OMESSO VERSAMENTO IVA E LIQUIDAZIONE DI SOCIETA’: il liquidatore non risponde per oggettiva insufficienza di risorse. Cassazione Penale n. 17727/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17727 del 29 aprile 2019 (ud. del 13/03/2019)

Pres. Sarno, Est. Reynaud

Diritto penale e tributario. Omesso versamento iva. Società in liquidazione. Responsabilità penale del liquidatore e oggettiva insufficienza di risorse. Casistica.

COMMENTO:

Con la sentenza n. 17727/2019 la Suprema Corte si è espressa in tema di omesso versamento dell’iva in relazione alla responsabilità penale del liquidatore

Facendo riferimento all’art. 36 del D.P.R. n. 602/73, la responsabilità in capo al liquidatore sussiste in proprio solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale disposizione, seppur riferita alle imposte sui redditi, rileva anche nel caso concreto ogni qualvolta il liquidatore si trovi in uno stato di oggettiva impossibilità ad adempiere alle obbligazioni societarie (causa di forza maggiore o carenza dell’elemento soggettivo) derivanti dall’insufficienza delle risorse a disposizione.

La Corte di Cassazione ha ricordato la non univocità dei due orientamenti giurisprudenziali creatisi sull’argomento. Secondo il primo orientamento (riferito al reato ex art. 10-ter d. lgs. n. 74/2000 per omesso versamento dell’iva), rispondeva a titolo di dolo eventuale il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, avesse omesso di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Per il secondo orientamento invece, (riferito al reato ex art. 10-bis d. lgs. n. 74/2000 per omesso versamento delle ritenute certificate) il liquidatore rispondeva soltanto qualora avesse distratto l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti.

Nella concreta fattispecie, il liquidatore di una società per azioni calcistica, nominato un mese prima della scadenza del termine fissato per il pagamento dell’iva, non aveva potuto adempiere alle obbligazioni di rito per una mancanza assoluta di liquidità e per impossibilità di trovare i fondi necessari; inoltre, lo stesso imputato aveva dimostrato di aver assunto la carica soltanto dietro rassicurazione, da parte dei soci, che vi sarebbe stata una ricapitalizzazione e che fosse in corso la trattativa per la cessione di un giocatore, motivazioni che successivamente si sono rivelate prive di fondamento, determinando così le dimissioni del liquidatore dalla propria carica.

In ogni caso, è bene precisare che il reato è stato giudicato prescritto dalla Corte di legittimità.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17727 del 29 aprile 2019 (ud. del 13/03/2019)

SENTENZA

sul ricorso proposto da Antro Arturo, nato a Bari il 09/05/1949

avverso la sentenza del 16/02/2018 della Corte di appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Domenico Seccia, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore del ricorrente avv. Alessandra Cacioli che ha concluso chiedendo accogliersi le conclusioni del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 Febbraio 2018, la Corte d’appello di Firenze, decidendo il gravame proposto da Arturo Antro, ha confermato la sentenza con cui il medesimo è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 10 -ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per aver omesso il versamento dell’IVA per 687.207,00 Euro in relazione al debito d’imposta della Ardesia Spa per il 2009.

2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con il primo motivo si lamentano la violazione degli artt. 40, 41 e 42 cod. pen., il travisamento delle risultanze processuali e l’illogica ed errata motivazione per essere stata ritenuta la responsabilità dell’imputato benché egli avesse assunto la carica di liquidatore della società – proprietaria della squadra di calcio dell’Arezzo – soltanto un mese prima della scadenza del termine per il versamento dell’IVA e non abbia potuto effettuare il versamento per assoluta mancanza di liquidità ed impossibilità di reperirla. La Corte d’appello non ha considerato che l’imputato aveva accettato quell’incarico soltanto perché i soci avevano promesso una ricapitalizzazione ed era comunque in corso una trattativa per la vendita di un giocatore: egli aveva rassegnato le dimissioni non appena aveva avuto contezza che entrambi gli eventi non si sarebbero verificati, sì che rimase in carica soltanto dal 26 novembre 2010 all’il. febbraio 2011, data, quest’ultima, fissata a causa dei tempi tecnici necessari per poter adempiere alle formalità ed erroneamente valutata dalla Corte come indice della volontà di non effettuare il versamento dell’imposta. Tale conseguenza fu dunque determinata da forza maggiore e, in ogni caso, non sussisterebbe il dolo eventuale, illogicamente ravvisato invece dalla sentenza impugnata nell’accettazione del rischio connesso all’assunzione della carica di liquidatore, trattandosi semmai di profilo valutabile quale mero indice di colpa. 4. Con il secondo motivo si deduce il vizio di mancanza di motivazione con riguardo al motivo di gravame con cui si era lamentata la condanna per un fatto addebitabile alla condotta del precedente amministratore, che aveva incassato VIVA senza accantonarla per il successivo versamento all’Erario. Se l’art. 10 ter d.lgs. 74 del 2000 dovesse essere interpretato nel senso che in un caso come quello di specie il liquidatore debba rispondere per l’omesso versamento determinato dalla mancanza di liquidità ad altri addebitabile – si aggiunge – la disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 27, primo comma, Cost.5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’intervenuta prescrizione del reato alla data del 27 giugno 2018. 6. Con memoria contenente motivi aggiunti, il ricorrente ha ulteriormente dedotto violazione degli artt. 40, 41 e 42 cod. pen. e vizio di motivazione, anche per travisamento di prova decisiva, non avendo la Corte territoriale riconosciuto la causa di non punibilità della forza maggiore pur a fronte delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare escusso come testimone circa l’insussistenza nelle casse della società, al momento della scadenza del termine, di fondi sufficienti per effettuare il pagamento del debito d’imposta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è inammissibile e, essendosi il reato prescritto, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio per tale causa.

2. Ed invero, con riguardo alla responsabilità penale del liquidatore di società per il mancato versamento delle imposte sulla medesima gravanti, allorquando il debito contributivo si sia formato nel periodo di gestione di precedente organo amministrativo e l’omissione sia dovuta ad assenza della necessaria provvista non imputabile al liquidatore, la giurisprudenza di questa Corte ha seguito percorsi non univoci. Secondo un primo indirizzo, in particolare affermato per il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter, d.lgs. 74 del 2000, e sostanzialmente fatto proprio dalla sentenza impugnata, risponde quantomeno a titolo di dolo eventuale il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, Decataldo, Rv. 260390; Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, Stocco, Rv. 259092).

3. Con più recente decisione, emessa in relazione all’analogo delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, si è invece affermato il principio secondo cui, in tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto previsto dall’art. 10 -bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non per il mero fatto del mancato pagamento, con le attività di liquidazione, delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti (Sez. 3, n. 21987 del 28/04/2016, Bareato, Rv. 267337). In motivazione, la decisione spiega che la conclusione è ricavabile dalle limitazioni fissate, dall’art. 36 del d.P.R. 602 del 1973, alla responsabilità in proprio del liquidatore, che sussiste solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Benché tale disposizione – che, peraltro, riguarda l’obbligo civilistico solidale del pagamento dei tributi non versati – si riferisca esclusivamente alle imposte sui redditi, reputa il Collegio che il principio di cui essa è espressione risponda all’esigenza di non gravare chi assuma la carica di liquidatore di una società di responsabilità per omessi pagamenti dovuti all’insufficienza di risorse che spesso caratterizza la fase liquidatoria e rispetto ai quali nessuno specifico motivo di rimprovero può essere mosso all’agente. Tale disciplina e la citata giurisprudenza di legittimità che ne ha fatto recente applicazione si muovono, dunque, in quella prospettiva di non imputabilità della condotta (per causa di forza maggiore od assenza di elemento soggettivo) che – con argomentazioni specifiche e non manifestamente infondate – il ricorrente ha posto a base del ricorso per lamentare l’illegittimità ed il difetto di logica motivazione della decisione di merito che non ha invece considerato quei profili.

4. Poiché il ricorso non può pertanto dirsi inammissibile ed il delitto – in assenza di cause di sospensione del corso della prescrizione – si è estinto col decorso del termine massimo di anni sette e mesi sei dalla consumazione, avvenuta in data 27 dicembre 2010, non essendo evidente la sussistenza di una causa di proscioglimento più favorevole ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 13 marzo 2019.

 

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 17727-2019