Rifiuti. Amianto e responsabilità del curatore fallimentare. T.A.R. Friuli V.G.

T.A.R. Friuli V.G., Sez. I, sent. n. 441 del 12 ottobre 2015 (ud. 7 ottobre 2015)

Pres. ed est. Zuballi

Rifiuti. Amianto e responsabilità del curatore fallimentare.

In ambito di curatela fallimentare su beni industriali contenenti amianto, è necessario verificare in concreto la natura dei beni oggetto di monitoraggio, poiché la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto (cfr. D.M. 6 settembre 1994). Mentre nel caso di inquinamento del suolo e/o delle falde prodotto da complessi industriali in seguito dismessi o ceduti ad altri imprenditori e riconvertiti oppure entrati a far parte di procedure concorsuali è applicabile il principio “chi inquina paga” a condizione, ovviamente, che si dimostri che l’inquinamento è stato provocato dal precedente gestore dell’impianto – nel caso dell’amianto il discorso è diverso, in quanto la continua sorveglianza imposta dalla legge e il fatto che l’amianto divenga pericoloso per l’ambiente e la salute solo a certe condizioni consentono di scindere le responsabilità e obbligano passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni per l’applicazione della normativa speciale. Inoltre, la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della L. n. 257/1992.

T.A.R. Friuli V.G., Sez. I, sent. n. 441 del 12 ottobre 2015 (ud. 7 ottobre 2015)

00441/2015 REG.PROV.COLL.

00224/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 224 del 2015, proposto da:
Fallimento Italsvenska Srl in Liquidazione, rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Bran, con domicilio eletto presso lo stesso in Trieste, Via San Nicolo’ 21;

contro

Comune di Mariano del Friuli, rappresentato e difeso dall’avv. Luca De Pauli, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R. in Trieste, piazza Unita’ D’Italia 7;
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

per l’annullamento

dell’ordinanza sindacale n. 1/2015, del Sindaco del Comune di Mariano del Friuli del 1 aprile 2015, notificata via pec in data 1 aprile 2015, prot. n. 1667 relativa a coperture in materiale contenente amianto nello stabilimento Italsvenska srl;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mariano del Friuli e del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2015 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, curatore fallimentare della Italsvenska srl, impugna con il presente ricorso l’ordinanza sindacale n. 1 del 2015 del sindaco di Mariano del Friuli.

Fa presente che la ditta è stata dichiarata fallita in data 6 settembre 2013 e che tra i beni di sua proprietà vi è un immobile già adibito a stabilimento industriale e da tempo in disuso.

A seguito di una tromba d’aria verificatasi il 17 febbraio 2014, il sindaco aveva ordinato al curatore di provvedere alla rimozione di detriti contenenti amianto e di bonificare i luoghi, e a tale ordinanza è stato ottemperato. Successivamente sono state emanate ulteriori ordinanze con le quali si chiedeva di provvedere alla verifica delle coperture dell’immobile e a monitorare l’evoluzione della situazione.

In data 1 aprile 2015 venne emessa l’ordinanza qui impugnata che intima al curatore di proseguire nell’attività di monitoraggio e di bonifica; in particolare si ordina la nomina di un responsabile con compiti di controllo e coordinamento di tutte le attività di manutenzione riguardanti i materiali contenenti amianto, l’attuazione di un programma di monitoraggio semestrale e la conclusione delle operazioni di bonifica entro il mese di ottobre del 2017.

Il ricorrente ritiene illegittimo il provvedimento per i motivi di seguito compendiati:

  1. Violazione degli articoli 50 e 54 del decreto legislativo 267 del 2000, mancanza dei requisiti che riguardano le ordinanze contingibili e urgenti per la presenza di strumenti alternativi, la mancanza di un termine finale di efficacia del provvedimento e infine carenza di motivazione. Secondo il ricorrente non sono stati rispettati i limiti nell’ambito dei quali è consentito emettere le ordinanze contingibili e urgenti, in particolare la tutela della sanità o dell’igiene pubblica e la mancanza di mezzi alternativi.
  2. Carenza di potere e incompetenza assoluta per violazione dell’articolo 12 della legge 257 del 1992 e dell’articolo 244 del decreto legislativo 152 del 2006. Il provvedimento, anche se qualificato come ordinanza contingibile e urgente, è un atto amministrativo con cui si ordina di effettuare la bonifica della copertura di un capannone contenente amianto. In tale materia la competenza spetta peraltro alla regione mentre la provincia può ordinare al responsabile di procedere alla bonifica.
  3. Violazione dell’articolo 7 della legge 241 del 1990 e dell’articolo 97 della Costituzione; violazione del giusto procedimento e dei principi di buon andamento e correttezza, in quanto l’amministrazione ha adottato l’ordinanza senza la previa comunicazione di avvio del procedimento e senza una motivazione su tale punto. La bonifica avrà la durata di circa due anni, e quindi non vi sono le ragioni di urgenza per omettere il preavviso di avvio del procedimento.
  4. Violazione degli articoli 31 e 42 della legge fallimentare e sviamento. Il curatore non è né successore né rappresentante del proprietario dei beni ma assume semplicemente la legittimazione a liquidarli nell’interesse dei creditori; non è soggetto agli obblighi dell’imprenditore fallito. Anche per la bonifica dall’amianto il curatore non può essere considerato responsabile del comportamento del precedente proprietario.
  5. Violazione degli articoli 192 e 239 del decreto legislativo 152 del 2006; i danni ambientali vanno accollati chi ne è responsabile, salvo la rivalsa e questo vale anche nei confronti del fallimento.

Il curatore afferma che gli obblighi di bonifica hanno causa precedente alla dichiarazione di fallimento e quindi insiste per l’annullamento dell’atto impugnato e per la sospensione della sua efficacia.

Resiste in giudizio il Comune il quale osserva come le precedenti ordinanze comunali aventi analogo contenuto sono state ottemperate: eccepisce quindi l’inammissibilità del ricorso per acquiescenza al provvedimento.

Inoltre i modi e i tempi d’intervento erano stati suggeriti dallo stesso curatore nell’ambito di una sua relazione.

Eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica all’azienda sanitaria che aveva invitato il sindaco a intervenire. Rileva poi l’infondatezza di tutti i motivi e conclude per il suo rigetto.

Le due eccezioni formulate dal comune non possono essere accolte; quanto all’acquiescenza, la decisione di non impugnare precedenti atti di analogo contenuto non può dimostrare l’accettazione del presente provvedimento, tra l’altro palesemente diverso e maggiormente incisivo rispetto ai precedenti.

Quanto poi alla mancata notifica all’azienda sanitaria, quest’ultima ha emanato un accertamento tecnico presupposto laddove l’atto impugnato rientra nelle piene responsabilità del sindaco.

In via preliminare va osservato come l’accertamento del degrado dello stabilimento e il pericolo di contaminazione da amianto sono emersi in un momento successivo rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Va poi osservato come la presenza e soprattutto il pericolo di diffusione di materiali contenenti amianto in un edificio comporta per sua stessa natura la necessità d’interventi urgenti a tutela della salute, in maniera molto più incisiva rispetto a un semplice abbandono di rifiuti o all’inquinamento ambientale.

Invero, va osservato che la disciplina speciale che regola la materia contiene principi in parte diversi da quelli applicabili al settore dei rifiuti e, in generale, all’inquinamento ambientale.

Questa normativa, per essere anch’essa di derivazione comunitaria (vedasi, ad esempio, la direttiva 19/3/1987, n. 87/217/CEE), ha la medesima dignità di quella sulla quale si è formata la giurisprudenza richiamata in ricorso che si fonda sul principio “chi inquina paga”.

In effetti, dalla L. n. 257/1992 e dal D.M. 6/9/1994 (regolamento attuativo degli artt. 6, comma 3, e 12, comma 2, della legge) emerge in primo luogo la circostanza per cui l’amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto, visto che la normativa in commento non ha dichiarato “fuorilegge” sempre e comunque l’eternit.

All’allegato 2 “Valutazione del rischio” al D.M. 6/9/1994 si dice espressamente che “La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto… “.

Questo individua una prima significativa differenza rispetto alla materia dei rifiuti e dell’inquinamento ambientale, perché è evidente che nel caso dell’abbandono dei rifiuti o dell’inquinamento ambientale è possibile – anche se a volte molto difficoltoso – accertare chi sia stato il soggetto responsabile dell’inquinamento o, in negativo, se l’attuale proprietario del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o meno identificabile come responsabile della condotta illecita.

Nel caso dell’amianto, invece, il discorso è diverso, perché l’eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe condizioni, il che implica una continua evoluzione della situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia presente l’amianto.

Sempre l’allegato 2 al D.M. 6/9/1994 stabilisce infatti che:

– “in presenza di materiali integri e non suscettibili di danneggiamento ” …non è necessario un intervento di bonifica.

Occorre, invece, un controllo periodico delle condizioni dei materiali e il rispetto di idonee procedure per le operazioni di manutenzione e pulizia dello stabile, al fine di assicurare che le attività quotidiane dell’edificio siano condotte in modo da minimizzare il rilascio di fibre di amianto…;

– in presenza, invece, di materiali integri ma suscettibili di danneggiamento ” …in primo luogo, devono essere adottati provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di danneggiamento e quindi attuare un programma di controllo e manutenzione secondo le indicazioni riportate nel capitolo 4. Se non è possibile ridurre significativamente i rischi di danneggiamento dovrà essere preso in considerazione un intervento di bonifica da attuare a medio termine… “.

Quindi, mentre nel caso di inquinamento del suolo e/o delle falde prodotto da complessi industriali in seguito dismessi o ceduti ad altri imprenditori e riconvertiti oppure entrati a far parte di procedure concorsuali è applicabile il principio “chi inquina paga” a condizione, ovviamente, che si dimostri che l’inquinamento è stato provocato dal precedente gestore dell’impianto – nel caso dell’amianto il discorso è diverso, in quanto la continua sorveglianza imposta dalla legge e il fatto che l’amianto divenga pericoloso per l’ambiente e la salute solo a certe condizioni consentono di scindere le responsabilità e obbligano passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni per l’applicazione della normativa speciale.

Inoltre, mentre nel caso dell’inquinamento da attività industriale è facilmente dimostrabile da parte della curatela fallimentare la propria estraneità alla condotta illecita – visto che di solito la curatela “gestisce” impianti già dismessi o inattivi da tempo – nel caso dell’amianto l’attività che si richiede al detentore attuale del bene è di mera sorveglianza ed è quindi attività che si può esigere anche da colui che risulti possessore nel momento in cui vengono rilevate le problematiche di cui alla L. n. 257/1992 e relativo regolamento attuativo.

Infatti, la sorveglianza sui manufatti in amianto (tettoie, coperture, etc.) o contenenti amianto (tubature, etc.) va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali, come nel caso in esame in relazione alla tromba d’aria verificatasi il 17 febbraio 2014, rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della L. n. 257/1992.

Per cui non è decisivo il richiamo alle massime giurisprudenziali secondo cui la curatela non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, e ciò in quanto nella specie si è in presenza di un obbligo proprio del detentore attuale del bene.

D’altra parte la comprensibile esigenza del curatore fallimentare di preservare al massimo le ragioni dei creditori ammessi alla procedura va contemperata con interessi pubblici di rango superiore quale la tutela della salute (TAR Marche n. 467 del 2015).

L’intervento dell’azienda sanitaria, che costituisce il presupposto logico del provvedimento in questa sede impugnato, risulta chiaro nei suoi contenuti, tra l’altro non contestati in ricorso. L’ordine del sindaco quindi risulta qualificabile come intervento urgente in materia sanitaria per cui per sua stessa natura non era necessario l’avviso di avvio del procedimento.

Del resto il Sindaco non poteva che prestare adesione alla soluzione indicata dall’organismo tecnico competente per materia. In questi casi, infatti, l’autorità comunale, laddove non ritenesse di condividere l’avviso dell’Azienda sanitaria, avrebbe l’onere di richiedere un parere tecnico ad altro organismo dotato di adeguata competenza, non essendo immaginabile che il Sindaco si possa assumere la responsabilità di sottovalutare il rischio legato all’inquinamento da amianto segnalato dall’azienda sanitaria locale.

Riassumendo: quanto alla violazione della legge fallimentare essa non sussiste, in quanto l’evento scatenante la diffusione dell’amianto, è avvenuto il 17 febbraio 2014, momento successivo rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Quanto poi all’applicazione alla fattispecie del noto principio chi inquina paga, la prospettazione del ricorrente non appare corretta, perché in questo caso non si tratta di individuare il responsabile dell’inquinamento ma di intervenire con urgenza a tutela della salute pubblica, intervento che deve essere posto a carico dell’attuale detentore, vale a dire del curatore fallimentare.

Per tutte le su indicate ragioni il ricorso va rigettato, anche se esistono validi motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Umberto Zuballi, Presidente, Estensore

Manuela Sinigoi, Primo Referendario

Alessandra Tagliasacchi, Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/10/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)