RIFIUTI. Quando un deposito incontrollato si trasforma in discarica abusiva? Cassazione Penale n. 15575/2020.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15575 del 21 maggio 2020 (ud. del 15 gennaio 2020)

Pres.Ramacci, Est. Cerroni

RIFIUTI. Deposito incontrollato di rifiuti. Trasformazione in discarica abusiva. Concetto di “gestione di una discarica abusiva”. Condizioni. Art. 256, comma 3 d. lgs. n. 152/2006. Art. 181 d. lgs. n. 42/2004. Prova documentale preesistente rispetto al procedimento penale. Acquisizione rituale di video. Visione da parte del giudice non effettuata in contraddittorio. Necessità. Esclusione.

In tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati. Fattispecie: discarica abusiva su area ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico .

In tema di rifiuti, il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso.

La visione da parte del giudice di una videocassetta, ritualmente acquisita come prova documentale preesistente rispetto al procedimento penale, costituisce mera modalità di percezione di immagini, e non già attività diretta alla formazione della prova, sicché la predetta visione non deve necessariamente essere effettuata in contraddittorio.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15575 del 21 maggio 2020 (ud. del 15 gennaio 2020)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Santamaria Salvatore Giuseppe, nato a Motta Sant’Anastasia;

avverso la sentenza del 14/03/2019 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Fimiani, che ha concluso per l’annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio, e per l’inammissibilità nel resto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 marzo 2019 la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del 10 novembre 2017 del Tribunale di Catania, ha rideterminato in anni uno mesi sei di reclusione ed euro 20.000 di multa la pena inflitta a Salvatore Giuseppe Santamaria per il reato di cui all’art. 6, comma 3, lett. e) della legge 30 dicembre 2008, n. 210, per le condotte tenute fino al 31 dicembre 2012, attesa l’intervenuta prescrizione delle fattispecie contravvenzionali dì cui all’art. 256, comma 3 d.lgs. 152 del 2006 ed all’art. 181 d.lgs. 42 del 2004.

2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con sei motivi di impugnazione.

2.1. Col primo motivo il ricorrente ha allegato violazione dì legge e vizio motivazionale, assumendo la violazione del diritto della difesa nella parte in cui l’imputato era stato privato del diritto di contro-esaminare i testi introdotti dal Pubblico ministero anche tramite la visione in contraddittorio del filmato nel quale sarebbe stato ripreso l’imputato nella commissione dei reati ascrittigli. Né era dato conoscere quando la Corte territoriale aveva preso visione del filmato, all’evidenza in palese violazione dei diritti difensivi.

2.2. Col secondo motivo è stata dedotta violazione della norma di cui all’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., in quanto la sentenza impugnata aveva omesso di considerare gli elementi espressamente enunciati dall’appellante e non valutati dal primo Giudice in favore dell’imputato.

Ciò con particolare riferimento agli esiti della consulenza tecnica e dell’interrogatorio della moglie del ricorrente, che avevano dato conto del degrado dell’area interessata da un generale incontrollato conferimento di rifiuti, in precedenza oggetto di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria ed affidata in custodia al Sindaco di Motta Sant’Anastasia.

Invero, secondo il ricorrente, dovevano essere esplicitate le ragioni di inattendibilità delle prove a favore dell’imputato, e andava congruamente motivato il privilegio accordato all’uno o all’altro degli elementi acquisiti.

2.3. Col terzo motivo è stato dedotto vizio motivazionale quanto alla ricorrenza di mere congetture e di parziali ricostruzioni fattuali, poste a base della ritenuta sussistenza del fatto reato senza tenere conto delle risultanze processuali favorevoli all’imputato, in relazione alle condizioni del sito ed ai pregressi sequestri che già vi insistevano, laddove al più l’attività riconducibile al ricorrente, talvolta addirittura incaricato della pulizia dell’area da parte delle autorità competenti in occasione delle feste patronali, poteva essere qualificata come deposito incontrollato di rifiuti.

Mentre in ogni caso appariva inverosimile che l’attività di smaltimento rifiuti, in tesi vasta e realizzata da un pregiudicato, potesse essere passata inosservata, e che fosse sanzionata la condotta più risalente, riconducibile ad ipotesi delittuosa e quindi con pena più severa, rispetto alla condotta più recente e più vicina all’attività di indagine della Polizia giudiziaria.

2.4. Col quarto motivo è stata censurata la mancata rinnovazione dibattimentale tramite l’esame del Sindaco del Comune di Motta Sant’Anastasia, già custode della medesima area incriminata. Né poteva negarsi la decisività di siffatta istanza al fine di chiarire la vicenda anche in ordine al coinvolgimento pregresso del Santamaria.

2.5. Col quinto motivo è stata lamentata la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione quanto all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, negate solamente in ragione dell’ormai lontano curriculum delinquenziale e della, indimostrata, particolare gravità dei fatti con la “rilevantissima trasformazione del territorio”, senza tenere conto dei concreti e modesti elementi processuali, laddove la mancata tutela del territorio era semmai legata alle omissioni pubbliche.

2.6. Col sesto motivo il ricorrente ha lamentato violazione del divieto di reformatio in peius, dal momento che, in esito all’estinzione per prescrizione del reato sub b) posto in continuazione e di parte della condotta sub a), era stata infine comminata la medesima pena in precedenza inflitta per l’intera condotta contestata sub a).

In concreto la pena era rimasta la medesima benché la condotta sanzionata fosse stata più breve, con un suo conseguente aggravamento.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio, e per l’inammissibilità nel resto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

4.1. Per quanto riguarda il primo motivo di censura, la Corte territoriale – ed invero il ricorrente ha riproposto la questione, osservando che non era dato conoscere dove il Giudice avesse visionato il video – ha in ogni caso correttamente evocato il principio, sicuramente maggioritario in questa Corte, secondo cui la visione da parte del giudice di una videocassetta, ritualmente acquisita come prova documentale preesistente rispetto al procedimento penale, costituisce mera modalità di percezione di immagini, e non già attività diretta alla formazione della prova, sicché la predetta visione non deve necessariamente essere effettuata in contraddittorio (Sez. 5, n. 48882 del 17/09/2018, M., Rv. 274158; Sez. 3, n. 13470 del 14/01/2016, Casamonica e altro, Rv. 266778; contra, isolata, Sez. 1, n. 43917 del 12/07/2017, Sandalo, Rv. 271455).

Del pari, quanto altresì alla revoca di ordinanza istruttoria che avrebbe in tesi privato l’imputato del diritto di contro-esaminare, in quanto ritenuti superflui, i testi introdotti dal Pubblico ministero in relazione ai contenuti delle videoregistrazioni, va osservato in via del tutto assorbente che la revoca ad es. dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 3 6, n. 53823 del 05/10/2017, D M., Rv. 271732; Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rizzello, Rv. 263210).

In specie, l’odierno ricorrente si è tardivamente doluto, tanto dell’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di visione in contraddittorio del cd, quanto di quella che aveva ritenuto la superfluità di testi del Pubblico ministero, solamente con l’atto di appello.

4.2. In ordine poi al secondo motivo di censura, e con riserva di quanto sarà osservato in fra, la Corte territoriale ha correttamente ricordato che, nel caso in cui la parte deduca l’omessa motivazione circa l’inattendibilità delle prove non utilizzate a fini ricostruttivi, essa ha comunque l’onere di enunciare le prove non considerate e la loro influenza sull’accertamento, in modo da evidenziare come la prova ritenuta contraria possa inficiare il ragionamento del giudice (Sez. 4, n. 13329 del 08/02/2018, Agresti, Rv. 273251).

Allo stesso tempo, quanto alla mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, non sussiste mancanza di motivazione se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (cfr. Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853).

4.2.1. Ciò posto, da un lato il motivo d’appello (cfr. pagg. 2 e 3 dell’atto di appello) in effetti consisteva solamente in un mero elenco degli elementi probatori che avrebbero dovuto essere esaminati dal primo Giudice (consulenza di parte, interrogatorio della coimputata poi assolta, documenti difensivi prodotti in relazione a precedente sequestro dell’area contro ignoti), senza peraltro alcuna contestuale specificazione circa il rilievo che detti elementi avrebbero altrimenti assunto nell’appellata decisione; dall’altro, in ogni caso, il percorso argomentativo della sentenza impugnata ha comunque dato complessivamente conto delle ragioni in forza delle quali andava riconosciuta la responsabilità dell’odierno ricorrente (v. in fra), così implicitamente, ma univocamente, disattendendo gli argomenti difensivi dell’imputato.

4.3. In ordine al terzo motivo di censura, la sentenza impugnata ha anzitutto richiamato gli elementi di fatto ampiamente riportati dal Tribunale di Catania laddove erano state descritte le condizioni del fondo interessato dalla discarica, l’accumulo e l’utilizzo dei rifiuti nonché le attività di sbancamento compiute, con i conseguenti livellamenti del terreno e le tracce delle movimentazioni dei mezzi meccanici (finalizzate alle opere di sistemazione, per così dire, del sito) nell’ampia area (4500 metri quadrati) di riferimento dell’imputato.

Al riguardo, questa Corte ha altresì osservato che, in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati (cfr. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schepis, Rv. 276009).

Laddove, in ogni caso, quanto ai rilievi del ricorrente in ordine all’impossibilità di avere creato la situazione di fatto evidenziata, ed in ordine alla quale non vi è stata sostanziale presa di posizione, va ricordato che il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso (Sez. 3, n. 12159 del 15/12/2016, dep. 2017, Messina e altri, Rv. 270354).

In ragione di ciò, perdono quindi consistenza tutti i rilievi del ricorrente da un lato in relazione alla dedotta impossibilità di avere dato corso alle opere di trasformazione illecita del territorio, e dall’altro con riferimento all’influenza del pregresso sequestro del fondo a carico di ignoti, tanto più che la sentenza impugnata aveva dato espressamente conto della deposizione testimoniale dell’ispettore Sirna, che aveva riferito dell’ulteriore accumulo di rifiuti, medio tempore intervenuto.

4.4. Alla stregua di quanto precede, pertanto, si presenta infondato anche il quarto motivo di ricorso.

Vero è, infatti, che nel giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230).

In proposito, la Corte territoriale, evocando la deposizione che appunto chiariva come fossero intervenuti accumuli di rifiuti anche dopo il sequestro a carico di ignoti, operato nel maggio 2012, ha implicitamente disatteso la richiesta di rinnovazione istruttoria mediante l’esame del Sindaco del Comune di Motta Sant’Anastasia, in realtà correttamente applicando il principio di cui sub 4.3..

4.5. Per quanto poi riguarda il quinto motivo di censura, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha infine disatteso la richiesta stante la particolare gravità del fatto, che aveva interessato un’area ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e con una rilevante trasformazione del territorio, mentre parimenti andava aggiunto il nutrito curriculum delinquenziale dell’imputato, ostativo al riconoscimento del beneficio nel difetto di elementi positivamente valutabili.

4.5.1. Ciò posto, è nozione comune che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

Infatti il giudice del merito esprime in proposito un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (in specie era stato appunto ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato)(Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
In specie la Corte territoriale ha invero rievocato i precedenti così operando una scelta certamente non contraddittoria e neppure banalizzante, come ritenuto invece dall’odierno ricorrente (il quale, per vero, nulla ha contestato in sé dell’affermazione della sentenza impugnata).

4.6. Va invece accolto, nei limiti di seguito indicati, il sesto motivo di censura.

Al riguardo, infatti, la Corte territoriale ha inteso rideterminare in anni uno mesi sei di reclusione ed euro 20.000 di multa la pena per il reato di cui sub a), trattandosi di reato permanente (cfr. Sez. 3, n. 39781 del 13/04/2016, Pajardi, Rv. 268236) cessato al 31 dicembre 2012, in ragione della sua temporanea trasformazione in delitto a norma dell’art. 6, comma 3, lett. e) della legge 30 dicembre 2008, n. 210, stante l’emergenza rifiuti in Sicilia, e della sua successiva ricaduta in ipotesi contravvenzionale a partire dalla medesima data.

Al riguardo, la Corte territoriale ha appunto inteso specificare che il reato di cui al capo a) doveva intendersi invece prescritto per le condotte successive al 31 dicembre 2012, trattandosi di reato avente ormai natura contravvenzionale a norma dell’art. 256, comma 3 d.lgs. 152 del 2006.

In primo grado, e contrariamente ai rilievi del ricorrente che altra ricostruzione fattuale ha inteso in proposito allegare, detto reato era stato sanzionato, in continuazione e per i medesimi fatti fino al 6 maggio 2013, con l’omologa fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 256, comma 3 cit., con un aumento di mesi tre di reclusione ed euro 5.000 di multa e quindi con una corrispondente pena complessiva di anni uno mesi nove di reclusione ed euro 25.000 di multa (l’altro identico aumento di mesi tre di reclusione ed euro 5.000 di multa era invece stato determinato per il reato sub b, di cui agli artt. 110 cod. pen. e 181 d.lgs. 42 del 2004, dichiarato prescritto dalla Corte territoriale).

In definitiva, pertanto, l’intervenuta rideterminazione della pena (la Corte territoriale non si riferisce invero a reati posti in continuazione) è stata operata per un fatto comunque sviluppatosi in un arco temporale significativamente più ridotto rispetto a quanto oggetto dell’accertamento giudiziale del Tribunale di Catania.

Quest’ultimo infatti (cfr. pag. 5 della prima sentenza) aveva infatti inteso accertare l’attività di gestione e realizzazione di discarica a partire dal mese di maggio 2012 con condotta perdurante accertata il 6 maggio 2013.

La Corte territoriale ha infine determinato la pena nell’ambito temporale dal maggio 2012 al 31 dicembre 2012.

Il primo – operando una continuazione sullo stesso reato, punito prima come delitto ed in seguìto come contravvenzione – ha determinato una pena complessiva di anni uno mesi nove di reclusione ed euro 25.000 di multa su un arco temporale di dodici mesi; la seconda ha determinato la sanzione in anni uno mesi sei di reclusione ed euro 20.000 di multa per sette mesi, ossia poco più della metà.

4.6.1. Al riguardo, la parziale riforma, su appello dell’imputato, della sentenza di primo grado, con esclusione della punibilità in relazione ad un apprezzabile periodo temporale del reato permanente in imputazione, comporta la motivata rideterminazione, in forza del divieto della reformatio in peius, della misura della pena in rapporto all’offensività della condotta (Sez. 6, n. 26083 del 14/05/2010, R., Rv. 248044; conf. altresì Sez. 2, n. 6739 del 30/01/2020, Santucci, Rv. 278232, intervenuta nelle more della stesura della motivazione).

Ciò posto, la sentenza impugnata si è riferita ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., all’entità del fatto ed alla negativa personalità dell’imputato gravato da numerosi precedenti penali, ma in effetti – alla stregua della richiamata ricostruzione del trattamento sanzionatorio – in sede di rideterminazione della pena non appare avere valutato il complessivo elemento temporale ed il periodo concretamente oggetto di sanzione. In proposito, e con piena libertà di giudizio, provvederà il Giudice di rinvio.

4.6.2. Va da sé che l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata è limitato alla rideterminazione della pena, con la conseguente irrevocabilità della responsabilità penale e quindi della confisca già disposta dal Tribunale di Catania e confermata dalla Corte di Appello etnea.

5. La sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Catania e con rigetto del ricorso nel resto, anche in relazione al profilo di cui sub 4.6.2.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l’impugnata sentenza quanto all’affermazione di responsabilità penale e alla disposta confisca.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.

Così deciso in Roma il 15/01/2020

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