Misure di salvaguardia, demolizione e ricostruzione di edificio, concessione e revoca del permesso di costruire e rischio idrogeologico. Consiglio di Stato n. 3630/2020.

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 3630 del 8 giugno 2020 (ud. del 4 giugno 2020)

Pres. Anastasi, Est. Spisani

Ambiente in generale. Diritto urbanistico. Misure di salvaguardia. Demolizione e ricostruzione di edificio. Permesso di costruire convenzionato. Revoca. Rischio idrogeologico e riqualificazione dell’area.

Le misure di salvaguardia sono previste da una legge speciale dello Stato, il testo unico in materia ambientale 152/2006, per il caso particolare della salvaguardia idrogeologica, e quindi prevalgono sulla disciplina generale della salvaguardia urbanistica di cui alla legge regionale.

 

Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 3630 del 8 giugno 2020 (ud. del 4 giugno 2020)

N. 03630/2020REG.PROV.COLL.

N. 07531/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7531 del 2019, proposto dai signori Francesco Silvestre, Rosa Di Mattia e Marinella Silvestre, rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Vergara, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il Comune di Casandrino, non costituito in giudizio;
l’Autorità di bacino dei fiumi Liri, Garigliano e Volturno – Caserta e l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma, previa sospensione

della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione II 11 febbraio 2019 n.736, che ha respinto il ricorso n.1826/2005 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Casandrino:

a) della deliberazione 16 marzo 2017 n.14, conosciuta in data imprecisata, con la quale il Consiglio comunale di Casandrino ha revocato la propria precedente deliberazione 13 aprile 2016 n.31, recante “Realizzazione parcheggio via Praus. Richiesta di permesso di costruire convenzionato per ristrutturazione edilizia e riqualificazione di siti dismessi, alla via Praus angolo via Papa Giovanni XXIII”;

e di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, in particolare:

b) della nota 5 dicembre 2017 prot. n. 16742, con la quale il Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale ha comunicato l’adozione della delibera suddetta;

c) della determinazione 13 novembre 2017 n.232, con la quale l’Ufficio tecnico comunale ha disposto la restituzione degli oneri concessori già versati;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Autorità suindicate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e senza la presenza degli avvocati come da art. 84 comma 5 d.l. 17 marzo 2020 n.18;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti appellanti sono proprietari di alcuni immobili in Comune di Casandrino: precisamente, i primi due di loro sono proprietari di un terreno di circa mq 975,25, che si trova in via Michele Praus, è risultato dalla demolizione di un fabbricato preesistente ed è distinto al catasto al foglio 5, particella 147; l’ultima di loro è invece proprietaria di un fabbricato di circa mq 326,90, che si trova sempre in via Praus, angolo vico Papa Giovanni XXIII ed è distinto al catasto sempre al foglio 5, particella 169. Di contro, sempre in via Praus, il Comune è proprietario, a seguito di un esproprio, di un terreno di mq 1.354,00 circa, distinto al catasto foglio 5, particella 226, che ha la forma di una “zeta” irregolare, si trova fra i due immobili descritti di proprietà dei ricorrenti ed era destinato a realizzare una “isola di sosta per autoveicoli”, in sostanza un parcheggio, in base ad un vecchio progetto, approvato con delibera di Giunta 18 ottobre 2011 n. 62 (v. ricorso di I grado p. 2 §§ 1-2, fatti non contestati, nonché doc. 2 in I grado ricorrenti appellanti, delibera consiliare 31/2016, di cui subito).

2. Data questa situazione di partenza, gli interessati hanno avviato “tavoli di concertazione” per elaborare una proposta di sistemazione soddisfacente per tutti, e tale attività alla fine ha prodotto la proposta progettuale presentata dai privati il giorno 18 dicembre 2015 prot. n.12630, che richiede un permesso di costruire convenzionato ai sensi dell’art. 28 bis del T.U. 6 giugno 2001 n.380 per un intervento descritto come “ricostruzione con traslazione di volumi, senza aumento della volumetria”. In pratica, il progetto prende in considerazione tutti gli immobili descritti, prevede lo spostamento del parcheggio comunale in parte sull’area privata, con aumento di 50 mq della superficie relativa, nonché l’arretramento del muro di confine della proprietà sia su via Praus, che viene ad essere allargata a mt. 6,50; 7,47; 6,70 a fronte degli attuali mt. 4,00/4,50, sia su vico Papa Giovanni XXIII, che viene ad essere allargato di circa mt. 3,30; di contro, l’edificio esistente, di interesse dei privati, viene demolito e ne viene ricostruito uno nuovo, in posizione ritenuta migliore, per una volumetria pari a quella dei due fabbricati preesistenti, ovvero quello demolito contestualmente e quello già demolito di cui si è detto (doc. ti 2 e 4 in I grado ricorrenti appellanti, delibera 31/2016 cit. e relazione tecnica al progetto).

3. Con la deliberazione consiliare 13 aprile 2016 n.31 cui si è accennato, il Comune ha approvato la proposta, in conformità a quanto prevede l’art. 28 bis T.U. 380/2001, per cui la convenzione accessoria del permesso convenzionato va appunto approvata dal Consiglio comunale; in particolare, il Comune ha ritenuto di poterne ricavare “vantaggi logistici e patrimoniali … sia per il diverso posizionamento dell’area a parcheggio pubblico sia per la cessione gratuita determinata dall’arretramento su via M. Praus del limite di confine delle proprietà”, ed ha contestualmente approvato anche lo schema di convenzione da sottoscrivere con i privati (doc. 2 in I grado ricorrenti appellanti, cit.).

4. Per quanto qui interessa, lo schema di convenzione (omesso nel doc. 2 in I grado ricorrenti appellanti, ma presente nel doc. 9 in I grado Comune), prevede che essa sia stipulata come “presupposto per il rilascio del permesso di costruire convenzionato, per le opere di urbanizzazione e del permesso di costruire per i successivi interventi edilizi”; prevede poi all’art. 1 che i privati debbano iniziare entro un termine le opere di allargamento delle pubbliche strade di cui si è detto; prevede ancora all’art. 2 che i privati stessi si obbligano a versare “prima della sottoscrizione della presente, gli oneri concessori determinati come da Deliberazione di Giunta Comunale n. 41/2014 relativi sia al costo di costruzione che al costo di urbanizzazione, come da nota recante protocollo generale n.3862 del 6 aprile 2016 che si allega”, e per l’importo indicato sempre nella bozza di € 101.010,22.

5. Con la delibera consiliare 16 marzo 2017 n.14 di cui in epigrafe, il Comune ha testualmente disposto la “revoca” della delibera 31/2016 di cui si è appena detto, per una serie di ragioni indicate in motivazione.

In primo luogo, il Comune ricorda quanto avvenuto successivamente all’approvazione della delibera stessa: con la nota 6 aprile 2016 di cui si è detto, ha provveduto a comunicare ai privati la liquidazione degli oneri da corrispondere; ne ha ricevuto la richiesta di rateizzazione in trenta rate mensili da € 3.200 ciascuna, come da lettera 26 maggio 2016; la ha accettata il successivo 1 giugno, ma alla data della deliberazione in esame ha ricevuto soltanto € 8.200 sui 101.010,22 complessivi dovuti.

In secondo luogo, il Comune ricorda che non è stata stipulata la convenzione notarile di cui si è detto.

In terzo luogo, il Comune dà atto che l’intervento di demolizione e ricostruzione previsto “allo stato non è consentito, poiché l’intera area rientra in zona “R4” della proposta di riperimetrazione del rischio idraulico, adottata dall’Autorità di bacino regionale della Campania centrale, giusta delibera di Comitato istituzionale di adozione della riperimetrazione, n.42 del 31 maggio 2016 pubblicata sul BURC n.42/2016”.

Infine, il Comune dà atto della propria necessità di realizzare il parcheggio come originariamente programmato, ovvero sulla particella 226 di sua proprietà, “poiché tutte le strade del centro storico sono invase da auto che congestionano l’ambiente, con inquinamento atmosferico e sonoro, ed impediscono qualsiasi manifestazione pubblica organizzata da questa Amministrazione, stante gli esigui spazi” (doc. 1 in I grado ricorrenti appellanti, delibera 14/2017 impugnata).

6. Contro questa delibera di revoca, i privati hanno proposto ricorso di I grado, che contiene un unico complesso motivo di violazione degli artt. 21 quinquies e novies della l. 7 agosto 1990 n.241, così come segue.

6.1 I ricorrenti appellanti, nell’ordine, hanno sostenuto che la delibera impugnata sarebbe anzitutto contraddittoria, perché si qualifica come revoca, salvo poi nel dispositivo dichiarare di annullare la delibera precedente; in ogni caso, hanno dedotto che non vi sarebbero i presupposti di legge né per la revoca, né per l’annullamento.

6.2 I presupposti di un annullamento non vi sarebbero perché della delibera in ipotesi annullata non sarebbero indicati i vizi di legittimità; non si sarebbe tenuto conto dell’interesse dei privati a conservarla e non si sarebbe motivato quanto allo specifico interesse pubblico per procedervi; si sarebbe infine proceduto oltre un ragionevole limite di tempo.

6.3 Nemmeno vi sarebbero i presupposti della revoca, perché mancherebbero sia i sopravvenuti motivi di interesse pubblico, sia i non prevedibili mutamenti della situazione di fatto, né la nuova valutazione degli interessi pubblici; non sarebbe poi previsto il necessario indennizzo.

6.4 In ogni caso, poi, sarebbe stato omesso l’avviso di inizio del procedimento.

6.5 In concreto, i ricorrenti appellanti hanno di seguito dedotto che le ragioni esposte dal Comune a fondamento della delibera impugnata non risponderebbero al vero.

6.6 Non sarebbe anzitutto vero che l’intervento di demolizione e ricostruzione da loro programmato sarebbe divenuto impossibile per la riqualificazione dell’area in zona a rischio idrogeologico R4, ovvero elevato. I ricorrenti hanno sostenuto che la citata delibera di Comitato 31 maggio 2016 n. 42 avrebbe avuto valore di semplice proposta, mai approvata, e come tale sarebbe stata assistita soltanto da una misura di salvaguardia per la durata di quattro mesi. In altri termini, ai sensi dell’art. 12 del T.U. 380/2001 e dell’art. 10 della l.r. Campania 22 dicembre 2004 n. 16, la delibera avrebbe legittimato solo la sospensione della pratica, e non il diniego di essa. I ricorrenti hanno poi sostenuto che la delibera 42/2016 citata avrebbe comportato allo stesso modo il divieto di realizzare anche il parcheggio comunale, e che comunque la motivazione esposta nella delibera di revoca impugnata per ritenerlo necessario sarebbe stata incongrua.

7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso. In ordine logico, anzitutto ha qualificato la delibera impugnata come revoca in senso proprio, ed ha dato atto che l’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della l. 241/1990 non è stato ritualmente richiesto in questa sede. Ha poi ritenuto in primo luogo che i ricorrenti non si fossero effettivamente attivati per stipulare la convenzione e realizzare l’intervento, così come evidenziato nella delibera impugnata. Sul punto ha notato che nemmeno constava prodotta in giudizio la fideiussione a loro dire prestata a favore del Comune per l’adempimento dell’obbligo di pagare il contributo; ha poi qualificato come non rilevante per giustificare il ritardo la circostanza per cui l’immobile da demolire sarebbe stato occupato abusivamente da un terzo, certo Bilancio, che i privati non si sarebbero adoperati per sloggiare. Ha poi ritenuto che alla data di adozione della delibera impugnata le misure di salvaguardia a presidio della delibera di riclassificazione 31 maggio 2016 n. 42 fossero ancora efficaci, ai sensi dell’art. 65, comma 7, del d. lgs. 3 aprile 2006 n.152, secondo il quale “Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all’approvazione del Piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre anni” e che la scelta di realizzare il parcheggio in origine progettato rappresentasse legittimo esercizio di discrezionalità.

8. Contro questa sentenza, gli interessati hanno proposto impugnazione, con appello che contiene sei motivi, come segue:

– con il primo di essi, deduce falso presupposto, sostenendo che la sentenza di I grado avrebbe errato nel ravvisare un’inerzia da parte loro, dato che il pagamento solo parziale degli oneri concessori e la mancata stipula della concessione sarebbero soltanto “dato storico – e senza alcuna valenza negativa di contestazione di un preteso inadempimento” (appello, p. 8 sedicesimo rigo dal basso);

– con il secondo motivo, deducono violazione dell’art. 28 bis del T.U. 380/2001, nel senso che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la mancata stipula della convenzione ed il mancato rilascio del permesso di costruire sarebbero dipesi dal mancato invito da parte del Comune a procedervi. In tal senso, sempre a dire dei ricorrenti appellanti, il pagamento degli oneri non sarebbe condizione per il rilascio del permesso stesso. I ricorrenti appellanti sostengono poi che il Giudice di I grado avrebbe dovuto disporre istruttoria sull’esistenza della fideiussione, dato che di essa esisteva un principio di prova, dato “con la esibizione della nota prot. 12630 del 5 aprile 2016 trasmessa al Comune (che richiama quale suo allegato la polizza fideiussoria richiesta a fronte della rateizzazione)” (si tratta invece del doc. 6 in I grado ricorrenti appellanti, nota 31 maggio 2016 n.6417). Sostengono altresì di essersi attivati presso l’occupante abusivo, per ottenerne lo sloggio;

– con il terzo motivo, deducono violazione dell’art. 65, comma 7 del d. lgs. 152/2006 e dell’art. 10 l.r. Campania 16/2004, nel senso che la durata delle misure di salvaguardia di cui si è detto sarebbe quella inferiore di quattro mesi indicata nel ricorso di I grado, e che comunque neanche il parcheggio voluto dal Comune si sarebbe potuto realizzare, al pari dell’opera di loro interesse;

– con il quarto motivo, deducono difetto di motivazione da parte della sentenza di I grado, in quanto considera legittimo esercizio di discrezionalità la scelta di realizzare il parcheggio originario;

– con il quinto motivo, deducono violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, per omissione dell’avviso di inizio del procedimento, anche ai fini della corresponsione dell’indennizzo;

– con il sesto motivo, ritrascrivono quasi alla lettera il motivo di ricorso di I grado sopra riassunto.

9. Il Comune non si è costituito.

10. Alla camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2019, la domanda cautelare è stata riunita al merito.

11. All’udienza del 4 giugno 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

12. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

13. I primi due motivi sono all’evidenza connessi, dato che riguardano entrambi il rapporto fra il rilascio del permesso di costruire convenzionato, la sottoscrizione della convenzione ed il pagamento degli oneri; si tratta quindi di motivi che vanno esaminati congiuntamente, e risultano entrambi infondati.

13.1 In sintesi estrema, i ricorrenti appellanti sostengono che due fatti in sé incontroversi, ovvero il pagamento solo di una minima parte degli oneri concessori di cui si è detto – soltanto 8.200 euro sui 101.010,22 indicati come dovuti- e la mancata sottoscrizione della convenzione, sarebbero in primo luogo meri fatti, che non rileverebbero per ravvisare un loro inadempimento inteso nel senso più ampio; in secondo luogo che, se di inadempimento si trattasse, non sarebbe un inadempimento loro imputabile, perché sarebbe stato il Comune a doversi attivare per la stipula. In tal senso, il pagamento degli oneri non sarebbe, a loro dire, condizione per il rilascio del permesso, che il Comune quindi avrebbe dovuto, secondo la loro logica, rilasciare subito, attendendo poi di incassare il dovuto.

13.2 Quest’ordine di idee non è condivisibile. In primo luogo, in termini del tutto generali, dispone in contrario l’art. 16 comma 2 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, secondo il quale “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione va corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire”, mentre ai sensi del comma 3 va corrisposta in corso d’opera la sola quota relativa al costo di costruzione, ma comunque “con le modalità e le garanzie stabilite dal comune” e non ad arbitrio del privato. In ogni caso quindi i ricorrenti appellanti per ritirare il permesso di costruire avrebbero dovuto pagare una somma superiore agli 8.200 euro di cui si è detto.

13.3 Nel caso di specie, però, le parti avevano predisposto un assetto di interessi diverso, che risulta dalla bozza di convenzione di cui si è detto, allegata alla delibera del Consiglio che giudicò di interesse pubblico l’intervento propostogli: il rilascio del permesso è espressamente condizionato alla stipula della convenzione stessa, e l’intero importo degli oneri è indicato a sua volta come da corrispondere prima della stipula. Un atto così concepito ha sicuramente la natura di una proposta vincolante, ai sensi prima di tutto dell’art. 11 della l. 7 agosto 1990 n.241, ed è quindi certo che i privati non avrebbero potuto pretendere il rilascio del permesso da esso previsto senza conformarsi alle condizioni cui esso era subordinato. In tali termini, allora, le ulteriori considerazioni da loro svolte, circa il rilascio o no di una fideiussione, che non risulta contemplata nella delibera, e circa la presunta occupazione del loro immobile da parte di un terzo, sono irrilevanti, perché di tutto l’accordo mancava comunque l’elemento essenziale che sarebbe dovuto venire per primo, ovvero il pagamento degli oneri.

14. Quanto sopra sarebbe di per sé sufficiente a considerare legittima la delibera di revoca impugnata; si esaminano però per completezza anche i residui motivi di appello dedotti.

15. È infondato anche il terzo motivo, che sostiene l’applicabilità alle misure di salvaguardia attive nel caso concreto del termine più breve previsto dalla l.r. 16/2004. È sufficiente rilevare in proposito che le misure di salvaguardia di cui si tratta sono previste da una legge speciale dello Stato, il testo unico in materia ambientale 152/2006, per il caso particolare della salvaguardia idrogeologica, e quindi prevalgono sulla disciplina generale della salvaguardia urbanistica di cui alla legge regionale. Va poi osservato che il parcheggio di interesse del Comune in base al piano adottato in quel momento in itinere non era in assoluto non realizzabile, dato che l’art. 12 delle norme di attuazione del Piano di assetto idrogeologico di cui si tratta (doc. 8 in I grado ricorrenti appellanti) prevedeva una deroga per “la realizzazione, l’ampliamento o la ristrutturazione delle opere di urbanizzazione primaria pubbliche o di interesse pubblico, riferite a servizi pubblici essenziali che non siano altrimenti localizzabili o per le quali il progetto sottoposto all’approvazione degli Enti competenti dimostri l’assenza di alternative tecnicamente ed economicamente sostenibili e a condizione che siano realizzate idonee opere di mitigazione del rischio”, deroga che non è escluso che il Comune potesse invocare.

16. Anche il quarto motivo di appello è infondato, dato che l’esigenza valorizzata dal Comune di reperire posti macchina nel centro del paese non si può ritenere, all’evidenza, illogica o abnorme.

17. Da quanto sin qui esposto, deriva poi la reiezione anche del quinto motivo di appello, dato che in ogni caso, lo si ripete, a fronte del dato obiettivo della mancata corresponsione degli oneri, il contenuto dell’atto impugnato non sarebbe potuto essere diverso. Si ricorda soltanto che, come già affermato dal Giudice di I grado, l’indennizzo non è stato ritualmente chiesto in questa sede, ricordandosi comunque che in ogni caso la mancata previsione dell’indennizzo, quand’anche astrattamente dovuto, non vizia il provvedimento di revoca: per tutte, C.d.S. sez. V 8 marzo 2017 n.1100 e sez. III 23 febbraio 2015 n.908.

18. Infine, le argomentazioni esposte portano a respingere il sesto ed ultimo motivo, che come si è detto ripete i contenuti del ricorso di I grado e nulla aggiunge ai motivi già esaminati.

19. Nulla per spese nei confronti del Comune, che non si è costituito nel grado. Sussistono poi giusti motivi per disporre la compensazione nei confronti dell’amministrazione statale, che appare citata in giudizio solo per scrupolo difensivo, dato che nessun atto di essa è stato effettivamente impugnato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.7531/2019), lo respinge.

Nulla per spese nei confronti del Comune, non costituito. Spese compensate nei confronti dell’amministrazione statale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2020 costituita ai sensi dell’art. 84 comma 5 del d.l. 17 marzo 2020 n.18 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Alessandro Verrico, Consigliere

Scarica in pdf il testo della sentenza: cons. di stato, sez. 4, sent. n. 3630-2020