Rifiuti. Responsabilità del titolare dell’impresa, abbandono incontrollato di rifiuti, omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38849 del 4 agosto 2017 (ud. del 5 aprile 2017)

Rifiuti. Non punibilità per speciale tenuità del fatto. Art. 131-bis c.p. . Gestione illecita di rifiuti. Art. 256, comma 1, d. lgs. n. 152/2006. Applicabilità. Valutazione. Commissione di più illeciti in esecuzione del medesimo disegno criminoso.

In materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014, Mangone e altro, Rv. 261383).

L’art. 131-bis cod. pen. stabilisce che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. In particolare, per quanto interessa, il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38849 del 4 agosto 2017 (ud. del 5 aprile 2017)

SENTENZA

sul ricorso proposto da Alonzo Barbara, nata a Finale Ligure il 05/08/1973 avverso la sentenza del 03/02/2016 del Tribunale di Savona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricors.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 febbraio 2016 il Tribunale di Savona ha condannato Barbara Alonzo, concesse le attenuanti generiche, alla pena di euro 2400 di ammenda per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

2. Avverso la predetta decisione l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione allegando due articolati motivi di impugnazione.

2.1. In particolare, col primo motivo la ricorrente ha dedotto violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 256, comma 1, lett. a) e comma 2, d.lgs. 152 del 2006. Ciò in quanto il deposito dei rifiuti risaliva al 2006, allorché la ditta della famiglia Poggi era amministrata da Luciano Poggi (nel procedimento di primo grado, infatti, coimputato della Alonzo era Giordano Poggi, coniuge dell’odierna ricorrente). La ricorrente ha altresì osservato che in specie non poteva esserci responsabilità omissiva, né la colpevolezza della ricorrente, quale comodataria del terreno, poteva fondarsi sulla consapevolezza dell’esistenza di discarica e stoccaggio di rifiuti. Mentre non poteva affermarsi che nel 2000, atteso il contenuto delle assunte deposizioni (che ne avevano descritto il ruolo come mera segretaria), la ricorrente fosse effettivamente amministratrice della “ditta Poggi”.

2.2. Col secondo motivo la ricorrente ha censurato la mancata applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cod. pen., laddove il Tribunale aveva giustificato tale rigetto facendo riferimento a condotte plurime e reiterate di cui non vi era invece traccia.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

4.1. In relazione al primo motivo di censura, non è anzitutto contestato che l’odierna ricorrente sia da lungo tempo amministratrice della società (ancorché, per vero, da un lato la stessa abbia sostenuto, invocato al riguardo il contenuto delle deposizioni testimoniali assunte, di avere rivestito negli anni sostanzialmente il ruolo di segretaria; mentre, dall’altro, nel rapporto del 26 gennaio 2014 dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Finale Ligure il rapporto circa il deposito incontrollato di rifiuti abbia indicato quali pretesi responsabili Giordano Poggi, quale “responsabile delle attività svolte nel sito e titolare della Poggi Giordano s.n.c.”, e Barbara Alonzo “in qualità di moglie del Poggi ed affittuaria a titolo personale del terreno”). In proposito, fermi i rilievi svolti, va ricordato che l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche quando altri soggetti abbiano agito come amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione o il semplice mantenimento della carica attribuiscono allo stesso specifici doveri di vigilanza e controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o, comunque, a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (cfr. ad es. Sez. 3, n. 14432 del 19/09/2013, dep. 2014, Carminati, Rv. 258689). In specie, tra l’altro, alla ricorrente è stata ascritta una responsabilità di natura contravvenzionale, per la quale quindi l’elemento soggettivo era rappresentato dalla sola colpa. In ragione di ciò, e tenuto conto che l’odierna ricorrente era chiamata a rispondere non quale proprietaria ma quale amministratrice, si osserva altresì che è stato coerentemente sostenuto che, in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014, Mangone e altro, Rv. 261383). Il primo motivo di impugnazione, quindi, si presenta manifestamente infondato, atteso che, in definitiva, la ricorrente non ha inteso prendere espressa posizione in relazione alla ratio del provvedimento impugnato, che comunque le ascriveva la penale responsabilità in ragione della sua posizione formale all’interno della società, risalente all’anno 2000 ed in relazione a fatti sui quali doveva comunque esercitare un controllo. Non era in definitiva intervenuta condanna, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente a pag. 4, perché le sarebbe stata attribuita una posizione di garanzia per il solo fatto che l’imputata rivestiva il ruolo di comodataria del terreno sul quale erano stati rinvenuti i rifiuti.

4.2. In relazione al secondo motivo di censura, l’invocata norma di cui all’art. 131-bis cod. pen. stabilisce che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. In particolare, per quanto interessa, il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Vero è, al riguardo, che il Tribunale ligure ha escluso la sussistenza della causa di non punibilità “trattandosi di reati posti in essere con condotte plurime e reiterate”. Vero è, altresì, che è stato già osservato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., non può essere applicata ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica (principio dettato con riferimento al reiterato conferimento di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi in assenza del necessario titolo abilitativo) (Sez. 3, n.48318 del 11/10/2016, Halilovic, Rv. 268566; cfr. altresì Sez. 7, n. 13379 del 12/01/2017, Boetti, Rv. 269406). In proposito, peraltro, si osserva altresì che, quanto all’ipotesi di “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, non è stato ripetuto l’inciso – invece inserito per il caso di più reati della stessa indole – “anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di lieve entità”. In altre parole, la scelta del legislatore, non ripetendo l’inciso, lascia aperta la conseguente possibilità, in caso di “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, di applicare l’art. 131-bis cit., all’esito di una valutazione di particolare tenuità delle singole condotte o dei singoli fatti. Atteso ciò, è stato ritenuto che vi sarebbe una diversa valutazione del legislatore, in termini di disvalore della condotta e di capacità a delinquere dell’agente: ben più grave sarebbe la condotta di chi commette più reati della stessa indole isolati e indipendenti, rispetto a chi li commette nell’ambito di un medesimo disegno criminoso o nel medesimo contesto spazio-temporale. In tal modo, segno di maggiore pericolosità si rinviene in colui che ripetutamente ed in tempi diversi delinque, rispetto a colui al quale, come in specie, viene ascritto un solo reato con una eventuale reiterazione di condotte. Tanto più che, a volere escludere dall’ambito di applicazione della non punibilità per particolare tenuità, sostanzialmente, qualsiasi comportamento che non sia isolato ed occasionale, si restringerebbe il concetto di “non abitualità”, parificandolo in pratica a quello di “occasionalità”. In definitiva, il rigetto della domanda di applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cit., sul presupposto che si tratti di reati posti in essere con condotte plurime e reiterate, non si rivela appagante anche per la sua genericità, tanto più in considerazione del riconoscimento che l’attività era “gestita e svolta prevalentemente dal marito”, a carico del quale era parimenti contestato di avere agito quale legale rappresentante della medesima Poggi Giordano s.n.c., e che per tale ipotesi di reato era stato parimenti condannato. D’altronde, la valutazione circa la particolare tenuità del fatto va effettuata dopo avere ritenuto sussistente un fatto che costituisce reato, mentre appunto detta particolare tenuità si collega alla verifica sull’opportunità di punire un determinato fatto antigiuridico e colpevole. In definitiva, il Tribunale dovrà adeguatamente motivare in ordine ai requisiti di applicabilità dell’invocato istituto, alla stregua delle considerazioni che precedono e tenuto conto tanto degli orientamenti formatisi quanto della concreta fattispecie, alla luce della particolare posizione soggettiva dell’odierna ricorrente siccome risultante dalla compiuta istruttoria e dalle evidenze del provvedimento.

5. Alla stregua dei rilievi che precedono, e ferma la residua inammissibilità dell’impugnazione, la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., così rinviando per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Savona in diversa composizione personale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 131- bis cod. pen., e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Savona in diversa composizione personale.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen. sez. 3 n. 38849-2017