un terzo motivo lamenta la illegittima disapplicazione della lex specialis relativa alla tutela della laguna di Venezia ex art.9, comma 6, l. n. 171 del 1973 operata dall’ordinanza con cui si è respinta la richiesta di oblazione in relazione a tale invocata fattispecie in luogo di quella contestata. Deduce che il fiume Tesinella di Grisignano di Zocco confluisce nel bacino lagunare e censura che il Tribunale abbia ritenuto di affermare l’abrogazione di tale norma ad opera dell’art. 137, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006, pena altrimenti l’incostituzionalità di una diversa conclusione giacché, in particolare dall’art. 91 comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006 si evince esattamente il contrario. Di qui la richiesta di annullamento con trasmissione degli atti al Tribunale affinché l’imputato possa richiedere l’oblazione.
5. Con un quarto motivo lamenta il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. attesa la perdita occasionale e durata solo poche ore coinvolgente un’area di appena 3 mq.
6. Infine, con un ultimo motivo, lamenta l’omessa declaratoria della causa estintiva di cui all’art. 318 septies del d.lgs. n. 152 del 2006 per essersi l’imputato prontamente attivato per la bonifica e la risoluzione del problema e dovendo la causa estintiva del reato retroagire quale lex mitior, diversamente dovendo denunciarsi la illegittimità costituzionale della disciplina transitoria di cui all’art. 318 octies, che tale retroattività esclude, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost.
In ogni caso chiede il riconoscimento dell’attenuante speciale ex art. 140 del d.lgs cit. ovvero dell’attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. ovvero ancora la concessione della sospensione condizionale della pena illegittimamente negata sul presupposto di una sua successiva eventuale necessità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con riguardo anzitutto al primo motivo, va in primo luogo disatteso l’assunto del ricorrente secondo cui lo sversamento dei reflui industriali riscontrato nella specie non sarebbe riconducibile alla nozione di “scarico”.
Dalla ricostruzione in punto di fatto effettuata dalla sentenza impugnata e in questa sede non sindacabile giacché logicamente motivata, emerge infatti che il personale dell’Arpav, portatosi in loco su chiamata dei carabinieri che avevano rilevato la presenza di reflui di colore blu nel fiume Tesinella, ebbe a constatare che lo sversamento era derivato dall’azienda dell’imputato per il tramite di una condotta posta nel piazzale avente le caratteristiche di “un vero e proprio scarico, costituito da opere che consentivano il deflusso di acque liquide attraverso tubazioni” (v. in particolare pag.7). In particolare, attraverso una prova effettuata facendo scorrere acqua, si poteva constatare che il sistema di depurazione dell’azienda scaricava i reflui dell’idropittura, consistenti in acqua colorata, con presenza di elementi inquinanti, nel piazzale retrostante la ditta, da dove, poi, confluivano nel fiume Tesinella (v. pag.6).
Non può quindi sussistere dubbio sul fatto che, nella specie, la sentenza abbia motivatamente dato atto di una condotta integrante quella di effettuazione di uno scarico alla luce della definizione che di scarico offre l’art. 74, comma 1, lett. ff), del d.lgs. n. 152 del 2006, laddove, come tale, è appunto definita “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore”, ivi rientrando acque superficiali, suolo e sottosuolo.
Né possono assumere rilievo in ordine alla nozione in oggetto considerazioni attinenti alla accidentalità dello scarico, influenti invece, come si dirà subito oltre, sotto altro e diverso profilo, o alla sua episodicità, non venendo, evidentemente, sol per questo, alterata la fisionomia in sé della condotta e la sua rispondenza, quanto allo scarico posto in essere, alla nozione di legge (si veda anche in tal senso, Sez. 3, n. 47038 del 07/10/2015, dep. 27/11/2015, Branca, Rv. 265554).
2. Ciò posto, va tuttavia rilevato che la stessa sentenza ha affermato, a pag.8, che “l’imputato non voleva provocare lo sversamento dei reflui di lavorazione che avvenne, come riferito anche dal testimone della difesa Buja Alberto, figlio dell’imputato, per negligenza”, in tal modo introducendo tuttavia un elemento inevitabilmente destinato a porre in discussione, come indirettamente lamentato dal primo motivo di ricorso sia pure con riferimento alla mancanza dell’elemento soggettivo, la stessa configurabilità del reato quanto in particolare al requisito della necessaria mancanza di autorizzazione. Non può infatti non considerarsi che in tanto può logicamente pretendersi la presentazione di una richiesta di autorizzazione all’effettuazione dello scarico, frutto di necessario atto volitivo, in quanto lo scarico stesso sia, se non programmato, quanto meno ragionevolmente prevedibile sì che laddove, come invece appare emergere dalla sentenza, lo sversamento sia invece stato il risultato di una condotta accidentale provocata da negligenza, occorre la dimostrazione che l’interessato fosse nelle condizioni di prevedere che un tale fatto si potesse appunto ragionevolmente verificare; diversamente, infatti, non potrebbe imputarglisi la omessa richiesta dell’autorizzazione, ma, semmai la diversa condotta, perfettamente compatibile anche con l’accidentalità del fatto, del superamento dei limiti tabellari, nella specie, tuttavia, non contestata.
Né può essere seguita sul punto la decisione di questa Corte che, anche in presenza di fatto accidentale, pare avere ritenuto configurabile, nella vigenza dell’art.21 della l.n. 319 del 1976, il reato di scarico senza autorizzazione sul presupposto che “la punibilità sussiste per il fatto in sé dello scarico effettuato al di fuori del limite normativo costituito dalla previa autorizzazione” (Sez. 3, n. 6954 del 06/06/1996, dep. 09/07/1996, Paggiu, Rv. 205721) atteso che in tal modo si finisce per configurare il reato in termini di mera responsabilità oggettiva.
Sennonché, in ordine a tale specifico punto, la cui trattazione tanto più era necessaria in quanto sempre la sentenza pare dare atto della circostanza che lo scarico si sarebbe verificato a seguito di operazioni di manutenzione degli impianti (v. pag. 7), la decisione impugnata nulla appare precisare venendo anzi affermato che “l’imputato è responsabile del fatto perché legale rappresentante ed amministratore della società Italcolor S.r.l.”.
Sotto tale profilo, dunque, appare in particolare fondato il secondo motivo di ricorso, laddove dalle caratteristiche dell’episodio, verificatosi involontariamente, si fa discendere una incongruenza motivazionale della sentenza, da ritenersi evidentemente qui determinante attesa l’incidenza sul piano della stessa configurabilità del reato contestato.
3. Ciò comporta dunque, assorbiti i restanti motivi giacché logicamente subordinati, l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Vicenza per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Vicenza.
Così deciso il 15 dicembre 2016.