La legittimazione ad agire contro contro progetti di opere ed impianti potenzialmente dannosi: che tipo di onere probatorio serve? Consiglio di Stato n. 2176/2019.

Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 2176 del 2 aprile 2019 (ud. del 28 febbraio 2019)

Pres. Saltelli, Est. Franconiero

Diritto ambientale e amministrativo. Legittimazione ad agire contro provvedimenti di approvazione di progetti di opere ed impianti potenzialmente impattanti sul territorio. Onere probatorio.
La legittimazione ad agire contro provvedimenti di approvazione di progetti di opere ed impianti potenzialmente impattanti sul territorio, dal punto di vista ambientale, urbanistico e paesaggistico, non richiede una dimostrazione puntuale della concreta dannosità dell’impianto che, in quanto ancora da realizzare si tradurrebbe in una prova di carattere diabolico, ma anche soltanto una prospettazione plausibile delle ripercussioni negative. Irrigidimenti sul piano probatorio in simili fattispecie potrebbe vanificare la tutela giurisdizionale, con violazione dei principi costituzionali sanciti dall’art. 24 e 113 della Costituzione.

La legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione giurisdizionale e che pertanto pretendere ai fini della dimostrazione di essa una prova effettiva del danno prospettato si traduce nell’errore di sovrapporre un accertamento proprio del merito, eventualmente rilevante per fare emergere le illegittimità dedotte dei provvedimenti abilitativi impugnati e/o ai fini del risarcimento del danno. Se dunque nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione, finalizzato ad evitare che sia consentito l’accesso in giudizio di soggetti portatori di interessi di mero fatto, può esigersi una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali di un impianto solo progettato, alla luce della sua collocazione territoriale e delle sue caratteristiche tecniche e funzionali, non può invece pretendersi una dimostrazione puntuale dei danni da esso in ipotesi derivanti.

 

Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 2176 del 2 aprile 2019 (ud. del 28 febbraio 2019)

N. 02176/2019REG.PROV.COLL.

N. 07581/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7581 del 2018, proposto da
Dremar Ambiente Servizi e Montaggi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cesare Mirabelli, Vittorio Barosio e Fabio Dell’Anna, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Forster, n. 174;

contro

Michele Mellica, Silvana Gariglio, Gianni Palasciano, Santo Palumbo, Giuseppe Prelato, Luigi Cecere, Pietro Dal Molin ed, Egidio Perretta, rappresentati e difesi dagli avvocati Riccardo Ludogoroff, Alberto Ferrero e Paolo Migliaccio, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Cosseria, n. 5;
Annamaria Grasso e Carlo Fantinel, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Comune di Piobesi Torinese, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Martino, con domicilio digitale come da p.e.c. registri di giustizia;
Regione Piemonte, in persona del presidente pro tempore della giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avvocati Pier Carlo Maina e Massimo Colarizi, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Giovanni, n. 49;
Comando provinciale Vigili del fuoco di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Città Metropolitana di Torino, Azienda Sanitaria Locale – A.S.L. TO5, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale – A.R.P.A. Piemonte, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, n. 611/2018, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Michele Mellica, Silvana Gariglio, Gianni Palasciano, Santo Palumbo, Giuseppe Prelato, Luigi Cecere, Pietro Dal Molin ed Egidio Perretta, del Comune di Piobesi Torinese, della Regione Piemonte e del Comando provinciale Vigili del fuoco di Torino;

Viste le memorie tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2019 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Vittorio Barosio, Cesare Mirabelli, Paolo Migliaccio, Massimo Colarizi e Pietro Garofoli per l’Avvocatura dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, integrato da motivi aggiunti, il signor Mellica Michele, in proprio e quale presidente del Comitato spontaneo “per il No al forno crematorio”, unitamente ad altri nove cittadini residenti nel Comune di Piobesi Torinese impugnavano gli atti con cui l’amministrazione locale aveva approvato il progetto per la realizzazione di un forno crematorio presentato nella procedura di affidamento in concessione mediante project financing dell’aggiudicataria Dremar Ambiente Servizi e Montaggi s.r.l. (delibera di giunta comunale n. 61 del 29 giugno 2016, e successiva delibera della stessa n. 76 del 28 luglio 2016, di approvazione di alcune integrazioni alla bozza di convenzione per l’affidamento in concessione della relativa costruzione e gestione ed autorizzazione alla sottoscrizione della stessa con l’aggiudicataria). Con successivi motivi aggiunti l’impugnazione era estesa all’atto di approvazione del progetto definitivo dell’opera (delibera di giunta n. 66 del 3 ottobre 2017, unitamente alla determinazione di conclusione della presupposta conferenza dei servizi decisoria, n. 46-222 del 22 settembre 2017, anch’essa impugnata).

2. I ricorrenti, dichiaratisi residenti in aree limitrofe a quelle in cui l’impianto avrebbe dovuto realizzare, censuravano sotto più profili la scelta localizzativa del Comune di Piobesi Torinese.

3. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale adito accoglieva il ricorso.

4. Dopo avere respinto le eccezioni pregiudiziali del Comune e della società controinteressata, il giudice di primo grado affermava che l’impianto da realizzare era in contrasto con i criteri del piano regionale di coordinamento per la realizzazione di nuovi cimiteri e crematori, (approvato con delibera del consiglio regionale n. 61-10542 del 17 marzo 2015), emanato in attuazione della legge 30 marzo 2001, n. 130 (Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri) e della legge regionale 31 ottobre 2007, n. 20 (Disposizioni in materia di cremazione, conservazione, affidamento e dispersione delle ceneri). Secondo il giudice di primo grado erano in particolare violati i criteri relativi al bacino di riferimento e all’efficienza, fissati rispettivamente in una popolazione servita di circa 500.000 abitanti, corrispondenti ad un numero di 5.000 decessi annui (criterio del bacino di utenza), e in 1.200-1.300 cremazioni per anno (criterio dell’efficienza), nel complesso finalizzati «ad evitare un’offerta sovrabbondante di impianti di cremazione in un contesto regionale nel quale gli attuali dodici impianti esistenti sono ritenuti già sufficienti a soddisfare il fabbisogno regionale di tempi crematori».

5. Per la riforma della sentenza di primo grado ha proposto appello la Dremar Ambiente Servizi e Montaggi, aggiudicataria della concessione affidata dal Comune di Piobesi Torinese.

6. Si sono costituiti in resistenza all’appello gli originari ricorrenti, i quali hanno anche riproposto ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. le censure da loro svolte in primo grado e dichiarate assorbite dal Tribunale adito, e la Regione Piemonte.

7. Vi aderisce invece il Comune di Piobesi Torinese, anch’esso costituitosi nel presente giudizio.

DIRITTO

1. Con il primo motivo d’appello la Dremar Ambiente Servizi e Montaggi ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti che, a suo dire, non potrebbe ricavarsi dalla sola affermazione di essere residenti in prossimità dell’area interessata dall’intervento e dunque sulla base del collegamento territoriale (la c.d. vicinitas), senza la prova di un effettivo e concreto pregiudizio.

Secondo l’appellante, una simile prova non sarebbe stata fornita dai ricorrenti in primo grado attraverso la consulenza tecnica di parte dagli stessi prodotta, nella quale sono descritti i potenziali danni che l’impianto di cremazione causerebbe alla popolazione residente nel Comune di Piobesi Torinese sotto il profilo della viabilità, dell’inquinamento e del pregiudizio al patrimonio storico-paesaggistico dell’area. Infatti, al di là del fatto che le previsioni formulate dal consulente di parte consistono in mere ipotesi, le stesse rimangono in ogni caso su un piano generale, relativo alla la cittadinanza del Comune nel suo complesso, senza alcuno specifico riferimento alla sfera giuridica dei singoli ricorrenti.

2. Il motivo è infondato.

3. Secondo la giurisprudenza amministrativa prevalente la legittimazione ad agire contro provvedimenti di approvazione di progetti di opere ed impianti potenzialmente impattanti sul territorio, dal punto di vista ambientale, urbanistico e paesaggistico, non richiede una dimostrazione puntuale della concreta dannosità dell’impianto che, in quanto ancora da realizzare si tradurrebbe in una prova di carattere diabolico, ma anche soltanto una prospettazione plausibile delle ripercussioni negative (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, IV, 1 marzo 2019, n. 1423; V, 24 maggio 2018, n. 3109, 28 luglio 2015, n. 3711, 23 marzo 2015, n. 1564, 31 maggio 2012, n. 3254). Nell’ambito dell’indirizzo giurisprudenziale ora richiamato si è evidenziato che irrigidimenti sul piano probatorio in simili fattispecie potrebbe vanificare la tutela giurisdizionale, con violazione dei principi costituzionali sanciti dall’art. 24 e 113 della Costituzione.

4. A questo indirizzo deve essere data continuità nel caso oggetto del presente giudizio.

Non va infatti dimenticato che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione giurisdizionale e che pertanto pretendere ai fini della dimostrazione di essa una prova effettiva del danno prospettato si traduce nell’errore di sovrapporre un accertamento proprio del merito, eventualmente rilevante per fare emergere le illegittimità dedotte dei provvedimenti abilitativi impugnati e/o ai fini del risarcimento del danno. Se dunque nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione, finalizzato ad evitare che sia consentito l’accesso in giudizio di soggetti portatori di interessi di mero fatto, può esigersi una prospettazione plausibile dei pregiudizi potenziali di un impianto solo progettato, alla luce della sua collocazione territoriale e delle sue caratteristiche tecniche e funzionali, non può invece pretendersi una dimostrazione puntuale dei danni da esso in ipotesi derivanti.

5. In questa non condivisibile prospettiva si colloca invece la Dremar con il motivo d’appello in esame, allorché in esso si reputa insufficiente la consulenza tecnica di parte prodotta nel primo giudizio, in cui sono descritti i diversi tipi di impatto sul territorio dell’impianto di cremazione (sul paesaggio, la viabilità cittadina, per le emissioni acustiche ed atmosferiche), alla quale possono essere aggiunte, a dimostrazione del collegamento territoriale degli originari ricorrenti, le visure catastali relative ad immobili di loro proprietà ubicati nelle vicinanze dell’impianto medesimo.

Le contestazioni al riguardo sulle conclusioni raggiunte dal perito di parte ricorrente, da ultimo reiterate dall’appellante, in memoria conclusionale si collocano invece sul piano del merito dell’azione di annullamento ex adverso proposta, ma per quanto in precedenza esposto non possono valere a negare la legittimazione ad agire in giudizio di soggetti incontestabilmente residenti nelle vicinanze del nuovo impianto.

6. Con il secondo motivo d’appello la Dremar Ambiente Servizi e Montaggi sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere il piano regionale di coordinamento per la realizzazione di nuovi cimiteri e crematori applicabile alla fattispecie controversa.

Le contestazioni vertono sull’interpretazione della norma transitoria prevista nel piano regionale (capitolo 5), a tenore della quale sono sottratti dall’applicazione dei criteri in esso previsti gli impianti di cremazione per la cui realizzazione «prima dell’entrata in vigore del presente piano siano stati avviati dai comuni procedimenti da cui derivino obblighi vincolanti per i medesimi».

Nel caso di specie – deduce la Dremar – alla data di entrata in vigore del piano, 2 aprile 2015, non solo il Comune di Piobesi aveva dichiarato di pubblico interesse l’impianto di cremazione di cui alla proposta di essa appellante (delibera di giunta comunale n. 75 del 21 ottobre 2014), ma era anche stata indetta la gara per l’affidamento della concessione per la realizzazione e gestione dello stesso (con bando del 2 febbraio 2015). La Dremar sottolinea al riguardo che l’indizione della gara fa sorgere in capo al promotore del project financing un’aspettativa qualificata e tutelata attraverso il diritto di prelazione previsto dall’allora vigente art. 153, comma 19, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163). Da ultimo è richiamata anche la pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato del 28 gennaio 2012, n. 1, e la giurisprudenza ad essa conforme, secondo cui al privato individuato dall’amministrazione come promotore è attribuita in base alle norme relative al project financing «una posizione di vantaggio certa e non meramente eventuale», derivante dal fatto che il suo progetto è posto alla base della successiva procedura di affidamento, nell’ambito della quale può esercitare nei confronti degli altri concorrenti il diritto potestativo di rendersi aggiudicatario.

7. L’impostazione della Dremar non può essere condivisa.

8. Il testuale riferimento in essa contenuto ad «obblighi vincolanti» derivanti dai procedimenti per la realizzazione di impianti di cremazione avviati implica infatti che lo stato di questi ultimi sia tale da esporre l’amministrazione aggiudicatrice ad esborsi di denaro rispetto ai quali i privati siano titolari di azioni in giudizio. Applicata questa premessa alle procedure di affidamento di contratti pubblici, ivi comprese le concessioni in finanza di progetto, va richiamata la giurisprudenza amministrativa anche per queste ultime prima dell’aggiudicazione definitiva non può trovare applicazione, per il caso di revoca della gara, la tutela indennitaria di cui all’art. 21-quinquies della generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. Stato, V, 4 febbraio 2019, n. 820; 3 maggio 2016, n. 1692).

Ora, nemmeno l’appellante si spinge ad affermare di avere maturato un’aspettativa giuridicamente tutelata alla conclusione del contatto di concessione per la costruzione e gestione dell’impianto crematorio, dal momento che tutti gli argomenti dalla stessa svolti al riguardo si imperniano, attraverso la giurisprudenza richiamata in precedenza, sul confronto competitivo all’interno della procedura di gara indetta dopo la dichiarazione di pubblico interesse della procedura di project financing e nei confronti degli altri partecipanti.

Rispetto a questi ultimi è pacifico che il promotore può disporre del diritto potestativo di essere selezionato come concessionario, ai sensi del sopra menzionato art. 153, comma 19, d.lgs. n. 163 del 2006. Ma la posizione favorevole così conformata dalla legge postula che la gara si sia svolta con la selezione dell’offerta migliore, momento nel quale l’aspettativa del promotore ad essere preferito si concretizza. Prima di questo momento nessun affidamento tutelabile anche solo in via indennitaria può ritenersi sorto.

9. Pertanto, come statuito dal Tribunale, poiché alla data del 2 aprile 2015 nessuna aggiudicazione definitiva della concessione per realizzare l’impianto di cremazione in Piobesi Torinese era intervenuta ed anzi nemmeno era scaduto il termine di presentazione delle offerte, e stante dunque l’assenza di aspettative per la positiva conclusione della gara medesima giuridicamente qualificate e tali da fare insorgere a favore di privati diritti risarcitori o quanto meno di carattere indennitario per il caso di ripensamento dell’amministrazione aggiudicatrice, deve in conclusione ritenersi che il sopravvenuto piano regionale ed i criteri in esso previsti siano applicabili al caso di specie.

10. Con il terzo motivo d’appello la Dremar contesta l’accoglimento nel merito del ricorso avversario. L’appellante sostiene che il proprio progetto non violerebbe i criteri per i nuovi impianti di cremazione stabiliti dal piano regionale relativi al bacino di utenza e all’efficienza, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado.

Con specifico riguardo al primo – in base al quale il nuovo impianto deve essere posto a servizio di «almeno cinquemila decessi anno (equivalente a una popolazione di circa cinquecentomila abitanti)», con la precisazione che tale requisito minimo possa essere raggiunto «anche attraverso associazioni tra comuni, convenzioni, unioni di comuni, ecc.» – la Dremar critica l’assunto del Tribunale secondo cui quest’ultimo riferimento deve essere inteso in senso di obbligo. L’appellante ritiene che una simile conclusione può essere seguita nel caso in cui di impianti crematori ad iniziativa dei Comuni e non anche quando essa sia assunta da un privato promotore il quale, come nel caso di specie, sostenga per intero i costi di costruzione e gestione dell’impianto. Secondo la Dremar, la tesi del giudice di primo grado si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di autonomia dei Comuni (art. 118 Cost.), e con le libertà poste a livello costituzionale e europeo relative all’iniziativa economica privata (artt. 41 Cost., 101 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Al medesimo riguardo la Dremar rigetta ogni interpretazione della legge nazionale n. 130 del 2001 in materia di cremazione delle salme come fondativa di un sistema di regolamentazione dell’attività soggetta a pianificazione amministrativa regolante l’iniziativa privata e sottolinea che la qualificazione della medesima attività ad opera della legge come servizio pubblico di rilevanza economica ex art. 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) rimanda ai principi e alle regole concorrenziali per essi previste.

11. Quindi la Dremar ritiene che il bacino di utenza di 2.177.097 abitanti previsto nel proprio progetto per l’impianto da realizzare nel Comune di Piobesi Torinese – e non già per 3.292.595 abitanti, come erroneamente ritenuto dal Tribunale – non interferirebbe con i bacini di utenza di altri impianti già in esercizio e dunque sarebbe conforme al criterio fissato dalla pianificazione regionale, come confermato anche dal suo inserimento nella rete regionale del Piemonte degli impianti di cremazione (nella relazione per il 2016, prodotta nel giudizio di primo grado).

12. Le censure così sintetizzate sono infondate.

13. Esse muovono dalla non corretta premessa – ribadita anche all’udienza di discussione del 28 febbraio 2019 – che l’attività di cremazione delle salme si sostanzi nell’esercizio di un’impresa liberamente esercitabile da chiunque e soggetta alle dinamiche del mercato. Per ammissione della stessa appellante si tratta invece di un servizio pubblico, amministrativamente regolato sulla base delle disposizioni della legge n. 130 del 2001, in funzione del perseguimento degli interessi di carattere generale connaturati ad un’attività orientata a bisogni essenziali della persona.

Più precisamente, la legge ora citata prevede che l’attività di cremazione delle salme e dispersione delle ceneri sia soggetta:

– ad un sistema di tariffe amministrate (art. 5, comma 2);

– al potere di programmazione regionale dei nuovi insediamenti (art. 6, comma 1);

– alla gestione ai comuni «attraverso una delle forme previste dall’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267» (art. 6, comma 2);

– alla normativa tecnica nazionale di matrice ministeriale per quanto riguarda i limiti di emissione, degli impianti e per i materiali per la costruzione delle bare per la cremazione (art. 8).

14. L’offerta di impianti di cremazione è pertanto soggetta ad un potere conformativo dell’amministrazione, nell’esercizio del quale è stato emanato per la Regione Piemonte il sopra citato piano di coordinamento per la realizzazione di nuovi cimiteri e crematori sulla cui base il Tribunale ha annullato i provvedimenti impugnati nel presente giudizio.

15. Da questo inquadramento giuridico si trae un primo corollario, in base al quale le norme costituzionali e sovranazionali relative alle libertà economiche non sono immediatamente applicabili, nella misura in cui le stesse presuppongono un mercato formatosi per effetto dello spontaneo agire delle forze in esso presenti e sono quindi preordinate ad impedire assetti anticoncorrenziali dello stesso (la c.d. concorrenza nel mercato), laddove rispetto ad attività qualificabili come servizi pubblici – come si desume anche dall’art. 106, comma 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – la regolazione amministrativa ad essi relativa deve invece limitarsi ad assicurare che l’affidamento degli stessi ad operatori economici avvenga in condizioni di trasparenza, imparzialità, parità di trattamento e non discriminazione (la c.d. concorrenza per il mercato, che si attua principalmente attraverso il rispetto dei modelli di evidenza pubblica allorché per la gestione dei servizi pubblici l’amministrazione titolare ricorra ad affidamento a privati: si rinvia al riguardo alla sentenza della Corte costituzionale del 23 novembre 2007, n. 401).

Nel settore dei servizi pubblici l’offerta per la relativa gestione ed il mercato che da essa si sviluppa è dunque esogena rispetto alle ordinarie dinamiche economiche. La decisione di rivolgersi al mercato per la gestione di un servizio pubblico proviene infatti da una scelta discrezionale dei pubblici poteri di carattere organizzatorio, orientata ad interessi di carattere generale, rispetto alla quale non si pongono questioni di strumenti di contingentamento dell’offerta tipiche delle attività economiche liberalizzate.

16. Se pertanto, in base ai rilievi finora svolti, i richiami alle norme costituzionali e dei trattati europei operati dall’appellante non sono pertinenti al caso di specie, il secondo corollario ritraibile dai medesimi rilievi è che non può inoltre essere considerata irragionevole l’interpretazione che il Tribunale ha dato del criterio per l’apertura nella Regione Piemonte di nuovi impianti di cremazione relativo al bacino di utenza ottenibile mediante forme aggregative di comuni interessati. Infatti, nel consentire che il requisito dei cinquemila decessi annui equivalente ad una popolazione di circa cinquecentomila abitanti possa essere raggiunto «anche attraverso associazioni tra comuni, convenzioni, unioni di comuni, ecc.» il piano regionale ha inteso evidentemente introdurre una possibilità ulteriore rispetto a quella di base dell’impianto a servizio della popolazione di un singolo comune. Se è quindi vero – come sostiene l’appellante – che si tratta di una facoltà è tuttavia altrettanto vero che questa facoltà presuppone un’iniziativa delle amministrazioni locali interessate, in coerenza con la titolarità ad esse spettante di ogni decisione concernente l’istituzione e l’organizzazione di un servizio pubblico. Sotto questo profilo la ricostruzione operata dal giudice di primo grado nella disposizione di piano regionale in esame è dunque corretta laddove si è accertato che per l’impianto di cremazione di Piobesi Torinese una simile iniziativa a livello sovracomunale non è stata mai assunta.

17. Da ciò si desume pertanto che il rispetto dei 5.000 decessi annui per una popolazione di «circa cinquecentomila abitanti» presuppone che tale consistenza demografica e il dato statistico di decessi annui ad essa correlato sia ottenuto, laddove non raggiunte dal singolo comune, mediante le forme aggregative previste dal piano regionale.

Nel caso di specie ciò non è avvenuto e per raggiungere il dato in questione la Dremar nel proprio progetto di impianto di cremazione per il Comune di Piobesi Torinese ha dovuto ampliare il bacino di riferimento alle popolazioni residenti non solo nella Città di Torino e relativa provincia, ma anche nelle province di Cuneo, Asti e Biella. Il correttivo a tal fine previsto, volto a limitare il bacino di utenza alla sola popolazione in grado di raggiungere l’impianto entro un’ora, per un totale di 2.177.097, è in ogni caso inficiato dal fatto – non contestato dall’appellante, che per le medesime popolazioni sono già a disposizione altri impianti analoghi, situati nei comuni di Torino, Piscina, Mappano, Magliano Alpi, Valenza e Bra, e previsti nello stesso progetto elaborato dalla Dremar (tabella a pag. 14 del progetto dell’appellante).

Elementi a favore dell’appellante non possono inoltre essere ricavati dalle relazioni regionali per il 2016 e il 2017 sugli impianti di cremazione prodotti dalla stessa nel giudizio di primo grado, dal momento che in essi si conclude nel senso che in base ai dati statistici sui decessi e le cremazioni richieste la dotazione regionale di strutture è già sufficiente e che «non appaiono giustificate richieste di nuovi impianti».

Deve quindi concludersi nel senso che l’impianto dell’appellante interferisce con i bacini di utenza di quelli preesistenti e dunque non è conforme al pertinente criterio previsto a livello di pianificazione regionale, per cui bene ha fatto il Tribunale ad annullare gli atti impugnati sotto questo assorbente profilo.

18. Con un ultimo motivo ordine di censure la Dremar si duole che dalla cronologia degli eventi relativi alla presentazione della proposta di project financing per la realizzazione dell’impianto in Piobesi Torinese e l’indizione della gara per l’affidamento della relativa concessione il Tribunale abbia desunto una sua volontà di sottrarsi strumentalmente all’applicazione del piano regionale di coordinamento degli impianti crematori. L’appellante contesta le conclusioni cui il giudice di primo grado è giunto, evidenziando che il procedimento è stato avviato circa 6 mesi prima dell’entrata in vigore del piano.

19. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

20. Il convincimento espresso sul punto dal Tribunale, svolto successivamente all’esame dei motivi di impugnazione, può di certo ritenersi inopportuno, perché consistito nel manifestare un’opinione non utile a sostenere la decisione di accoglimento del ricorso e per giunta – come deduce l’appellante – non ricavabile dagli atti di causa. Nondimeno, proprio perché si tratta di un’affermazione eccedente le esigenze della decisione sul ricorso avversario la Dremar non vanta alcun interesse giuridico, ulteriore a quello di carattere morale volto ristabilire la propria immagine professionale, idoneo a condurre alla sua riforma.

21. L’appello deve pertanto essere respinto ma la complessità delle questioni controverse giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

Raffaele Prosperi, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

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