Raccolta, trasporto e rivendita a terzi di rifiuti metallici – Errore scusabile

Cass. Pen., Sez. III, n. 49632 del 23 novembre 2016 (ud. 22 marzo 2016)
Pres. Fiale, Est. Gentili
Rifiuti. Raccolta, trasporto e rivendita a terzi rifiuti metallici – Conferimento del materiale – Errore scusabile – Art. 256, comma 1, lett.a) e 266, d.lgs. n. 152/2006 – Emissione di decreto penale. Art. 129 c.p.p.

Il giudice per le indagini preliminari, qualora ritenga prosciogliere la persona nei cui confronti il Pubblico ministero abbia richiesto l’emissione di decreto penale di condanna, lo può fare solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell’art. 129 cod. proc. pen., ma non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’art. 530, comma 2, stesso codice (cfr. Cass. Pen., Sez. III , 9 ottobre 2014, n. 45934). Nella specie, l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo la quale l’imputato sarebbe caduto in errore scusabile allorquando ha conferito il materiale al centro dì raccolta anziché all’isola ecologica, si fonda invero su una serie di elementi che danno per presupposte anche lacune investigative che finirebbero per incidere sull’elemento soggettivo, nel senso che non vi sarebbe prova che l’imputato fosse consapevole del carattere illecito della propria condotta né che fosse stato messo nella condizione di conoscere che il conferimento da parte sua del materiale di scarto alla società destinataria fosse contrario alla normativa di settore.

Cass. Pen., Sez. III, n. 49632 del 23 novembre 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo;

nei confronti di ARCELLA ARMANDO;

avverso la sentenza n. 657/2014 del Giudice per la udienza preliminare del Tribunale di Cuneo del 20 dicembre 2014;

letti gli atti di causa, sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Maria Giuseppina FODARONI, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 20 dicembre 2014 il Gup del Tribunale di Cuneo, essendo stato investito dal locale Pm della richiesta di emissione di decreto penale a carico di Arcella Armando, imputato del reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere, in più occasioni, raccolto, trasportato e rivenduto a terzi rifiuti metallici per una quantità pari a complessivi kg 3605, ne disponeva, invece, il proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., per la ritenuta insussistenza del fatto a quello addebitato.

Nel motivare la propria decisione il Tribunale piemontese rilevava che, per un verso, doveva ritenersi pienamente lecita la attività di raccolta e trasporto rifiuti se esercitata da chi avesse il titolo abilitativo al commercio svolto in forma ambulante e che, per altro verso, non poteva escludersi che fosse stata la stessa società acquirente che aveva prelevato i rottami ferrosi da chi li aveva conferiti.

Avverso detta sentenza interponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo, osservando che, avendo il giudicante lamentato l’esistenza di lacune investigative, in particolare in merito alla assenza di ogni accertamento sia in relazione alla titolarità da parte dell’imputato della autorizzazione allo svolgimento del commercio ambulante sia in ordine alle modalità di conferimento all’acquirente dei rifiuti ad esso ceduti, il giudicante, invece che pronunziare sentenza di proscioglimento, avrebbe dovuto, in applicazione dell’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., disporre la restituzione degli atti al Pm, non rientrando la incompletezza della prova fra le ipotesi che, tassativamente, legittimano la adozione della sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.

Il ricorrente ulteriormente eccepiva la violazione o la mancata applicazione dell’art. 5 cod. pen., in quanto il giudicante avrebbe fondato la propria decisione sulla base della mera presunzione della sussistenza in capo all’imputato della licenza per l’esercizio del commercio ambulante e sulla esistenza di un erroneo convincimento da parte del medesimo imputato sulla liceità della sua condotta se svolta da chi fosse titolare della detta licenza.

Infine la pubblica accusa deduceva la violazione o mancata applicazione degli artt. 256, comma 1, e 266, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, avendo il Tribunale omesso di considerare la natura non certamente occasionale della attività posta in essere dall’Arcella e come tale idonea ad integrare il reato de quo ove svolta da soggetto non dotato di apposita autorizzazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato e, pertanto, il medesimo deve essere accolto, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Come osservato dal PM ricorrente con il primo motivo di ricorso, nella sentenza si fa riferimento a lacune investigative, sostenendo che difettasse, nella richiesta di emissione di decreto penale, ogni accertamento sulla tipologia esatta di materiale e sull’esatta entità dei materiali conferito e sulle modalità di detto conferimento al fine di averne indicazioni sulla saltuarietà ovvero sistematicità delle condotte ascritte all’imputato.

Orbene, non può non convenirsi con il ricorrente e con il PG presso questa Corte che, se tale era la situazione probatoria, il Tribunale non doveva prosciogliere l’imputato ex art. 129 cod. proc. pen., ma, stante la rilevata carenza probatoria, avrebbe dovuto disporre la restituzione degli atti all’organo inquirente a norma dell’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.

In questo senso è infatti consolidato l’orientamento giurisprudenziale, ricordato dall’impugnante, secondo il quale il giudice per le indagini preliminari, qualora ritenga prosciogliere la persona nei cui confronti il Pubblico ministero abbia richiesto l’emissione di decreto penale di condanna, lo può fare solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell’art. 129 cod. proc. pen., ma non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’art. 530, comma 2, stesso codice (ex multis, da ultimo: Corte dì cassazione, Sezione III penale, 9 ottobre 2014, n. 45934).

L’affermazione, contenuta in sentenza, secondo la quale l’imputato sarebbe caduto in errore scusabile allorquando ha conferito il materiale al centro dì raccolta anziché all’isola ecologica, si fonda invero su una serie di elementi che danno per presupposte anche lacune investigative che finirebbero per incidere sull’elemento soggettivo, nel senso che non vi sarebbe prova che l’imputato fosse consapevole del carattere illecito della propria condotta né che fosse stato messo nella condizione di conoscere che il conferimento da parte sua del materiale di scarto alla società destinataria fosse contrario alla normativa di settore.

Tutto ciò, però, avrebbe dovuto condurre non al proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ma appunto ad adottare il provvedimento restitutorio di cui all’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.

L’accoglimento del primo motivo è dirimente ed assorbente, ancorché non preclusivo, stante la sua natura meramente processuale.

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti per l’ulteriore corso al Tribunale di Cuneo.

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Cuneo.

Così deciso in Roma, il 22. marzo 2016