Rifiuti. Bonifica dei siti, ripristino ambientale, destinatari dell’obbligo, responsabilità dell’evento inquinante; emissioni in atmosfera, modifiche sostanziali e non sostanziali, ipotesi di reato e di sanzione amministrativa. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 12388 del 15 marzo 2017 (ud. 21 febbraio 2017)

Pres.Fiale, Est. Ramacci

RIFIUTI – Mancata comunicazione e reato di cui all’art. 257 d. lgs. n. 152/2006. Danno ambientale. Sversamento di fluidi. Responsabile dell’inquinamento. Messa in sicurezza e immediata comunicazione. Artt. 242, 256, 257, 269 , 279 e 304 d. lgs. n. 152/2006. Inquinamento del suolo. Azione di prevenzione del danno ambientale. Comunicazione e destinatario dell’obbligo. Responsabile dell’evento potenzialmente inquinante. Presupposti per la configurabilità del reato. Autonomo intervento della polizia locale e dell’ARPA. Inquinamento atmosferico. Autorizzazione e comunicazione. Funzione e differenze. Procedimento amministrativo e situazione esistente. Richiesta di nuova un’autorizzazione per modifiche sostanziali. Comunicazione per modifiche non sostanziali. Sanzione penale per le modifiche sostanziali. Sanzione amministrativa pecuniaria per le modifiche non sostanziali.

Sebbene l’art. 257 richiami genericamente l’art. 242, il riferimento deve ritenersi effettuato alla comunicazione di cui al primo comma di tale ultima disposizione e non anche agli altri obblighi di informazione previsti dagli altri commi, dal momento che lo scopo evidente della disposizione penale è quello di sanzionare l’omessa preliminare informazione dell’evento potenzialmente inquinante ai soggetti individuati dalla legge, affinché prendano cognizione della situazione e possano verificare lo sviluppo delle attività ripristinatorie, (Sez. III, n.40856 del 21/10/201 O, Pigliacelli; Conf. Sez. III, n. 5757 del 17 /1 /2014, Pieri), sicché risulterebbe del tutto incongruo il ricorso alla sanzione penale con rifermento alla violazione degli ulteriori obblighi, quando gli organi competenti siano già informati dell’inquinamento, se sono stati posti in condizione di attivarsi. Infatti, il riferimento al primo comma dell’art. 242 porta a concludere, (Sez. III, n.16702 del 12/1/2011, Ciani; Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007, Schembri), che gli obblighi di comunicazione sorgono per il solo fatto che si sia verificata una situazione di potenziale pericolo, prescindendo, quindi, dall’eventuale superamento delle soglie di contaminazione. Fattispecie: sversamento di fluidi provenienti dallo stabilimento degli imputati (riconducibile ad una non corretta ed efficace manutenzione) e, segnatamente, dall’impianto per la depurazione dell’aria su un terreno comunale destinato a verde pubblico. Bonifica del terreno.
L’art. 304 d.lgs. 152/06 fornisce precise indicazioni non solo sui destinatari della comunicazione, ma anche sui contenuti della stessa, in quanto essa deve riguardare, in generale, “tutti gli aspetti pertinenti della situazione” ed, in particolare, “le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire”. La loro assenza inficia la validità della comunicazione, rendendola inidonea allo scopo cui è destinata, rendendo applicabile la sanzione penale, mentre eventuali altre omissioni, presenti le suddette informazioni di primario rilievo, andranno sanzionate se l’incompletezza della comunicazione sia tale da vanificarne la funzione. Destinatario dell’obbligo è il responsabile dell’evento potenzialmente inquinante e non anche colui che, pur essendo proprietario del terreno interessato dall’evento, non lo abbia cagionato (Sez. III, n. 18503 del 16/3/2011, Burani). Inoltre, il reato si configura, anche nel caso in cui intervengano sul luogo dell’inquinamento gli operatori di vigilanza preposti alla tutela ambientale, in quanto tale circostanza non esime l’operatore interessato dall’obbligo di comunicare agli organi preposti le misure di prevenzione e messa in sicurezza che intende adottare, entro 24 ore ed a proprie spese, per impedire che il danno ambientale si verifichi (Sez. III, n. 40856 del 21/10/201 O, Pigliacelli). Nella specie, è stato  escluso che l’autonomo intervento della polizia locale e dell’ARPA rendessero inutile la comunicazione, rilevando anche come la stessa, in ogni caso, sarebbe stata omessa nei confronti di alcuni tra i soggetti individuati dall’art. 304 d. lgs. n. 152/2006.
L’articolo 269 d. lgs. n. 152\2006 dispone che per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, deve essere richiesta un’autorizzazione ed indica, dettagliatamente, i contenuti della domanda, la procedura conseguente, la messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto ed il regime delle modifiche degli impianti autorizzati. Precisa, inoltre, che l’autorizzazione deve stabilire, per le emissioni tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e convogliamento e, per le emissioni convogliate, appositi valori limite di emissione e prescrizioni; per le emissioni diffuse, non tecnicamente convogliabili, l’autorizzazione deve stabilire apposite prescrizioni volte ad assicurarne il contenimento. Ciò non significa, tuttavia, che una volta ottenuta l’autorizzazione possono essere apportate innovazioni o modificazioni dello stabilimento, perché è evidente che il titolo abilitativo viene rilasciato all’esito di un procedimento amministrativo che tiene conto della situazione esistente e non può ritenersi valido quando tale situazione sia mutata, tanto è vero che lo stesso articolo 269 impone, al comma 8, la richiesta di un’autorizzazione anche per le modifiche sostanziali (e l’effettuazione di una comunicazione per quelle non sostanziali), sanzionando penalmente l’esecuzione di modifiche sostanziali in assenza di autorizzazione e con sanzione amministrativa pecuniaria quelle non sostanziali eseguite in assenza di comunicazione (art. 279 comma 1) (Sez. III, n. 15500 del 13/ 4/2012).
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 4611 del 15 marzo 2017 (ud. 21 febbraio 2017)
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
sul ricorso proposto da:
CASAGRANDE ALBERTOnato il 08/04/1946 a MILANO;
CASAGRANDE VITTORIO nato il 10/02/1944 a COMO;
avverso la sentenza del 29/04/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICAUDIENZA del 21/02/2017, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del sost. proc. gen. PAOLA FILIPPI che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito il difensore, Avv. A. BASTANIELLO
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 29/4/2016 ha confermato la decisione con la quale, in data 18/9/2015, il Tribunale di quella città aveva riconosciuto Alberto CASAGRANDE e Vittorio CASAGRANDE, rispettivamente presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato della “ILME s.p.a,”, responsabili dei seguenti reati:
– art. 256, comma 1, lett. b) d.lgs. 152\06, per lo smaltimento non autorizzato, mediante sversamento sul suolo, di rifiuti speciali pericolosi (olio minerale) provenienti dai trafllamenti del serbatoio posto a presidio dell’impianto di depurazione aria dello stabilimento, che, riversandosi a terra, contaminavano il suolo e gli strati superficiali del sottosuolo di una parte di terreno di proprietà comunale e del terreno sottostante lo stabilimento;
– art. 279, in relaz, art. 269 d.lgs. 152\06, per aver posto in esercizio un impianto di aspirazione per abbattimento fumi generante emissioni in atmosfera provenienti dalle lavorazioni meccaniche a bagno d’olio minerale, in assenza della prescritta autorizzazione;
– art. 257, comma 2, in relaz. art. 242, comma 1 d.lgs. 152\06, perché, a seguito di un evento in grado di contaminare potenzialmente il suolo con sostanze pericolose, omettevano di informare gli enti preposti (Comune, Provincia e Regione) entro i termini stabiliti (fatti accertati in Rho, in data antecedente e prossima al
18/4/2012).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deducono, in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 257 d.lgs. 152\06, la violazione di legge, avendo la Corte territoriale escluso che, nella fattispecie, potesse ravvisarsi un’ipotesi di ignoranza scusabile della legge penale, come delineata dalla Corte costituzionale.
Aggiungono di essersi attivati esattamente come previsto dalle disposizioni che si assumono violate, avendo avuto notizia dell’evento proprio dall’amministrazione comunale e di aver avviato le procedure di bonifica del sito inquinato presentando il piano di caratterizzazione e svolgendo ogni conseguente attività in accordo con l’ARPA ed il Comune, sicché tale atteggiamento ben avrebbe potuto ritenersi indicativo di una ignoranza scusabile della legge penale.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamentano l’erronea applicazione dell’art. 47 cod. pen., ritenendo ravvisabile, nella fattispecie, un’ipotesi di errore sulla legge extra penale.
4. Con un terzo motivo di ricorso censurano la sentenza di appello per il fatto che la stessa sia priva di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 257 d.lgs. 152\06, considerato anche che quanto accaduto avrebbe evidenziato la loro buona fede, dal momento che la condotta antigiuridica sarebbe stata determinata dal comportamento della P.A. e, segnatamente, dallo scambio di corrispondenza intervenuto dopo il fenomeno inquinante e la convocazione della conferenza dei servizi ai sensi degli artt. 242 e 304 d.lgs. 152\06.
5. Con un guarto motivo di ricorso denunciano la violazione di legge in relazione agli artt. 256 e 279 d.lgs. 152\06, rilevando, quanto al primo, che il completamento della procedura di bonifica avrebbe dovuto indurre i giudici del merito a rilevare la sussistenza della condizione di non punibilità di cui all’art. 257 e, con riferimento alla seconda contravvenzione, che l’installazione del singolo impianto non è attualmente più soggetta ad autorizzazione, prevista invece per la realizzazione dello stabilimento nel suo complesso. Sarebbe inoltre risultato dal dibattimento che detta autorizzazione era stata rilasciata ed anche che il singolo impianto era autorizzato.
6. Con un quinto motivo di ricorso lamentano la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., sussistendone i presupposti di legge.
7. Con un sesto motivo di ricorso deducono la violazione dell’art.133 cod. pen. con riferimento alla determinazione della pena, effettuata dai giudici del merito senza tenere conto del positivo comportamento tenuto.
8. Con un settimo motivo di ricorso osservano che anche la liquidazione del danno in via equitativa in favore della parte civile sarebbe sproporzionata in relazione a quanto effettivamente accaduto.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con riferimento ai primi tre motivi di ricorso, i quali possono essere unitariamente trattati, riguardando tutti la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, va sinteticamente richiamata, perché funzionale ad una migliore comprensione della vicenda in esame, la ricostruzione degli eventi effettuata dai giudici del merito.
L’evento inquinante, si rileva dalle motivazioni delle sentenze di merito, veniva posto a conoscenza della polizia locale del comune di Rho il 13\6\2011, a seguito dell’esposto di un cittadino, il quale segnalava lo sversamento di fluidi, provenienti dallo stabilimento degli imputati e, segnatamente, dall’impianto per la depurazione dell’aria, su un terreno comunale destinato a verde pubblico.
La polizia locale relazionava quanto verificato all’ARPA, la quale eseguiva un primo sopralluogo il 9/9/2011. Un secondo sopralluogo veniva effettuato congiuntamente da polizia locale, ufficio tutela ambientale del comune e ARPA il 21\11\2011, riscontrando che lo sversamento, riconducibile ad una non corretta ed efficace manutenzione dell’impianto, aveva interessato, oltre che l’impianto medesimo ed il pavimento sottostante, anche un’area esterna di un parco pubblico, pari a 3 metri quadrati. Con l’occasione veniva riscontrata anche la mancata comunicazione del percolamento e la presenza di un impianto producente emissione di fumi in atmosfera non autorizzato.
L’azienda successivamente si attivava, effettuando la manutenzione straordinaria degli impianti, come richiesto dall’ARPA e, dal 19/12/2011, regolarizzava la situazione, ottenendo anche l’autorizzazione per le emissioni in atmosfera e realizzava una vasca di contenimento per evitare nuovi sversamenti.
Il 9\2\2012 l’azienda avviava la procedura di messa in sicurezza dell’area compromessa, finalizzata alla successiva bonifica della stessa, che veniva effettuata, una volta ottenuta l’autorizzazione, il 26\7\2012, mediante asportazione della terreno, smaltito da ditta autorizzata in quantità pari a 19,14 e 25,78 tonnellate di terre e rocce contaminate da idrocarburi pesanti (CER 170504).
Ulteriori verifiche, che consentivano di accertare la correttezza delle operazioni compiute, venivano effettuate il 18\ 10\2012 ed il 2\ 11 \2012.
2. Tanto premesso, va ricordato che l’art. 242, d.lgs. 152\06 stabilisce, al primo comma, che, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito, il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera, entro ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e deve darne immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2 del medesimo decreto legislativo (la medesima procedura va applicata all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione).
L’art. 304 prevede, al secondo comma, che le misure di prevenzione e di messa in sicurezza, da effettuarsi, ai sensi del comma 1, quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, devono essere precedute “da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto della provincia, che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità de/l’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire”.
La mancata effettuazione della comunicazione è sanzionata dall’art. 257, comma primo, d.lgs. 152\06.
3. Va a tale proposito affermato che, sebbene l’art.257 richiami genericamente l’art. 242, il riferimento deve ritenersi effettuato alla comunicazione di cui al primo comma di tale ultima disposizione e non anche agli altri obblighi di informazione previsti dagli altri commi, dal momento che lo scopo evidente della disposizione penale è quello di sanzionare l’omessa preliminare informazione dell’evento potenzialmente inquinante ai soggetti individuati dalla legge, affinché prendano cognizione della situazione e possano verificare lo sviluppo delle attività ripristinatorie, come già osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n.40856 del 21/10/201 O, Pigliacelli, Rv. 24870801. Conf. Sez. 3, n. 5757 del 17 /1 /2014, Pieri, Rv. 25915001 ), sicché risulterebbe del tutto incongruo il ricorso alla sanzione penale con rifermento alla violazione degli ulteriori obblighi, quando gli organi competenti siano già informati dell’inquinamento, se sono stati posti in condizione di attivarsi.
Il riferimento al primo comma dell’art. 242 porta a concludere, come pure è stato rilevato (Sez. 3, n. 5757 del 17/1 /2014, Pieri, Rv. 25915001, cit.; Sez. 3, n.16702 del 12/1/2011, Ciani, non massimata; Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007, Schembri, Rv. 23805501 ), che gli obblighi di comunicazione sorgono per il solo fatto che si sia verificata una situazione di potenziale pericolo, prescindendo, quindi, dall’eventuale superamento delle soglie di contaminazione.
4. Va altresì rilevato come l’art. 304 d.lgs. 152\06 fornisca precise indicazioni non solo sui destinatari della comunicazione, ma anche sui contenuti della stessa, in quanto, come si è già detto, essa deve riguardare, in generale, “tutti gli aspetti pertinenti della situazione” ed, in particolare, “le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire”.
Tali ultimi dati sono stati evidentemente ritenuti essenziali e necessari dal legislatore, con la conseguenza che la loro assenza inficia la validità della comunicazione, rendendola inidonea allo scopo cui è destinata, rendendo applicabile la sanzione penale, mentre eventuali altre omissioni, presenti le suddette informazioni di primario rilievo, andranno sanzionate se l’incompletezza della comunicazione sia tale da vanificarne la funzione.
Destinatario dell’obbligo è, come pure si è avuto modo di precisare, il responsabile dell’evento potenzialmente inquinante e non anche colui che, pur essendo proprietario del terreno interessato dall’evento, non lo abbia cagionato (Sez. 3, n. 18503 del 16/3/2011, Burani, Rv. 25014301 ).
Il reato si configura, inoltre, anche nel caso in cui intervengano sul luogo dell’inquinamento gli operatori di vigilanza preposti alla tutela ambientale, in quanto tale circostanza non esime l’operatore interessato dall’obbligo di comunicare agli organi preposti le misure di prevenzione e messa in sicurezza che intende adottare, entro 24 ore ed a proprie spese, per impedire che il danno ambientale si verifichi (Sez. 3, n. 40856 del 21/10/201 O, Pigliacelli, Rv. 24870801, cit.).
5. Così sommariamente delineato l’ambito di operatività della disposizione in esame, va rilevato come, nel caso posto all’attenzione della Corte territoriale, la comunicazione da parte degli imputati sia stata del tutto omessa.
Correttamente i giudici del merito hanno escluso, sulla base dei principi dianzi richiamati, che l’autonomo intervento della polizia locale e dell’ARPA rendessero inutile la comunicazione, rilevando anche come la stessa, in ogni caso, sarebbe stata omessa nei confronti di alcuni tra i soggetti individuati dall’art. 304 d.lgs.152\06.
A fronte di ciò, ricorrenti sostengono di aver comunque operato nel senso indicato dalla legge.
La validità di tale tesi difensiva è stata tuttavia correttamente esclusa dalla Corte territoriale, poiché trattasi, nel caso in esame, di soggetti professionalmente inseriti in un preciso ambito di attività e nei confronti dei quali incombeva l’obbligo di una adeguata informazione circa le disposizioni che regolano particolari materie.
Neppure può ritenersi che l’intervento della polizia locale prima e dell’ARPA poi possano essere considerati come un fattore positivo esterno idoneo a determinare negli imputati la convinzione che la comunicazione non fosse necessaria, stante il contenuto inequivocabile delle disposizioni in precedenza esaminate, che non potevano essere ignorate da operatori del settore, ma anche e sopratutto per la sequenza degli eventi, considerato che, come evidenziato nella sentenza di primo grado (pag. 4), lo sversamento sul terreno si era protratto “per alcuni mesi” e che gli imputati si erano attivati solo dopo l’effettuazione dei sopralluoghi effettuati dalla polizia locale e dall’ARPA.
L’inosservanza dell’obbligo di comunicazione si era, dunque, verificato ben prima dell’intervento delle autorità, non risultando in alcun modo dalla sentenza che, come affermato invece in ricorso, siano stati l’ARPA ed il comune ad informare dell’evento inquinante i titolari dello stabilimento.
Neppure risulta in alcun modo dalla sentenza impugnata che dello sversamento fossero del tutto ignari gli imputati, risultando al contrario dimostrato per i giudici del merito, a seguito degli accertamenti espletati dall’ARPA, che l’evento era stato causato da un evidente deficienza nella manutenzione dell’impianto, in uso da da diversi anni.
6. Anche il quarto motivo di ricorso risulta infondato.
I ricorrenti invocano, con riferimento al reato di cui all’art. 256 d.lgs. 152\06, l’applicabilità della condizione di non punibilità di cui all’art. 257, comma 4 d.lgs. 152\06, il quale stabilisce che “l’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 7”.
Prescindendo da ogni altra considerazione, è evidente, avuto riguardo al tenore letterale della disposizione, che la stessa si riferisce in maniera inequivocabile all’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti e non anche a situazioni diverse, ancorché equipollenti.
Nel caso di specie non risulta accertato dai giudici del merito che le operazioni volte ad eliminare gli effetti dello sversamento siano state poste in essere attraverso le specifiche procedure previste dagli articoli richiamati ed, anzi, sono gli stessi ricorrenti che, nell’atto di impugnazione (pag. 15), riconoscono come la procedura di legge sia stata seguita, nel caso che li riguarda, ” … almeno da un punto di vista sostanziale”.
7. Parimenti infondate risultano le doglianze afferenti alla violazione dell’art. 279 d.lgs. 152\06.
Anche in questo caso le affermazioni dei ricorrenti cozzano contro la ricostruzione dei fatti riportata nelle sentenze di merito, risultando dalla sentenza di primo grado (pag. 2) che l’autorizzazione per le emissioni in atmosfera è stata conseguita soltanto il 19/12/2011. Della inesistenza della stessa dà conto, inoltre, anche la sentenza di appello (pag.5), evidenziando pure come la totale mancanza del titolo abilitativo rendesse del tutto inconferenti gli ulteriori rilievi prospettati con l’atto di appello in ordine alla unitarietà dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
Tali ultime considerazioni, riproposte in ricorso (ancora una volta sulla base di una ricostruzione degli eventi non coincidente con quella risultante dalle sentenze di merito), risultano, in ogni caso, prive di fondamento.
L’articolo 269 d.lgs. 152\06 dispone che per tutti gli stabilimenti che producono emissioni, deve essere richiesta un’autorizzazione ed indica, dettagliatamente, i contenuti della domanda, la procedura conseguente, la messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto ed il regime delle modifiche degli impianti autorizzati. Precisa, inoltre, che l’autorizzazione deve stabilire, per le emissioni tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e convogliamento e, per le emissioni convogliate, appositi valori limite di emissione e prescrizioni; per le emissioni diffuse, non tecnicamente convogliabili, l’autorizzazione deve stabilire apposite prescrizioni volte ad assicurarne il contenimento.
Diversamente da quanto stabilito nell’originaria formulazione, l’articolo si riferisce ora a «Stabilimenti» e non più ad «impianti», prendendo così in considerazione strutture anche complesse, come si ricava dal disposto del primo comma, laddove si specifica che l’autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento ed i singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
Ciò non significa, tuttavia, che una volta ottenuta l’autorizzazione (che, però, nel caso in esame, secondo i giudici del merito, non era stata mai rilasciata) possono essere apportate innovazioni o modificazioni dello stabilimento, perché è evidente che il titolo abilitativo viene rilasciato all’esito di un procedimento amministrativo che tiene conto della situazione esistente e non può ritenersi valido quando tale situazione sia mutata, tanto è vero che lo stesso articolo 269 impone, al comma 8, la richiesta di un’autorizzazione anche per le modifiche sostanziali (e l’effettuazione di una comunicazione per quelle non sostanziali), sanzionando penalmente l’esecuzione di modifiche sostanziali in assenza di autorizzazione e con sanzione amministrativa pecuniaria quelle non sostanziali eseguite in assenza di comunicazione (art. 279 comma 1), come peraltro è già stato fatto rilevare in una precedente decisione (Sez. 3, n. 15500 del 13/ 4/2012, Botti, Rv. 25240001 ).
8. Va poi osservato, con riferimento al guinto motivo di ricorso, che la Corte di appello ha motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità, considerando la condotta, le conseguenze del reato ed il grado della colpevolezza, con apprezzamento in fatto che, in quanto tale, non è sindacabile in questa sede di legittimità perché assistito da idonea motivazione.
In particolare, i giudici del gravame hanno preso in esame, valorizzandoli, l’estensione del fenomeno che, seppure contenuta in termini di superficie, aveva interessato anche il sottosuolo, rendendo necessaria l’asportazione di grossi quantitativi di terreno, la ripetitività degli sversamenti, la mancata o, comunque, non adeguata manutenzione dell’impianto in uso dal 2002, la concomitante violazione di altre disposizioni penali, che evidenziano una grado di colpa ritenuto non del tutto tenue.
9. Anche con riferimento alla determinazione della pena, di cui tratta il sesto motivo di ricorso, non si rinvengono motivi di censura, poiché, anche in questo caso, la Corte di appello, peraltro richiamando quanto già osservato in ordine alla inapplicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., ha posto in evidenza il grado della colpa ed il pericolo arrecato alla salubrità del territorio, osservando anche come la pena applicata non si discosti particolarmente del minimo edittale e gli aumenti per la continuazione debbano ritenersi contenuti.
Tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
10. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne a liquidazione del danno non patrimoniale, oggetto di censura nel settimo motivo di ricorso.
Tale liquidazione è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, che ha il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento (Sez. 4, n. 18099 del 1/4/2015,Lucchelli e altro, Rv. 26345001; Sez. 5, n. 6018 del 23/1 /1997, Montanelli, Rv.20808601).
Si tratta, dunque, di valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G., Fontana e altri, Rv. 25817001; Sez. 5, n. 35104 del 22/6/2013, R.C. Istituto Città Studi, Baldini e altri, Rv. 25712301 ed altre prec. conf.).
Nel caso di specie tale motivazione è presente e risulta del tutto congrua, avendo la Corte territoriale richiamato, ancora una volta, la compromissione arrecata dalla condotta degli imputati all’immagine dell’ente, dando peraltro atto del fatto che l’importo liquidato (5.000,00 euro) risulta alquanto contenuto.
11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
Quanto alla richiesta di liquidazione delle spese avanzate dalla parte civile, Città metropolitana di Milano, a mezzo nota trasmessa via fax alla cancelleria di questa Corte, va ricordato che, nel giudizio di legittimità, l’imputato soccombente va condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile a condizione che questa sia intervenuta all’udienza di discussione (Sez. 4, n. 30557 del 7 /6/2016, P.C. e altri in proc. Carfi’ e altri, Rv. 26769001 ed altre prec. conf.), con la conseguenza che, in questo caso, nulla è dovuto alla parte civile non comparsa.
 
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 21.2.2017