Rifiuti. Esportazione transfrontaliera e dichiarazioni false nei certificati. Cassazione Penale n. 47830/2017.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 47830 del 17 ottobre 2017 (ud. del 18 luglio 2017)
Pres. Amoresano, Est.Gai
Rifiuti. Esportazione transfrontaliera di rifiuti non pericolosi. Dichiarazioni di importazione ideologicamente false. Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità. Licenza SEPA e licenza ASQIQ di registrazione per le imprese estere. Art. 481 c.p. . Artt. 259 e 260 d. lgs n.152/2006.
Anche in materia di spedizioni transfrontaliera di rifiuti, la struttura dei regolamenti Europei comporta il recepimento delle risposte, che gli Stati non OCSE hanno fornito al questionario loro inviato e ai periodici aggiornamenti di tali risposte, avendo l’istituzione Europea ritenuto di fare proprie su base pattizia la determinazione e la disciplina che il singolo Stato non membro intende applicare per le varie tipologie di rifiuti. Da cui discende che i questionari sui rifiuti proposti dalla CE e compilati dalla Repubblica Popolare cinese prevedono una serie di requisiti documentali tra i quali la licenza SEPA emessa dall’Amministrazione Statale cinese per la protezione dell’ambiente e la licenza ASQIQ di registrazione per le imprese estere fornitrici dei rifiuti destinati all’importazione ed il certificato di ispezione precedente alla spedizione degli scarti. Inoltre, colui che deve essere munito della apposita licenza ASQIQ non potrà che essere il soggetto originatore dei rifiuti, in quanto responsabile della intera operazione della spedizione che si completa soltanto con l’effettivo recupero del rifiuto.
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 47830 del 17 ottobre 2017 (ud. del 18 luglio 2017)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Diaspro Roberto, nato a Roma il 19/02/1976;
avverso la sentenza del 17/06/2016 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Marcello Carriero che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 giugno 2016, la Corte d’appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Livorno, previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 259 del d.lgs n. 152 del 2006 (capo A) per essere estinto per prescrizione, ha rideterminato la pena inflitta a Diaspro Roberta a mesi dieci di reclusione per il residuo reato di cui agli artt. 48, 81 comma 2, 481 cod. pen. (capo C) per aver indotto in errore il pubblico ufficiale dell’Agenzia delle Dogane di Livorno che, sulla base di documenti, quali una copia di contratto di spedizione tra la società RIVA srl, di cui è legale rappresentante, e la destinataria cinese autorizzata al recupero dei rifiuti, copia di licenza AQSIQ, tali da far apparire la regolarità dell’esportazione transfrontaliera di rifiuti non pericolosi, emetteva tre dichiarazioni di importazione ideologicamente false. Fatti commessi il 22/10/2009 e 22/02/2010.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione dell’art. 192 cod.proc.pen. per avere la Corte d’appello argomentato la prova del dolo limitandosi a richiamare stralci della sentenza della Corte di cassazione n. 11837/13, senza evidenziare quali elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, avrebbe posto a base della decisione.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla illogicità, contraddittorietà della motivazione in ordine all’applicazione degli artt. 260 d. lgs n. 152 del 2006 e artt. 48, 481 cod. pen.
La Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di condanna per il reato di falso senza adeguatamente rappresentare il dolo del reato, limitandosi ad asserire che la Diaspro non poteva essere in buona fede avendo la RIVA srl (di cui l’imputata è legale rappresentante) generato i rifiuti nel territorio dello Stato e che non poteva non ritenersi quale esportatrice, al contrario l’imputata aveva dimostrato la sua buona fede, producendo il contratto con la società coreana Kim Moon Seok, società esportatrice che era in possesso della licenza AQSIQ per l’esportazione.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile per la riproposizione di motivi manifestamente infondati per le ragioni di seguito esposte.
5. La Corte d’appello, dopo aver ripercorso l’iter argomentativo della sentenza del Tribunale e aver condiviso la ricostruzione dei fatti, per come avvenuta nel giudizio di primo grado, e l’inquadramento giuridico e normativo in materia di spedizioni transfrontaliera di rifiuti, ha, per quanto qui di rilievo in connessione dei motivi di impugnazione, disatteso le censure difensive in relazione all’elemento soggettivo del reato di falso per induzione, evidenziando che la Diaspro aveva generato i rifiuti in Italia e trattandosi di soggetto esportatore, come risultante dalla dichiarazioni di importazione, non era in possesso della licenza AQSIQ e aveva allegato, per indurre in errore il pubblico funzionario, una licenza rilasciata a società coreana confidando sulla non immediata comprensibilità della documentazioni redatta in lingua cinese.
La vicenda, per come ricostruita nelle sentenze di merito con accertamento insindacabile in questa sede, ha ad oggetto la spedizione transfrontaliera di rifiuti non pericolosi della RIVA srl, transitati nel porto di Livorno, e diretti ad imprese site nel territorio della Repubblica Popolare Cinese, avvenute, due, in data 22/10/20091 e l’altra il 22/02/2009, spedizione che era stata accompagnata da dichiarazione all’importazione ideologicamente falsa poiché rilasciata, dal pubblico funzionario delle Dogane, sulla base di documentazione, allegata alla richiesta, della società RIVA srl che faceva apparire la regolarità dell’operazione di spedizione, sulla base della quale il pubblico funzionario aveva rilasciato la dichiarazione all’importazione ideologicamente falsa perché la RIVA srl era sprovvista della licenza ASQIS (in possesso della sola società coreana).
6. Ciò premesso, si ritiene utile ripercorrere, pur brevemente, la normativa di settore che regola la disciplina delle spedizioni transfrontalieri di rifiuti per i riflessi che tale normativa ha, anche, con riguardo al reato di falso ideologico contestato, essendo stata dichiarata la prescrizione del reato contravvenzionale.
Deve, in primo luogo, ricordarsi che la normativa italiana, in materia di spedizioni transfrontaliere di rifiuti, è integrata da quella adottata dall’istituzione Europea mediante regolamenti aventi efficacia esecutiva e dagli accordi bilaterali perfezionatisi ai sensi dell’art. 19 del regolamento 1993/259 e ai sensi dei regolamenti successivi. In particolare il d. lgs. n. 152 del 2006, art. 194, fa riferimento alle disposizioni contenute nei regolamenti comunitari. Tale rinvio alle regole che discendono “dai regolamenti comunitari che regolano la materia, dagli accordi bilaterali di cui all’art. 19 del regolamento (CEE) 1 febbraio 1993, n. 259” deve ovviamente intendersi esteso ai regolamenti della Comunità o dell’Unione che hanno integrato o modificato tale disciplina, ivi compreso il Regolamento 1013/2006 ed in particolare l’art. 18 sulla tracciabilità dei rifiuti e dei successivi artt. 35, 36 e 37 del medesimo regolamento e del principio di cui all’art. 49 che fa obbligo a tutti i privati coinvolti di operare nel rispetto dei principi di trasparenza e tracciabilità e nel rispetto della salubrità dell’operazione e fa carico alle istituzioni europee e i Paesi membri di adoperarsi per garantire la regolarità delle operazioni di esportazione di rifiuti. A sua volta, come ricordato da Sez. 3, n. 11837 del 04/07 /2012, Bidasio, Rv. 254848, la struttura dei regolamenti Europei comporta il recepimento – come ricordato dalla Corte d’appello – delle risposte che gli Stati non OCSE hanno fornito al questionario loro inviato e ai periodici aggiornamenti di tali risposte, avendo l’istituzione Europea ritenuto di fare proprie su base pattizia la determinazione e la disciplina che il singolo Stato non membro intende applicare per le varie tipologie di rifiuti. Da cui discende che i questionari in parola proposti dalla CE e compilati dalla Repubblica Popolare cinese prevedono una serie di requisiti documentali tra i quali la licenza SEPA emessa dall’Amministrazione Statale cinese per la protezione dell’ambiente e la licenza ASQIQ di registrazione per le imprese estere fornitrici dei rifiuti destinati all’importazione ed il certificato di ispezione precedente alla spedizione degli scarti. La sentenza citata ha, poi, chiarito che colui che deve essere munito della apposita licenza ASQIQ non potrà che essere il soggetto originatore dei rifiuti, in quanto responsabile della intera operazione della spedizione che si completa soltanto con l’effettivo recupero del rifiuto.
Di tali condivisibili principi la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione nell’individuare la RIVA srl quale soggetto che doveva essere munito della licenza ASQIQ, in quanto soggetto responsabile per tutte le operazioni.
7. Passando all’esame dei motivi di ricorso che censurano (entrambi) la sentenza sotto il profilo della violazione di legge e vizio di motivazione sull’elemento soggettivo del reato di falso ideologico per induzione, e che ben possono essere trattati congiuntamente, essi appaiono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata, in continuità con quella del Tribunale, ha escluso la buona fede in capo alla Diaspro, che sosteneva di non avere la qualifica di «l’esportatore», qualifica che doveva essere attribuita alla società intermediaria coreana KIM MOON SEOK, titolare di licenza ASQIQ, sul rilievo che la RIVA aveva generato i rifiuti in Italia, che l’esportazione verso la Cina era realizzata dalla stessa RIVA srl che aveva richiesto all’Ufficio delle Dogane di Livorno la dichiarazione di importazione, qualificandosi essa stessa «esportatore» nella bolletta doganale (cfr. pag. 2) e che l’aver allegato la licenza ASQIQ in capo alla società coreana smentivano l’assenza del dolo di induzione.
E’ del tutto evidente che, sulla scorta della richiesta di RIVA srl della dichiarazione di importazione, richiesta nella quale la RIVA srl si qualificava soggetto esportatore, come accertato in punto di fatto e non contestato (e che deve ritenersi tale alla luce dei principi sopra richiamati al par. 6), l’aver allegato, a corredo della dichiarazione una licenza rilasciata in capo ad altro soggetto (non esportatore), integra condotta di induzione penalmente rilevante, ex art. 48 cod.pen., sussistendo l’elemento oggettivo e soggettivo del reato.
Per inciso, qui non viene in rilievo il tema della triangolazione nell’esportazione di rifiuti perché nei documenti prodotti dalla ricorrente all’Agenzie delle Dogane, per ottenere la dichiarazione all’importazione, la stessa RIVA srl si qualificava quale «esportatore», salvo poi allegare la licenza ASQIQ della società coreana, confidando, come dice la Corte d’appello, della non immediata comprensibilità di documentazione in lingua cinese. Ne consegue la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. Alcuna violazione delle legge penale è predicabile con riferimento agli artt. 48, 481 cod. pen. e la motivazione della sentenza è scevra da profili di illogicità manifesta e/o contraddittorietà sindacabili in questa sede.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/07 /2017

Scarica in pdf il testo del provvedimento: cass. pen. sez. 3 sent. n. 47830-2017

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