NEGOZIAZIONE ASSISTITA E MEDIAZIONE – ISTITUTI A CONFRONTO E RILIEVI CRITICI

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Mediazione e Negoziazione assistita quali strumenti deflattivi del contenzioso giudiziale.

L’esigenza di ridurre la mole di cause, e la conseguente lunghezza quasi biblica dei processi civili pendenti dinanzi i Tribunali italiani, ha visto impegnato il nostro Legislatore nella ricerca di soluzioni dirette a trovare idoneo rimedio a tale atavica problematica, garantendo così l’effettivo rispetto del principio della “ragionevole durata” dei processi come solennemente sancito dall’art. 111 comma 2 della Costituzione.

Questa è dunque la ratio sottesa alla disciplina contenuta sia nel D.L.vo 4 Marzo 2010 n. 28, mediante il quale è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della mediazione e nel successivo D.L. 12 Settembre 2014 n. 132 dedicato alla regolamentazione della negoziazione assistita, il quale infatti reca esplicitamente “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”.

Sebbene l’intento del Legislatore, diretto a garantire una maggiore celerità dei processi, sia quotidianamente ravvisato da tutti gli operatori del diritto, ed in misura maggiore dai semplici cittadini che si trovino per qualsivoglia ragione a frequentare le Aule giudiziarie, da più parti si fa notare come, nella pratica, vi sia una disomogeneità nelle soluzioni concretamente individuate cosicché lo scopo inizialmente prefigurato non viene ad essere pienamente raggiunto, se non mediante un’eccessiva moltiplicazione di strumenti esogiudiziali.

 

La Mediazione.

La definizione di “mediazione” contenuta nell’art. 1 comma 1 lett. a) evidenzia come questa consista in qualsiasi “attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti alla ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia”. Sebbene dunque impropriamente si usi utilizzare il termine “mediazione” e “conciliazione” quali sinonimi, tuttavia appare utile sottolineare come a tenore della norma, la conciliazione sia invece “la composizione di una controversia a seguito dello svoglimento della mediazione”.

Tale procedimento avviene dinanzi a specifici organismi, denominati Organismi di mediazione, autorizzati dal Ministero della Giustizia ed iscritti negli appositi registri. L’istanza di mediazione deve essere comunque presentata ex art. 4 comma 1 presso un Organismo del luogo del giudice territorialmente competente per la controversia in essere. Nel caso di una pluralità di domande relative alla medesima controversia, la competenza spetterà all’Organismo di mediazione territorialmente competente presso cui sarà stata depositata la prima istanza.

La principale e più importante caratteristica della mediazione consiste nell’essere qualificata dall’art. 5 del D.L.vo in oggetto come condizioni di procedibilità sicchè, la sua mancata realizzazione (o meglio, il suo mancato tentativo di esperimento), impedisce di adire direttamente il giudice competente per la controversia.

L’improcedibilità, ex art. 5 commi 1, 1 bis, deve comunque essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza.

Oltre a tale fondamentale conseguenza, si evidenzia altresì che la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di conciliazione così come il rifiuto non giustificato ad addivenire ad un accordo costituiscono comportamento processuale di cui il giudice può tener conto in relazione ad una eventuale condanna al pagamento delle spese di lite.

Esistono comunque tre distinte tipologie di mediazione: obbligatoria, facoltativa e delegata.

In seguito alla sentenza n. 272 del 23 Ottobre 2012, depositata il 6 Dicembre 2012 con la quale la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D.L.vo. 28/2010 nella parte in cui disponeva l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione in determinate materie a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, il legislatore con la L. 98/2013, ha reintrodotto un’analoga previsione ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis.

Stante quest’ultima disposizione normativa è dunque obbligato preliminarmente ad esperireil procedimento di mediazione, assistito da un avvocato, chiunque intenda esercitare in giudizio un’azione relativa alle seguenti materie:

  1. Condominio
  2. Diritti reali
  3. Divisioni
  4. Successioni ereditarie
  5. Patti di famiglia
  6. Locazione e comodato
  7. Affitto di aziende
  8. Risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti
  9. Risarcimento del danno derivante da responsabilità medica
  10. Risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa
  11. Contratti assicurativi, bancari e finanziario

Di contro l’art. 4 indica le ipotesi in cui non è obbligatorio esperire la mediazione, e quindi la parte può adire direttamente il giudice competente, e specificatamente:

  1. a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione
  2. b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’art. 667 c.p.c.
  3. c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art. 696 bis c.p.c.
  4. d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’art. 703, comma 3 c.p.c.
  5. e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
  6. f) nei procedimenti in camera di consiglio
  7. g) nell’azione civile esercitata nel processo penale

Resta salva comunque la libera facoltà (mediazione facoltativa) per le parti di fruire del procedimento di mediazione al fine di definire una controversia già in essere ovvero futura in forza di una clausola di mediazione.

La terza ed ultima tipologia di mediazione, denominata delegata in quanto frutto di una specifica indicazione del giudice adito, è normata dall’art 2 D.L.vo 28/2010. Questi infatti, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero della discussione, anche in sede di giudizio dinanzi la Corte d’Appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione che diviene così condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Tale disciplina comporta per l’avvocato, al momento del conferimento dell’incarico, l’obbligo di informare il proprio assistito tanto della facoltà di esperire la mediazione volontaria quanto, a seconda del caso concreto, l’obbligo del tentativo di mediazione nelle materie espressamente indicate dalla norma analizzata.

L’obbligo di informativa da parte dell’avvocato sorge al momento del conferimento dell’incarico il quale coincide, in concreto, con il momento della sottoscrizione della procura ad litem. L’informativa, redatta secondo il criterio di chiarezza ed in forma scritta ad substantiam, deve essere sottoscritta dall’assistito e allegata all’atto introduttivo ovvero inserita nel fascicolo di parte.

A tale obbligo è soggetto non solo il difensore di parte attrice bensì anche quello della parte convenuta in giudizio, al momento del conferimento dell’incarico difensivo. In questa seconda ipotesi, infatti, il documento informativo deve essere allegato all’atto di comparsa di costituzione e risposta oppure inserito all’interno del fascicolo processuale al momento della costituzione medesima.

In tema di mediazione è necessario distinguere due diverse ipotesi di violazione dell’obbligo informativo da parte del difensore. La prima fattispecie riguarda infatti la mancata informativa da parte dell’avvocato mentre la seconda inerisce alla mancata allegazione del documento informativo all’atto introduttivo del giudizio.

L’art. 4 comma 3 del D.L.vo 28/2010 stabilisce innanzitutto che, in caso di violazione degli obblighi informativi, il contratto di prestazione d’opera concluso tra l’avvocato e l’assistito sia annullabile secondo le regole ordinarie del codice civile.

Nell’ipotesi di mancata allegazione del documento informativo, la medesima disposizione normativa stabilisce inoltre che il giudice, qualora non provveda ai sensi del novellato art. 5 comma 1 bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

Qualora il giudice accerti quindi la mancata allegazione del documento informativo, ovvero il mancato esperimento della mediazione, sarà concesso alle parti un nuovo termine di quindici giorni per la presentazione dell’istanza di mediazione e la successiva udienza sarà fissata trascorso il termine di tre mesi necessari per la conclusione della procedura di mediazione. Tale termine decorre a partire dalla data di deposito dell’istanza presso la segreteria dell’Organismo competente nel caso concreto.

Nulla rileva invece l’ipotesi in cui la parte abbia esperito la procedura di mediazione ma abbia omesso la semplice allegazione della domumentazione informativa.

Un ulteriore dovere, tanto per l’avvocato quanto per tutti coloro che prestino la propria opera durante il procedimento di mediazione, è contenuto nell’art. 9 comma 1 che impone un obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni ricevute durante il procedimento medesimo. Il successivo art. 10 dispone infine che tali informazioni e dichiarazioni siano inutilizzabili in giudizio dall’avvocato, salvo il consenso della parte interessata. Da ultimo, si evidenzia altreso l’obbligo per l’avvocato di informare il proprio assistito delle disposizioni di natura fiscale contenutete negli artt. 17-20 del D. L.vo n. 28/2010.

 

La Negoziazione Assistita.

L’art. 2 comma 1 del D.L. n. 132/2014 definisce la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati come “un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati”.

La convenzione, redatta in forma scritta a pena di nullità, deve obbligatoriamente contenere due elementi:

  1. Il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, che non può essere né inferiore ad un mese né superiore a tre mesi
  2. L’oggetto della controversia, che non deve riguardare tanto diritti indisponibili quanto vertere in materia di lavoro

Come sottolineato trattando in tema di mediazione, anche la negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, come sancito dall’art. 3 comma 1 D.L. 132/14. Rientrano quindi nella previsione di negoziazione obbligatoria le seguenti materie:

  1. Risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti
  2. Domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme, purchè non eccedenti i 50.000 Euro e non inerenti le controversie soggette all’ipotesi di “mediazione obbligatoria” (ovvero quelle in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari)

Restano tuttavia escluse dall’obbligo di negoziazione assistita per previsione del successivo comma 3:

  1. a) i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione
  2. b) i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art. 696-bis del c.p.c.
  3. c) i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata
    d) i procedimenti in camera di consiglio
  4. e) l’azione civile esercitata nel processo penale

Dalla lettura della norma sembrerebbe dunque ricavarsi che, qualora l’attore intenda presentare una domanda di pagamento di una somma di denaro, sia sempre tenuto ad eseprire il tentativo di negoziazione assistita, eccezion fatta nel caso in cui voglia procedere per ingiunzione. L’indicazione contenuta nell’art. 3 comma 3 lett. a) sembrerebbe dunque avere natura derogatoria rispetto alla previsione generale di cui al precedente comma 1.

L’improcedibilità, come previsto in tema di mediazione, è da eccepirsi a pena di decadenza da parte del convenuto ovvero rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Qualora il giudice rilevi che la negoziazione assistita sia iniziata, senza essersi ancora conclusa, fissa la successiva udienza nel termine di massimo tre mesi come indicato ex art. 2 lett. a). Nel caso in cui tale condizione non sia stata assolta, il giudice assegna alle parti il termine di 15 giorni per comunicare l’invito alla negoziazione.

Qualora naturalmente l’invito sia seguito da una risposta negativa ovvero non abbia alcuna risposta entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso, oppure ancora nel caso in cui sia decorso il termine concordato dalle parti ex art. 2 lett. a), si considera ugualmente realizzata la condizione di procedibilità e quindi la possibilità di proporre la domanda giudiziale.

L’art. 6 del D.L. 132/2014 è specificatamente dedicato all’ipotesi di negoziazione assistita in materia di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio nonché di modifica delle condizione di separazione o divorzio precedentemente fissate.

Tale convenzione assistita da almeno un avvocato per parte può essere esperita sia in assenza che in presenza di figli. L’art. 6 comma 2 stabilisce infatti che in mancanza di figli minori, maggiorenni incapaci ovvero portatori di hadicap grave o comunque non autosufficienti, l’accordo eventualmente raggiunto con la negoziazione assitita è trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente che, salvo irregolarità, comunica agli avvocati il nulla-osta. In caso contrario, invece, l’accordo è comunicato al Procuratore della Repubblica entro il termine di 10 giorni il quale, qualora ritenga che l’accordo risponda all’interesse della prole, lo autorizza mentre, se lo valuta inidoneo a tale scopo, entro 5 giorni lo trasmette al Presidente del Tribunale che fissa, nel termine di 30 giorni, la comparizione delle parti.

A differenza delle ipotesi contemplate dall’art. 3, in caso di negoziazione assistita ex art. 6 è previsto l’intervento necessario del Procuratore della Repubblica quale garanzia di regolarità, in particolar modo nell’ipotesi di presenza di figli, dell’accordo raggiunto.

Per specifica previsione dell’art. 6 comma 3, l’accordo eventualmente raggiunto a seguito di negoziazione assistita produce i medesimi effetti, ed è quindi equiparata, ai provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti in tema familiare sopraindicati.

In tema di responsabilità degli avvocati occorre preliminarmente sottolineare la previsione generale contenuta nell’art. 1 comma 7 del D.L. n. 132/14 secondo cui l’informativa nei confronti del cliente, all’atto del conferimento dell’incarico, è un dovere deontologico per il difensore. A tale riguardo appare utile sottolineare come in tema di mediazione il Legislatore non abbia inteso esplicitare, come invece ha deciso di fare in relazione alla disciplina della negoziazione assistita, come l’omessa informativa da parte dell’avvocato costituisca una violazione deontologica, nonostante la medesima conclusione sia ricavabile indirettamente dalla previsione di un dovere di informazione nei confronti dell’assistito.

Tale disciplina si affianca quindi alla previsione generale contenuta nell’art. 40 del Codice Deontologico Forense vigente, che prevede l’obbligo di fornire al proprio assistito chiare informazioni all’atto dell’incarico inerenti “l’attività da espletare”. All’interno di tale locuzione pare possibile ricondurre anche l’obbligo di informativa dell’esperimento di mediazione, la quale rientra pienamente nel novero delle azioni che il difensore è tenuto a porre in essere ai fini dell’eventuale e successiva proposizione di una domanda giudiziale.

Alla definizione degli obblighi dei difensori è inoltre dedicato l’art. 9 del medesimo decreto il quale impone agli avvocati, come alle parti, di comportarsi con lealtà e di tenere riservate le informazione ricevute grazie all’esperimento della negoziazione assistita, che non possono essere utilizzate nel giudizio de quo.

Una sanzione specifica è infine contenuta nell’art. 6 comma 4 in virtù della quale qualora l’avvocato violi l’obbligo di trasmettere, entro 10 giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui fu trascritto il matrimonio, copia autentica della convenzione di negoziazione debitamente sottoscritta, è punito con l’erogazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 Euro.

 

I rapporti tra Mediazione e Negoziazione assistita.

Come evidenziato preliminarmente, la principale caratteristica comune sia alla mediazione che alla negoziazione consiste nell’essere entrambi strumenti istituiti al fine di tentare una risoluzione extra-giudiziale delle controversie.

Bisogna tuttavia sottolineare come, nonostante vi sia un’analogo scopo, non v’è alternatività tra i due istituti guridici, i quali, al contrario, possono talvota trovarsi a coesistere nel caso concreto. A conferma di ciò basti ricordare l’esplicito rimando operato dall’art. 3 comma 1 D. L. n. 132/2014 alle materie soggette a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1 bis del D.L.vo n. 28/2010.

Nelle ipotesi in cui è previsto come obbligatorio l’esperimento di mediazione, le parti possono ugualmente decidere di avvalersi in via preliminare dell’istituto della negoziazione assistita. Qualora il tentativo di negoziazione, in tale ipotesi, dovesse concludersi con esito negativo, le parti non sarebbero tuttavia esenti dall’obbligo di tentare la mediazione dinanzi l’Organismo di conciliazione competente, dovendosi infatti rispettare la previsione contenuta nell’art. 5 comma 1 bis.D.L.vo 28/10.

Oltre alla reciproca alternatività, la mediazione e la negoziazione assistita differiscono tra loro per le modalità con cui è perseguito il comune scopo di risolvere la controversia in essere. Mentre infatti nel corso del tentativo di mediazione le parti, assistite dal proprio avvocato, vengono a trovarsi, ed a confrontarsi, dinanzi un soggetto terzo definito appunto “mediatore”, nella diversa ipotesi di negoziazione assistita non v’è alcun intervento di soggetti esterni in quanto, ad attivarsi, sono unicamente gli avvocati delle parti.

 Dott. Fabio Blasigh

 

Negoziazione assistita e mediazione obbligatoria: i rilievi critici.

Ci si chiede in primo luogo se non sarebbe stato più coerente, in sede di formazione della nuova normativa, far confluire in un unico istituto mediazione e negoziazione assistita, atteso che entrambi gli istituti prevedono l’obbligatoria partecipazione dell’avvocato al procedimento (1). Per quanto riguarda invece i profili problematici, bisogna far riferimento alla circostanza in cui l’oggetto della controversia riguardi la corresponsione di una somma di denaro. Come già ribadito, l’art. 3, comma 1 del d.l. 132/2014 in tema di negoziazione assistita, intitolato “improcedibilità”, prevede che chi voglia proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro debba, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, utilizzare l’istituto della negoziazione assistita; tuttavia, lo stesso comma fa salvi i casi di cui all’art. 5, comma 1 bis del d. lgs. 28/2010 in tema di mediazione. Sia l’art. 5 comma 4, lett. a) del d. lgs. 28/2010 in tema di mediazione che l’art. 3, comma 3, lett. a) del d.l. 132/2014 in tema di negoziazione assistita escludono infatti il ricorso ai rispettivi istituti “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione” (la mediazione anche “fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”), con la conseguenza che, in caso di ottenimento di decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme debende, non sia più necessario ricorrere agli istituti predetti in quanto esclusi per il procedimento di ingiunzione. Tuttavia tale disposizione mal si concilia con l’istituto della messa in mora del debitore, il quale prevede che . Ovviamente, la messa in mora non costituisce condizione di procedibilità della domanda; ma deve tenersi conto che la procedura di mediazione possa anche essere esperita su impulso del giudice oltre che delle parti, come previsto dal comma 2 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, divenendo condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Fatta la debita premessa che, di fatto, anche in caso di mancato utilizzo della mediazione il giudice possa estendere tale procedura a tutte le ipotesi che ritenga opportune, la precisazione punta l’attenzione su un aspetto prettamente pratico e di opportunità oltre che difensiva anche personale del creditore, laddove, valutati tutti gli aspetti della vertenza, il creditore preferisca proporre azione giudiziale avente un maggior “peso” anche in sede di eventuali trattative tra le parti per ottenere soluzioni ritenute soddisfacenti dei propri interessi giuridici e non. Se da un lato bisogna considerare l’interesse dettato dal legislatore nello sfoltire le cause giudiziali per alleggerire il carico di lavoro della magistratura, tale orientamento ad avviso di chi scrive non può e non deve tramutarsi in un eccesso di zelo da parte del sistema giuridico nel voler a tutti i costi far addivenire ad una soluzione satisfattiva per il privato cittadino tramite il ricorso alle procedure suindicate, lasciando libero quest’ultimo di poter anche ottenere il risultato prefisso in sede giudiziale laddove, per opportunità che esula dal consiglio del proprio legale, intenda proseguire l’azione giudiziale non confidando in una soluzione bonaria della vertenza.

Vale la pena infine precisare come le normative in oggetto da un lato vogliano attribuire all’avvocato l’importanza della sua funzione di mediatore qualificato tra le parti, mentre dall’altra, di fatto, lo obblighino ed obblighino il cittadino al ricorso alla sua figura di compositore delle vertenze a mezzo di provvedimenti normativi, dimenticandosi, forse, che l’avvocato sia soggetto già di per sé in grado di provvedere ad instaurare, qualora ne sia il caso, idonee trattative a livello stragiudiziale per la composizione bonaria della vertenza. A ben vedere sembra che il ricorso non obbligatorio all’istituto della mediazione porti risultati più pregnanti, poichè la reintroduzione dell’obbligatorietà della mediazione con il “decreto del fare” (d.l. 69/2013) ha portato una notevole diminuzione delle cause definite mediante questa procedura (da un 62,5% nel secondo trimestre del 2013 a un 28,2% nel primo trimestre del 2014).

Avv. Alessandro Zuco

 

 

 

 

 

(1) La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010 nella parte in cui non prevede la presenza obbligatoria dell’avvocato al procedimento di mediazione, costringendo il legislatore ad intervenire, tramite l’art. 84, comma 1, lett. b) del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, nella Legge 9 agosto 2013 n. 98, con l’aggiunta del comma 1 bis dell’art. 5 predetto, il quale recita: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto […]”.

(2) La messa in mora del debitore ex art. 1219 c.c. implica una serie di conseguenze in capo al soggetto intimato, tra cui l’interruzione della prescrizione, l’attribuzione esclusiva del rischio di impossibilità sopravvenuta della prestazione, la valutazione del comportamento pre-processuale ai fini della decisione sulle spese di lite.

 

 

 

 

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