Rifiuti. Ignoranza della presenza di fibre di amianto durante una demolizione e obbligo supplementare di diligenza, monitoraggio e controllo. Cassazione Penale, n. 23864/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 23864 del 28 maggio 2018 (ud. del 18 dicembre 2017)
Pres. Savani, Est. Macrì
Rifiuti. Fibre d’amianto. Demolizione di fabbricato. Ignoranza della presenza di amianto nei rifiuti. Obbligo supplementare di diligenza, monitoraggio e controllo. Artt. 256 e 259 d. lgs. n. 152/2006. Sicurezza sul lavoro. Trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi. Omessa adozione di misure preventive. Tutela della salute dei lavoratori. Art. 262 d. lgs. n. 81/208.
Pur ipotizzandosi una ragionevole ignoranza della presenza di fibre d’amianto prima dell’inizio dei lavori di demolizione edilizie e relativo smaltimento dei rifiuti, deve ritenersi che, una volta avviati i lavori, il soggetto che vi abbia partecipato o che abbia diretto le operazioni sia in grado di rendersi conto del pericolo in corso e di gestire tali rifiuti secondo le prescrizioni di legge. Pertanto, fuori da tali prescrizioni, per i lavori di demolizione di un manufatto con presenza di fibre d’amianto e rimozione dei rifiuti sono configurabile le fattispecie dei reati, di cui agli artt. 256, comma 1, 2 e 5, d. lgs. n. 152/2006 e 262, comma 2, d. lgs. n. 81/2008, di trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi e omessa adozione delle misure preventive a tutela della salute dei lavoratori.
 
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 23864 del 28 maggio 2018 (ud. del 18 dicembre 2017)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Fratelli Cotellessa S. r. l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Francesco Cotellessa,
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Chieti in data 13.7.2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 13.7.2017 il Tribunale di Chieti ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo di due autocarri di proprietà della Fratelli Cotellessa S.r.l. disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lanciano in data 10.6. 2017 nell’ambito del procedimento a carico di Primavera Aldo, committente e direttore dei lavori di realizzazione di un edificio residenziale in un luogo ove esisteva un fabbricato adibito a scuola, e Cotellessa Francesco, responsabile della società affidataria dei lavori di demolizione del precedente manufatto e rimozione dei rifiuti, per i reati di cui agli art. 256, comma 1, 2 e 5, d. Lgs. 152/2006 e 262, comma 2, d. Lgs. 81/2008, per trasporto non autorizzato di rifiuti pericolosi contenenti amianto ed omessa adozione delle misure preventive a tutela della salute dei lavoratori.
2. La Fratelli Cotellessa S. r. l. lamenta la violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione degli art. 125, 321, 324 cod. proc. pen. e 256 e 259 d. Lgs. 152/2006 nonché dell’art. 240 cod. pen. e per mancanza e/o apparenza della motivazione risultante dal provvedimento impugnato. Afferma di essere proprietaria dei mezzi sequestrati e terza di buona fede, come si poteva evincere dalla documentazione allegata all’istanza di riesame – contratto d’appalto del 6.12.2016 e documentazione amministrativa predisposta dalla committente Primavera S.r.l. e dai tecnici incaricati – e che la stessa committente in data 12.12.2016 aveva attestato che nei lavori di demolizione dell’edificio non erano presenti sostanze contenenti amianto. Lamenta che il Tribunale del riesame non si era confrontato con tale circostanza di fatto. Precisa di aver documentato che la Primavera S.r.l. aveva commissionato ad altre ditte specializzate la rimozione della copertura del tetto e la movimentazione dei rifiuti speciali, quali lana di vetro/roccia non pericolosa, perlite, vermiculite e sostiene che su di essa gravasse l’obbligo previsto dal d. Lgs. 81/2008, come modificato dal d. Lgs. 106/2009, di predisporre ogni misura necessaria per individuare l’eventuale presenza dell’amianto.
Il Tribunale di Chieti aveva ammesso un’iniziale e ragionevole ignoranza della presenza dell’amianto, prima dell’inizio dei lavori, anche se il dubbio, innestante la colpa, era stato desunto dalla direttiva impartita ai lavoratori di bagnare con getti d’acqua le mura per evitare la dispersione delle polveri, pratica che la ricorrente assume invece essere comune in tali tipi di lavorazioni, a prescindere dall’amianto. Conclude che l’inidoneità dell’iter logico seguito e della giustificazione addotta in punto di colpa era fugata dagli art. 153, comma 5, e 159, comma 2, lett. c), d. Lgs. 81/2008 che prevedevano una specifica ipotesi di reato contravvenzionale nel caso in cui si fosse omesso, nel corso dei lavori edili, di impedire il sollevamento delle polveri provenienti dal materiale di risulta delle lavorazioni di demolizione del fabbricato.
Pertanto chiede all’annullamento dell’ordinanza impugnata, la revoca del decreto di sequestro preventivo, la restituzione di quanto sequestrato a se medesima e/o l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con motivazione ampia e precisa, il Tribunale del riesame ha evidenziato che il Cotellessa aveva diretto e partecipato alle operazioni di demolizione del fabbricato ed era venuto a conoscenza dell’esistenza dell’amianto o quanto meno della possibilità dell’esistenza dell’amianto: a Lanciano era notorio che il fabbricato che la sua società stava demolendo, senza alcun accorgimento tecnico-preventivo, poteva presentare delle fibre d’amianto.
Ad ogni buon conto, ha osservato sempre il Tribunale, pur ipotizzandosi una ragionevole ignoranza del fatto prima dell’inizio dei lavori, doveva ritenersi che, una volta avviati i lavori, era stato in grado di rendersi conto del pericolo in corso, come del resto accaduto alla stessa polizia giudiziaria, allertata da una segnalazione anonima. Peraltro, la colpa era desumibile indiziariamente dal fatto di aver impartito ai dipendenti l’ordine di bagnare, con getti d’acqua potenti, le mura via via demolite, proprio per impedire la dispersione delle polveri, ordine accompagnato dal riferimento orale ad una non meglio specificata bonifica, per non allarmare gli operai. La deduzione difensiva circa la secondarietà dell’attività di demolizione nell’ambito di quelle svolte dalla società non valeva certo a rendere meno esigibile il suddetto onere, anzi proprio la circostanza della minor conoscenza del regime amministrativo di certe attività, avrebbe imposto un obbligo supplementare di diligenza, monitoraggio e controllo.
Orbene, a fronte della suddetta motivazione, le doglianze della ricorrente sono generiche, in fatto, e non centrano il vizio della violazione di legge.
Ed invero, il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (così, tra le più recenti, Sez. 2, n. 18951 del 14.3.2017, Napoli e altro, Rv 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893, SSUU., n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13/2/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, era stato precisato che mentre rientrava nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientrava la sua eventuale illogicità manifesta). Infatti il controllo operato dai giudici di legittimità investe la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104). Nella specie, il suddetto requisito è pienamente soddisfatto.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 18 dicembre 2017.
Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 23864-2018