Rifiuti. Amianto. Ordinanza sindacale, rimozione dell’amianto, messa in sicurezza. TA.R. Torino n. 562/2018.

T.A.R Piemonte, Torino, Sez. I, sent. n. 562 del 9 maggio 2018 (ud. del 21 febbraio 2018)

Pres. Giordano, Est. Bini

Rifiuti. Amianto. Smaltimento. Obbligo di bonifica o di smaltimento a carico della procedura fallimentare. Ordinanze sindacali contingibili e d’urgenza in materia di igiene e sanità pubblica. Bonifica. Danno per la salute. Art. 192 d. lgs. n. 152/2006. Legge n. 257/92. Art 54 d. lgs. 267/2000. R.D. n. 267/1942.

L’obbligo di rimozione dei rifiuti può essere imposto anche al “detentore del momento” per cui, in conformità al principio “chi inquina paga”, la sopportazione del peso economico della messa in sicurezza e dello smaltimento deve ricadere sulla parte dell’attivo fallimentare (Cons. Stato sez. IV n. 3672/2017 e Tar Brescia sez. I nn. 669/2016 e 790/2017).

Se è vero, per un verso, che l’Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2015, n. 3544 e Consiglio di Stato, sez. V, 14/04/2016, n. 1509).

COMMENTO:

Altra pericolosa sentenza amministrativa che maschera sotto l’egida della messa in sicurezza, quale provvedimento urgente e precauzionale, la riparazione delle conseguenze dannose di chi ha effetivamente inquinato un sito a discapito del soggetto che si trova tale sito inquinato, sia esso proprietario o detentore.

A parere di chi scrive, continuare a sostenere la tesi secondo la quale il rispetto del principio di precauzione debba estendersi sempre e comunque fino a coinvolgere i proprietari/detentori dell’area perchè nell’immediatezza non si è trovato il vero responsabile dell’inquinamento rappresenta una distorsione di comodo dello stesso principio alla luce della sua interpretazione giurisprudenziale europea.

Mediante questo stratagemma formalistico, avvalorato dall’assenza di “finalità sanzionatoria o ripristinatoria”, sarà pertanto possibile ricomprendere una serie di attività riparatorie che di fatto insinuano l’ombra di una responsabilità oggettiva in capo ai soggetti che nella realtà sono danneggiati dal fenomeno di inquinamento ad opera di terzi ignoti.

Anche perchè, dal punto di vista giuridico, l’art. 192 del d. lgs. n. 152/2006 parla di “rimozione” dei rifiuti, e pertanto una semplificazione di tale attività, seppure in maniera prevenzionistica, stride fortemente con gli altri detami previsti in materia di corretto accertamento della responsabilità soggettiva. Tanto più che nemmeno la Direttiva 2004/35/CE in tema di danno ambientale ha mai escluso la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità tra attività e/o accadimento e contaminazione e/o danno, richiedendo particolare accuratezza agli operatori nella verifica di tali circostanze anche – e soprattutto – senza prescindere dalla compartecipazione in sede di istruttoria amministrativa dei soggetti interessati, nel pieno rispetto del contraddittorio previsto dallo stesso art. 192, comma 3 d. lgs. n. 152/2006.

T.A.R Piemonte, Torino, Sez. I, sent. n. 562 del 9 maggio 2018 (ud. del 21 febbraio 2018)

N. 00562/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00383/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 383 del 2017, proposto da:
Impresa Costruzioni Poncina Bruno & C S.a.s. in Fallimento, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Paolo Comoglio, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Galileo Ferraris, N. 51;

contro

Comune di Trino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Claudio Vivani, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Galileo Ferraris 43;

per l’annullamento

dell’ordinanza contingibile e urgente a tutela della salute pubblica n. 11 emessa dal Comune di Trino in data 30 gennaio 2017 e notificata in data 7 febbraio 2017, nonché di ogni atto antecedente, preparatorio, preordinato, presupposto e/o conseguente, anche infraprocedimentale, e comunque connesso;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Trino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente ha impugnato con il presente ricorso, notificato in data 3 aprile 2017 e depositato il 24 aprile 2017, l’ordinanza a firma del Sindaco del Comune di Trino, qualificata come “ordinanza contingibile e urgente a tutela della salute pubblica”, con cui si dispone di provvedere alla rimozione di manufatti contenenti amianto, per i capannoni A e B entro il 20.1.2018, mentre per il capannone C entro il 20.4.2017.

Espone la ricorrente che a seguito di sopralluogo svolto in data 11 ottobre 2016, congiuntamente ai tecnici del Comune di Trino, dell’ARPA e dell’ASL, era emersa la presenza di lastre di fibrocemento contenenti amianto (eternit), a copertura dei capannoni dello stabilimento-fornace, sito in Trino Vercellese, rientrante nel compendio dei beni del fallimento Poncina, coperture realizzate dalla ditta fallita ancora in bonis.

In data 11 novembre 2016 il Curatore del fallimento, rag. Rollino, si incontrava pertanto con il Sindaco del Comune di Trino, al fine di concordare la messa in sicurezza del sito. In particolare, in tale incontro prospettava al Comune, Ente preposto in caso di impossibilità del proprietario ad adempiere all’onere di messa in sicurezza, la donazione e/o la vendita della fornace a prezzo simbolico.

Nonostante quindi fossero in corso le trattative, il Comune ha ritenuto di adottare l’ordinanza in epigrafe, avverso la quale vengono articolate le seguenti censure:

1) violazione degli articoli 242, 243, 250, 252 e 253 o, in subordine, degli artt. 191, 192 e 193 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente), in collegamento con l’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL). Eccesso di potere, carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, violazione dell’art. 23 Cost. e dei principi in materia di responsabilità. Insussistenza di colpa da parte del Fallimento per l’inquinamento da parte dell’impresa fallita: l’ordinanza si fonda sull’erroneo presupposto che il Fallimento sarebbe responsabile dell’inquinamento, riconducibile all’attività dell’impresa fallita, per cui è tenuto allo smaltimento e alla bonifica; gli obblighi di smaltimento e di bonifica possono essere imposti solo al responsabile, che nel caso in esame non è il fallimento;

2) violazione degli articoli 242, 243, 250, 252 e 253 o, in subordine, degli artt. 191, 192 e 193 del d. lgs. n. 152 del 2006, in collegamento con gli artt. artt. 31, 42, 44 R.D. n. 267/1942 (legge fallimentare). Eccesso di potere, carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, violazione dell’art. 23 Cost. e dei principi in materia di responsabilità. Insussistenza dell’obbligo di bonifica o di smaltimento a carico della procedura fallimentare: il fallimento non può rispondere delle omissioni o dei fatti dell’impresa, poiché è noto che la curatela fallimentare non acquista la proprietà dei beni del fallito, ma si limita ad amministrarli. Nessun ordine di ripristino poteva di conseguenza essere imposto al fallimento;

3) violazione degli artt. 191, 198 e 244 d. lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 54 d. lgs. n. 267 del 2000. Illegittimità dell’ordinanza contingibile e urgente per incompetenza: il Sindaco non è competente in materia di bonifica dei siti inquinati, essendo detta competenza della Provincia, ai sensi dell’art 244 d. lgs. 152/2006;

4) violazione dell’art. 54 d. lgs. n. 267 del 2000. Violazione di legge ed eccesso di potere; insussistenza dei presupposti per l’emanazione di ordinanza contingibile e urgente. Difetto ed insufficienza dell’istruttoria, in quanto mancano i presupposti per esercitare il potere ex art 54 d. lgs. 267/2000, non essendovi ragioni di eccezionalità né di urgenza. Il Comune avrebbe dovuto adottare i provvedimenti previsti per la bonifica dei siti inquinati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Trino, sollevando l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione degli atti presupposti dell’Arpa e dell’Asl e chiedendo nel merito il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 209 del 25.5.2017, la domanda cautelare veniva respinta, per le seguenti ragioni “Rilevato che il provvedimento impugnato si configura come ordinanza contingibile e urgente, stante il pericolo imminente derivante dal deterioramento della copertura in amianto dei capannoni;

Ritenuto che il ricorso, in disparte l’eccezione di inammissibilità, non presenti i requisiti di fondatezza, in quanto:

– il rischio di dispersione dell’amianto costituisce una situazione di pericolo grave ed imminente, che giustifica il ricorso all’art 54 d. lgs. 267/2000;

– al Fallimento è stato ordinato di eseguire interventi di rimozione, ai sensi della L. 257/92 e del D.M. 6.9.1994, senza alcun richiamo al differente procedimento di bonifica del sito di cui al d. lgs. 152/2006;

– il Fallimento è stato correttamente destinatario dell’ordine di rimozione, in quanto attuale detentore del bene, con specifici obblighi di sorveglianza sulle fonti di pericolo”.

In sede di appello, il Consiglio di Stato (sez. V ordinanza n. 3648/2017) ha accolto la domanda cautelare, al fine della sollecita fissazione del merito.

All’udienza pubblica del 21 febbraio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1) La ricorrente ha impugnato il provvedimento a firma del Sindaco, con cui si ordina la rimozione di manufatti contenenti amianto, facenti parte del compendio immobiliare del fallimento.

Come già osservato in sede cautelare, ad avviso del Collegio, il provvedimento va ascritto alla tipologia delle ordinanze sindacali contingibili e d’urgenza in materia di igiene e sanità pubblica, adottata a fronte del rischio di dispersione dell’amianto nell’ambiente. Il ricorso si fonda sulla differente tesi secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare i provvedimenti previsti in materia di bonifica dei siti inquinati, con la conseguenza che l’ordine di bonifica doveva essere rivolto solo al responsabile dell’inquinamento e non al fallimento.

2) Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa Comunale, per mancata impugnazione delle determinazioni dell’Asl e dell’Arpa, eccezione che, ad avviso del Collegio, non merita di essere accolta.

Infatti, si tratta di atti istruttori, che non richiedono una specifica impugnazione, con la conseguenza che il ricorso contro il provvedimento finale non necessita di essere notificato anche agli organi che li hanno resi, né la mancata impugnazione nei termini degli atti presupposti, può portare alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

3) Nel merito il ricorso è infondato.

3.1 Il Sindaco, a fronte di una situazione di pericolo di dispersione dell’amianto, ha ritenuto di agire in forza dei poteri di cui all’art. 50 d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, stante il possibile danno per la salute.

E’ noto che la rimozione dell’amianto è oggetto di una disciplina ad hoc (L. 257/92, il D.M. 6.9.1994, il D.M. 14.12.2004 e la DGR n. 40-5094 del 18.12.2012), differente rispetto alla disciplina contenuta nel codice dell’Ambiente, per la bonifica dei siti inquinati.

Tuttavia, nel caso in esame, il Sindaco, quale autorità preposta alla sicurezza e alla salute, a fronte dei rilievi da parte degli organi tecnici, ha ritenuto non tanto di ordinare opere di bonifica, ma di ordinare l’adozione di misure di sicurezza, identificate nella rimozione del materiale, fonte di pericolo, essendovi una situazione di rischio per la salute pubblica, che, sulla base delle risultanze tecniche, non avrebbe potuto essere fronteggiata con gli ordinari strumenti per la bonifica dei luoghi.

L’ordine di rimozione, quale misura di sicurezza, non può che essere rivolto a chi ha la disponibilità del bene. Da ciò discende la infondatezza del primo motivo, in cui si richiamano i principi in materia di responsabile dell’inquinamento, applicabili solo in materia di bonifica, non per i provvedimenti d’urgenza.

3.2. Nel secondo motivo si affronta il profilo della responsabilità del fallimento. Sostiene parte ricorrente che il fallimento non può rispondere delle omissioni o dei fatti dell’impresa, poiché è noto che la curatela fallimentare non acquista la proprietà dei beni del fallito, ma si limita ad amministrarli. Nessun ordine di ripristino poteva di conseguenza essere imposto al fallimento.

Secondo un recente orientamento, l’obbligo di rimozione dei rifiuti può essere imposto anche al “detentore del momento” per cui, in conformità al principio “chi inquina paga”, la sopportazione del peso economico della messa in sicurezza e dello smaltimento deve ricadere sulla parte dell’attivo fallimentare (Cons. Stato sez. IV n. 3672/2017 e Tar Brescia sez. I nn. 669/2016 e 790/2017).

Viene poi in rilievo nel caso in esame, la tesi secondo cui le opere di messa in sicurezza costituiscono una misura di correzione dei danni e rientrano pertanto nel genus delle precauzioni: “è stato d’altra parte puntualizzato che, se è vero, per un verso, che l’Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2015, n. 3544 e Consiglio di Stato, sez. V, 14/04/2016, n. 1509).

Riconducendo gli orientamenti sopra riportati al caso in esame, il Collegio ritiene che l’ordine di rimozione, che impone un intervento di messa in sicurezza, sia stato correttamente rivolto al fallimento, quale soggetto detentore del bene, che ha l’obbligo di effettuare quelle opere ritenute necessarie per impedire il propagarsi del pericolo di inquinamento. Tra l’altro l’organo di gestione fallimentare mai ha contestato, né durante le verifiche né in giudizio, la rilevanza del pericolo sanitario insito nella permanenza dell’amianto e nella dispersione di fibre polverizzate che questo generava, ma ha sostenuto la totale assenza di responsabilità e di imputabilità al fallimento e conseguentemente la non esigibilità delle opere di rimozione da parte del fallimento stesso.

Pertanto si deve ritenere che anche sotto il profilo della individuazione del soggetto tenuto ad effettuare la rimozione delle tettoie, l’ordinanza sia legittima.

3.3 Quanto sopra è sufficiente per respingere gli ulteriori due motivi. Infatti avendo l’Amministrazione scelto di agire in via d’urgenza, il provvedimento non poteva che essere di competenza del Sindaco.

Quanto ai presupposti, cioè alle ragioni di urgenza, esse emergono dalle relazioni dell’Asl e dell’Arpa, che sulla base dell’indice di degrado e del limite di esposizione, hanno ritenuto necessaria l’immediata rimozione, avuto riguardo al precario stato di manutenzione delle tettoie, nonché al pericolo di dispersione delle relative fibre.

3.4 Il Collegio precisa che in accoglimento alla eccezione sollevata dalla difesa del Comune con la memoria del 31.1.2018, non sono state prese in esame le censure nuove introdotte nella memoria del 19.1.2017.

4) Il ricorso va quindi respinto.

La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Silvana Bini, Consigliere, Estensore

Roberta Ravasio, Consigliere

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