AIA, violazione delle prescrizioni autorizzatorie e rapporti con la “condotta occasionale”. Cassazione Penale n. 47282/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 47282 del 21 novembre 2019 (ud. del 2 ottobre 2019)

Pres. Liberati, Est. Corbo

Rifiuti. Autorizzazione integrata ambientale. Scarichi di acque reflue industriali. Limiti ai contenuti di metalli pesanti. Violazione delle prescrizioni. Scarico illecito. Occasionalità. Differenza tra mera irregolarità amministrativa e condotta penalmente rilevante. Art. 29-quattuordecies, 137 d. lgs. n. 152/2006. 

Risponde del reato previsto dall’art. 29-quattuordecies del d. lgs. n. 152 del 2006 il titolare dell’autorizzazione integrata ambientale che viola le prescrizioni imposte dal provvedimento, non potendo in alcun caso l’inosservanza di esse ritenersi circoscritta nell’ambito delle mere irregolarità amministrative, in quanto la valutazione della offensività della condotta è stata già preventivamente effettuata dal legislatore

Rientra nella nozione di scarico la canalizzazione, anche se soltanto periodica o discontinua o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema stabile di canalizzazione, e che un limite alla configurabilità di tale fattispecie ricorre solo in caso di sversamento non ragionevolmente prevedibile.

COMMENTO:
La violazione dei limiti prescritti per gli scarichi idrici di sostanze pericolose contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) si configura a carico del titolare di una impresaex art. 29-quattuordecies d. lgs. n. 52/2006.

La violazione di tali disposizioni non può considerarsi mera irregolarità amministrativa poichè trattasi di una valutazione di offensività della condotta già operata dal legislatore con l’introduzione di una fattispecie di reato nel d. lgs. n. 152/2006. Ciò in quanto il riferimento a dettagliate prescrizioni nel provvedimento di autorizzazione integrata ambientale costituisce un dettame essenziale ai fini del rispetto delle finalità prescritte dalla stessa autorizzazione ambientale.

Per quanto riguarda l’occasionalità della condotta, è necessario fare riferimento ad eventuali previsioni di tolleranza indicate nell’autorizzazione ambientale, dalle quali si può evincere il discrimine tra una condotta lecita ed una in violazione delle disposizioni normative.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 47282 del 21 novembre 2019 (ud. del 2 ottoreb 2019)

SENTENZA

sul ricorso proposto da [omissis], nato a Milano il 27/11/1933

avverso la sentenza in data 07/01/2019 della Corte d’appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Corasaniti, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’avvocato Tatiana De Benedictis, in sostituzione dell’avvocato Andrea Perron Cabus, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 7 gennaio 2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che aveva dichiarato la penale responsabilità di [omissis] per il reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 4, lett. b), d. lgs. n. 152 del 2006, per scarichi effettuati nelle date del 18 settembre 2015 e del 27 gennaio 2016 in pubbliche fognature dagli impianti della società di cui era legale rappresentante, senza l’osservanza delle prescrizioni di cui al decreto autorizzativo e con superamento dei valori limite per la sostanza pericolosa “nichel” stabiliti nel Regolamento del Servizio Idrico Integrato, e lo aveva condannato alla pena condizionalmente sospesa di due mesi di arresto e di 4.000,00 euro di ammenda per ciascun dei due episodi, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l’avvocato Andrea Perron-Cabus, quale difensore di fiducia dell’imputato, articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato commesso il 18 settembre 2015. Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso una reale motivazione, ed offre conclusioni non coerenti con le risultanze dibattimentali nonché del tutto incoerenti ed illogiche. Si rappresenta, innanzitutto, che la riferibilità dei reflui rinvenuti nel pozzetto alla società di cui era legale rappresentante l’imputato è stata affermata presuntivamente, sebbene la stessa sentenza ammetta di non essere riuscita ad accertare in concreto come fossero giunte in quel luogo le sostanze. Si osserva, in particolare, che la sentenza impugnata non ha motivato perché lo scarico non potesse essere ritenuto occasionale, nonostante l’assenza di uno stabile collegamento tra il sito produttivo ed il condotto di scarico nel quale sono stati rinvenuti i reflui in contestazione, destinato esclusivamente al deflusso delle acque meteoriche. Si aggiunge, poi, che il rapporto percentuale tra le concentrazioni di nichel e di fosforo rinvenute nel campione è notevolmente diverso da quello risultante dall’ordinario ciclo produttivo.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena per entrambi i reati. Si deduce che la motivazione della Corte d’appello, nel quantificare la pena, si limita ad affermarne la congruità, senza operare alcun riferimento ai criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. Ciò, tanto più che la pena è nettamente superiore ai minimi edittali, che i fatti sono occasionali, che minimo ètelemento della colpevolezza, e che l’imputato è incensurato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’affermazione della sussistenza del reato, deducendo che la riferibilità dei reflui all’azienda amministrata dall’imputato è stata ritenuta sulla base di una mera presunzione, contrastante anche con la diversità del dato della concentrazione di “nichel” nel campione prelevato il 18 settembre 2015 rispetto a quello rilevabile in relazione ai reflui derivanti dall’ordinario processo produttivo, e che, in ogni caso, la condotta è irrilevante perché occasionale.

2.1. Va in primo luogo evidenziato che la riferibilità dei reflui accertati mediante il controllo del 18 settembre 2015 alla azienda del ricorrente è correttamente motivata. La sentenza impugnata osserva che il campione, sebbene prelevato da un pozzetto dove confluivano solo acque domestiche provenienti dai servizi igienici, è univocamente indicativo della natura industriale dello scarico, in ragione della percentuale elevata dei valori di “nichel”, non solo incompatibili con i valori della produzione del metabolismo umano o di attività domestiche, ma specificamente relativi alla sostanza trattata dal ciclo di produzione dell’azienda del ricorrente. I rilievi svolti nel ricorso, in particolare anche quelli concernenti la mancata individuazione del percorso delle sostanze dal ciclo produttivo al pozzetto nonché quelli relativi alla diversità del dato della concentrazione di “nichel” nel campione prelevato il 18 settembre 2015 rispetto a quello rilevabile in relazione ai reflui derivanti dall’ordinario processo produttivo dell’azienda di cui l’imputato è titolare, non evidenziano alcuna lacuna, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata. Invero, gli elementi acquisiti evidenziano che nel condotto di scarico per la pubblica fognatura erano presenti reflui i quali, da un lato, contenevano valori di “nichel” certamente non riconducibili alla produzione del metabolismo umano o da attività domestiche, e, dall’altro, erano in violazione delle prescrizioni della autorizzazione integrata ambientale proprio perché recanti una elevata concentrazione di quella sostanza, il “nichel”, derivante dall’ordinario ciclo di produzione industriale dell’azienda del ricorrente, relativa all’attività di trattamenti galvanici. Non va trascurato, inoltre, che concentrazioni di “nichel” superiori a quelle consentite, ma inferiori a quelle connesse all’ordinario ciclo di produzione dell’attività possono essere accettabilmente spiegate, come osservato in modo puntuale dal giudice di primo grado, siccome prodotto dell’attività di lavaggio dei pezzi, quando vengono passati da una vasca all’altra. Deve perciò concludersi che la sentenza impugnata ha affermato sulla base di presupposti fattuali certi e di argomentazioni logiche non incongrue, sullo schema, quindi, di un corretto ragionamento indiziario, che il ricorrente abbia effettuato scarichi di reflui generati dall’attività della sua impresa nella pubblica fognatura, e, in questo modo, violato le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale di cui la medesima impresa era titolare.

2.2. Va poi evidenziato che la occasionalità dello scarico non costituisce di per sé circostanza liberatoria di responsabilità del titolare dell’azienda, in difetto di previsioni di “tolleranza” dell’autorizzazione integrata ambientale. Invero, nessun limite in proposito è desumibile dalla legge, e, anzi, il rigoroso rispetto delle prescrizioni costituisce un preciso obiettivo preso di mira dal legislatore. Ed infatti, in giurisprudenza si è affermato che risponde del reato previsto dall’art. 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006 il titolare dell’autorizzazione integrata ambientale che viola le prescrizioni imposte dal provvedimento, non potendo in alcun caso l’inosservanza di esse ritenersi circoscritta nell’ambito delle mere irregolarità amministrative, in quanto la valutazione della offensività della condotta è stata già preventivamente effettuata dal legislatore (cfr. Sez. 3, n. 4346 del 17/12/2013, dep. 2014, Roda, Rv. 259247- 01, la quale, in motivazione, ha anche sottolineato come «il ricorso a prescrizioni estremamente dettagliate e l’esigenza di un puntuale rispetto delle stesse siano pienamente giustificati dalle finalità perseguite e anche una eventuale valutazione sulla concreta offensività della condotta non può prescindervi»). Semmai, dovendo escludersi la configurabilità di una responsabilità oggettiva, potrebbe rilevare una situazione di non ragionevole prevedibilità di uno scarico involontario; tuttavia, tale circostanza non è nemmeno allegata nella specie, ed anzi risulta contrastare con il verificarsi di analoghi episodi già nel 2011 e nel 2013, oltre che il 18 settembre 2015 ed il 27 gennaio 2016. Una conferma delle conclusioni precedentemente esposte deriva anche dall’elaborazione della giurisprudenza in relazione al reato di scarichi di acque reflue industriali di cui all’art. 137 d.lgs. n. 152 del 2006. Invero, si è osservato che, a norma della disposizione appena citata, rientra nella nozione di scarico la canalizzazione, anche se soltanto periodica o discontinua o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema stabile di canalizzazione (così Sez. 3, n. 47038 del 07/10/2015, Branca, Rv. 265554-01), e che un limite alla configurabilità di tale fattispecie ricorre solo in caso di sversamento non ragionevolmente prevedibile (Sez. 3, n. 5239 del 15/12/2016, dep. 2017, Buja, Rv. 268989-01).

3. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure esposte nel secondo motivo e che contestano la congruità della pena. Invero, la sentenza impugnata ha applicato una pena molto più prossima ai minimi che ai massimi edittali, nonché sensibilmente inferiore anche alla media dell’editto, valorizzando la gravità dei fatti, tra l’altro reiterati in due occasioni (il 18 settembre 2015 ed il 27 gennaio 2016) a breve distanza di tempo e nonostante i controlli medio tempore effettuati.

4. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 2 ottobre 2019.

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