RIFIUTI. Differenza tra CSC e CSR. Consiglio di Stato n. 236/2019.

Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 236 del 10 aprile 2019 (ud. del 4 ottobre 2018)

Pres. Caringella, Est. Grasso

Rifiuti. Distinzione tra CSC e CSR.

Dal dato normativo emerge con chiarezza la distinzione tra CSC e CSR: le prime strumentali a riconoscere, nell’area sottoposta a verifica, l’esistenza di sostanze inquinanti in una soglia tale da giustificare la predisposizione di un piano di caratterizzazione; le seconde preordinate alla verifica della sussistenza di un livello di rischio tale da giustificare l’attuazione di interventi di bonifica e di messa in sicurezza.

 

 

Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 236 del 10 aprile 2019 (ud. del 4 ottobre 2018)

02346/2019 REG. PROV. COLL.

N. 03907/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3907 del 2009, proposto da
Regione Lombardia, in persona del Presidente in carica pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Cederle, con domicilio eletto presso lo studio Emanuela Quici in Roma, via Nicolò Porpora, 16;

contro
Chemisol S.r.l. (già Agrolinz Melamine Int S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Lirosi, Antonella Capria e Teodora Marocco, con domicilio eletto presso lo studio Antonio Lirosi in Roma, via Quattro Fontane 20;
Provincia di Varese, Comune di Olgiate Olona, Comune di Castellanza, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Agenzia Regionale Protezione Ambiente Lombardia, Istituto Superiore di Sanità, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 1311/2009, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Quici, su delega di Cederle, e Lirosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1.- Chemisol S.r.l. (già Agrolinz Melamine International Italia S.r.l.), nella qualità di operatore nel settore chimico, con uno stabilimento di produzione di melammina e resine melamminiche sito nei comuni di Castellanza e Olgiate Olona, all’interno del polo
chimico multisocietario ex Montedison di Castellanza, avviava, in data 31 marzo 2001, il procedimento finalizzato alla bonifica del sito, inviando apposita comunicazione agli enti interessati ai sensi dell’allora vigente art. 9 comma 3 del D.M. 471/1999 (il quale, per i soggetti che avessero avviato a titolo volontario la bonifica dei siti contaminati, prevedeva il differimento del relativo obbligo, facendolo decorrere dalla data successivamente indicata nel piano regionale o suoi eventuali stralci).
Pur non avendo ancora provveduto la Regione Lombardia ad indicare la decorrenza dell’obbligo di bonifica mediante il piano regionale o un suo stralcio, la società presentava il piano di caratterizzazione delle aree onde procedere agli interventi di bonifica.
In particolare, un primo piano relativo ad una porzione di area (Area B, Zona A) veniva approvato in data 22 maggio 2007. Successivamente, il piano della caratterizzazione relativo a tutte le residue aree di proprietà della società veniva presentato alla Regione Lombardia in data 25 luglio 2007 per la relativa approvazione.
Con riferimento a tale piano, in data 11 settembre 2007 si teneva un primo incontro tecnico presso la Provincia di Varese, cui faceva seguito, in data 3 ottobre 2007, la conferenza di servizi presso la Regione Lombardia.
In sede di incontro tecnico emergeva un sostanziale accordo tra gli enti partecipanti, la società e i tecnici incaricati dalla stessa circa le modalità proposte per lo svolgimento della caratterizzazione. Veniva, in particolare, affrontata la problematica relativa alle sostanze “non tabellate”, ossia quelle sostanze per le quali le tabelle 1 e 2 degli allegati al Titolo V della parte quarta del D. Lgs. 152/2006 non prevedevano dei parametri di riferimento. A tale riguardo, nell’incontro tecnico si dava atto che “per quanto concerne[va] la proposta di CSC [Concentrazioni soglie di contaminazione] dei parametri «sito specifici» – e non tabellati – da parte di
AMI, gli Enti richied[evano] che ven[issero] calcolate le CSR [Concentrazioni soglie di rischio], per avere un approccio più corretto a quanto definito dal titolo V alla parte IV del D. Lgs. 152/06”. Si rimandava, quindi alle risultanze del Piano di caratterizzazione circa la valutazione dell’utilizzo delle CSR sito-specifiche, anziché CSC, sulle quali l’ARPA si riservava di effettuare ulteriori valutazioni.
Facendo seguito alla riserva in questione, l’ARPA predisponeva il proprio parere (versato agli atti della conferenza di servizi) con il quale, con riferimento alle sostanze non tabellate (in particolare, per la formaldeide e l’esametilentetrammina) veniva suggerita la prescrizione di parametri di riferimento che la società riteneva eccessivamente restrittivi, sollecitandone – anche sulla scorta di propri studi ed approfondimenti – la rideterminazione.
Con maggior dettaglio, la società rilevava che – a fronte di un valore internazionalmente riconosciuto di 900 µg/l, per giunta riferito all’acqua potabile – l’Amministrazione, sulla scorta di una nota dell’Istituto Superiore di sanità, aveva prescritto per la formaldeide (a suo dire immotivatamente) un valore di 1 µg/l (e ciò sulla base di una sostanziale ed asseritamente inappropriata assimilazione al trattamento riservato al benzene, che era sostanza ben più pericolosa, ai fini considerati, dato che il potenziale cancerogeno della formaldeide disciolta in acqua era unicamente legato alla possibilità di passare alla fase vapore).
In definitiva, la società riteneva del tutto irragionevole, da un punto di vista tecnico e scientifico, l’equiparazione, compiuta dall’I.S.S., dei valori di CSC nelle acque sotterranee per un composto caratterizzato da un potenziale cancerogeno solamente per via inalatoria e da una trascurabile capacità di passare dalla fase acquosa alla fase vapore, come la formaldeide, ad un composto caratterizzato, invece, da un potenziale cancerogeno per via sia orale che inalatoria e da una significativa tendenza al passaggio dalla fase acquosa alla fase vapore, come il benzene.
Con riferimento, poi, all’esametilentetrammina, in mancanza di sufficienti dati in letteratura, il calcolo del valore di concentrazione-limite accettabile avrebbe dovuto, nel critico assunto della società, essere effettuato applicando un’analisi di rischio basata sui valori più cautelativi esistenti relativi all’esposizione umana. L’applicazione delle relative formule avrebbe permesso, in tale prospettiva, di ricavare un valore di concentrazione asseritamente accettabile di 210.000 µg/l, a fronte di un valore indicato dall’I.S.S. e prescritto da ARPA di 910 µg/l per le acque sotterranee.
Nondimeno, a dispetto della formalizzata richiesta, la Regione Lombardia, con nota del 26 novembre 2007, pur evidenziando che l’eventuale esame e valutazione delle CSC delle sostanze in questione avrebbe potuto trovare una sua giusta allocazione durante l’esame dei risultati della caratterizzazione e delle relazioni tecniche, non provvedeva a rivedere o ad avviare un procedimento per rivedere le prescrizioni già fissate nel verbale: per il che la società si vedeva costretta a ricorrere avverso le prescrizioni.
Lamentava, in particolare, la violazione dell’art. 242 del D. Lgs. 152/2006 e delle tabelle 1 e 2 degli allegati al titolo V, nonché difetto di istruttoria e di motivazione, nonché incompetenza (avuto riguardo alla imposizione di limiti da parte dell’I.S.S.).
Con la sentenza epigrafata, il TAR per la Lombardia accoglieva il ricorso.
2.- Con atto notificato nei tempi e nelle forme di rito, la Regione Lombardia impugna la ridetta sentenza, lamentandone – con unico, articolato motivo di gravame – la complessiva erroneità ed invocandone l’integrale riforma.
Nella resistenza della società appellata, alla pubblica udienza del 4 ottobre 2014, sulle reiterate conclusioni dei difensori della parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO
1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.
La Regione Lombardia impugna la sentenza con cui il locale TAR ha annullato (essenzialmente ritenendo sussistente il denunziato difetto di congrua istruttoria e di adeguata motivazione) il decreto della Direzione regionale per la qualità dell’ambiente con cui era stato approvato, nei sensi di cui alla narrativa che precede, il piano di caratterizzazione (ai fini della verifica dei presupposti della successiva bonifica del sito) di un’area di proprietà della società appellata.
Con il ricorso di primo grado, la società aveva sostanzialmente contestato che, ai fini della redazione del piano, fossero stati (onerosamente) fissati limiti di concentrazione troppo bassi per la formaldeide e la esametilentetrammina: trattandosi di sostanze non appositamente “tabellate”, la Regione si era, a suo dire, pedissequamente adagiata sul parere tecnico reso dall’Istituto Superiore di Sanità, il quale – per un verso – non avrebbe avuto competenze in materia e – per altro verso – non avrebbe giustificato la fissazione di un limite significativamente inferiore alla soglia di pericolosità emergente dalla letteratura scientifica internazionale.
A fronte della sentenza di accoglimento, la Regione denunzia, con unico mezzo, violazione e falsa applicazione dell’art. 242, comma 3 d. lgs. 152/2006. In sintesi: a) in presenza di una “lacuna tabellare”, sarebbe stato lecito il riferimento a sostanze tossicologicamente affini, autorizzato dalla stessa normativa; b) la Regione sarebbe stata, per tal via, vincolata alla indicazione tecnica (qualificata) fornita dall’Istituto superiore di sanità; c) il primo giudice avrebbe – soprattutto – fatto confusione tra CSC (Concentrazioni Soglie di Contaminazione) e CSR (Concentrazioni Soglie di Rischio): la prima riferita alla predisposizione del piano di caratterizzazione, la seconda alla elaborazione di un piano (di intervento e di) bonifica.
2.- Il motivo è fondato.
Le procedure operative ed amministrative da attivare, a carico del “responsabile dell’inquinamento”, al verificarsi di un evento potenzialmente contaminante, sono previste all’art. 242 del d. lgs. n. 152/2006, il quale prevede, per quanto di interesse ai fini della lite:
a) l’effettuazione, nelle zone interessate (una volta poste in essere le immediate e necessarie misure di prevenzione) di una “indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento”, finalizzata alla verifica del livello delle “concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)” (comma 2);
b) l’attuazione – per l’eventualità di mancato superamento della ridetta soglia – di interventi di ripristino della zona contaminata, con successiva comunicazione, strumentale ai necessari controlli e verifiche dell’autorità di settore;
c) l’attivazione – in caso di superamento della soglia – della procedura di attuazione di un “piano di caratterizzazione”, alla cui formulazione il responsabile dell’inquinamento è onerato, con successiva attivazione, da parte della Regione, di apposita procedura conferenziale preordinata alla sua autorizzazione (comma 3);
d) la successiva attivazione, sulla base delle risultanze della caratterizzazione, della procedura di analisi del rischio sito-specifica “per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”, sulla scorta di appositi parametri tabellari, destinata a refluire in apposita “analisi dei rischi”, destinata alla approvazione in sede conferenziale, con eventuale prescrizione di programma di monitoraggio, in caso di accertamento del mancato superamento della soglia di rischio (commi 4 e 5);
e) l’effettuazione – per l’alternativa eventualità di superamento della soglia di rischio – di interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, di ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito (comma 7).
Dal dato normativo emerge con chiarezza la distinzione tra CSC e CSR: le prime strumentali a riconoscere, nell’area sottoposta a verifica, l’esistenza di sostanze inquinanti in una soglia tale da giustificare la predisposizione di un piano di caratterizzazione; le seconde preordinate alla verifica della sussistenza di un livello di rischio tale da giustificare l’attuazione di interventi di bonifica e di messa in sicurezza.
Il piano della caratterizzazione (descritto e disciplinato dall’allegato 2 alla parte IV del citato decreto legislativo), è, infatti, un documento progettuale riportante un elenco di attività di indagine e i tempi necessari per effettuarle, compiute le quali si potrà conoscere l’impatto sulle matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali). Solo con i risultati del piano della caratterizzazione del sito è possibile prevedere la necessità o meno della predisposizione del progetto operativo di bonifica, anche in base all’analisi di rischio sito-specifica per la definizione delle concentrazioni di rischio. In sostanza, con le risultanze del piano della caratterizzazione si può progettare la bonifica, ma a tal fine è necessario preventivamente verificare la distribuzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti al di sopra delle Concentrazioni Soglie di Contaminazione. In sede di approvazione del piano di caratterizzazione si devono indicare i valori CSC, cioè i valori minimi che servono a riconoscere l’esistenza delle sostanze cioè (come efficacemente argomentato dalla difesa regionale) a “vederle”; dopo di che, in fase di progettazione della bonifica si determineranno i valori di CSR, cioè le concentrazioni degli inquinanti che non causano rischio per l’uomo e l’ambiente e cioè sono accettabili.
È del tutto logico, allora, che, ai fini di “riconoscimento”, la soglia di concentrazione possa essere senz’altro abbassata: la fissazione dei valori di CSC non ha per scopo la tutela della salute, ma solo la rintracciabilità nell’ambiente delle sostanze: per contro, la soglia “di intervento” (questa, beninteso, potenzialmente onerosa per il responsabile dell’inquinamento che vi fosse onerato) è fissata in un secondo momento, avuto riguardo ai limiti fissati, per la tutela della salute, dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Ne discende, altresì, che – per la determinazione della soglia di concentrazione rilevante per le sostanze inquinanti non tabellate – non appare arbitraria, per un verso, l’utilizzazione di parametri fissati per sostanze con analoghe caratteristiche e, per altro verso, la valorizzazione del parere reso dall’Istituto di superiore di sanità, al quale la Regione (e l’ARPA) hanno inteso correttamente adeguarsi, senza che all’uopo fosse necessaria (non trattandosi di prefigurare le condizioni per la programmazione di un intervento) una apposita motivazione e senza che venissero in rilievo i prospettati profili di competenza.
3.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello merita di essere accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata.
La complessità della questione, da un punto di vista tecnico, giustifica l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore

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