Rifiuti. Guasto meccanico, colpa e responsabilità del titolare dell’impianto. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 31262 del 22 giugno 2017 (ud. 5 aprile 2017)
Pres. Di Nicola, Est. Scarcella

Rifiuti. Irrilevanza del guasto meccanico ai fini della affermazione di responsabilità. Art. 256 d. lgs. n. 152/2006.

Il guasto meccanico, quand’anche dovuto a più fattori concausali, non esonera da responsabilità il titolare dell’impianto, essendo in tal caso ascrivibile una responsabilità non certo “oggettiva”, ma indubbiamente “colposa”, posto che il fatto in sè del guasto nel funzionamento dell’impianto di depurazione, senza che sia individuabile una causa, per sua natura imprevedibile od inevitabile, lungi dall’escludere, vale a comprovare l’insufficienza delle misure predisposte e, dunque, a dimostrare la responsabilità del soggetto, quanto meno a titolo di colpa.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 31262 del 22 giugno 2017 (ud. 5 aprile 2017)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 12/10/2015, depositata in data 11/11/2015, il tribunale di Cuneo dichiarava la Monge ed il Pagliano colpevoli del reato di gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256, lett. a), d. lgs. n. 152 del 2006), per aver effettuato un’immissione abusiva di rifiuti speciali non pericolosi in acque superficiali, commesso secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione in data 15/08/2013, condannandoli, con il concorso di attenuanti generiche per la sola Monge, alla pena, rispettivamente, di 16.000,00 euro di ammenda il Pagliano e di 12.000,00 euro di ammenda la Monge.

2. Hanno proposto congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del comune difensore fiduciario cassazionista, deducendo quattro motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. .

2.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 40 e 41, co. 2, e 45 c.p. nonché all’art. 530, co. 2, c.p.p. per insussistenza del nesso di causalità e per difetto dell’elemento soggettivo della colpa e correlato triplice vizio motivazionale di mancanza e/o contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice di primo grado ha espressamente escluso l’ipotesi del concorso doloso dei ricorrenti, oggetto dell’originaria contestazione, nella contravvenzione, di cui all’articolo 256 del testo unico ambientale; nel riqualificare l’imputazione sotto il profilo soggettivo, gli stessi sono stati ritenuti responsabili del reato ascritto a titolo di cooperazione colposa in relazione alla loro rispettiva qualifica di amministratore unico, quanto alla Monge, e di direttore tecnico nell’ambito della società, quanto al Pagliano; il tribunale ha altresì escluso qualsiasi rilevanza al comprovato concorso di cause plurime, che la difesa aveva sostenuto essere da sole sufficienti a determinare l’evento e, quindi, idonee ad interrompere il nesso causale tra la condotta e l’evento, rilevanti per escludere la punibilità degli imputati per il caso fortuito; il tribunale, dunque, ha ritenuto gli imputati colpevoli senza tuttavia specificare le ragioni per cui avrebbero dovuto adottare cautele maggiori più efficaci rispetto a quelle adottate, così da evitare la tracimazione del liquido digestato, verificatasi nella notte del Ferragosto 2013, a fronte di fenomeni ed emergenze prevedibili quali sono le perturbazioni di tensione sulla linea elettrica di alimentazione. Tali approdi non sarebbero condivisibili nè sarebbero stati supportati da una motivazione coerente e logica, in quanto il giudice avrebbe rimproverato non meglio precisati profili di colpa generica per omissione, non verificati né verificabili, avendo gli imputati adottato tutti gli accorgimenti possibili in applicazione delle migliori tecnologie disponibili per evitare l’evento, avvalendosi a tal fine della consulenza di una primaria società del settore, Teletronic s.r.l. di Vigonza; in sostanza secondo la tesi difensiva, spettava a quest’ultima società predisporre e fornire la migliore tecnologia disponibile hardware e software, nonché le migliori soluzioni gestionali secondo le previsioni progettuali che peraltro erano state regolarmente approvate dall’autorità amministrativa competente; nessuna ingerenza mai avrebbe avuto la San Carlo nella progettazione e nella installazione del sistema gestionale che la Teletronic avrebbe realizzato in conformità al progetto, facendosi anche carico, in base ad un apposito accordo negoziale, del controllo e dell’assistenza anche da remoto del sistema nonché del suo puntuale aggiornamento; l’evento in questione si sarebbe pertanto verificato per una serie di concomitanti guasti, atteso che la tracimazione del digestato ebbe verificarsi di notte a causa del mancato arresto della pompa operativa sul digestore secondario che aveva rilanciato il liquido alla vasca di stoccaggio, senza arrestarsi al riempimento di quest’ultima, evento dovuto al fatto che il sistema di gestione non aveva interdetto la operatività della pompa di rilancio dal digestore secondario alla vasca di stoccaggio; in sostanza, l’evento cui è causa sarebbe avvenuto a causa di una imprevedibile concomitanza di cause sopravvenute e, segnatamente, del danneggiamento della scheda del supporto su cui operava il software di gestione PLC, dell’azzeramento delle soglie impostate per la rilevazione dei livelli e del guasto al modem che gestiva la segnalazione/chiamata da remoto del sistema attivo di teleallarme; tale concomitanza di fattori avrebbe impedito di ricevere aiuto dagli operatori incaricati per la chiamata notturna di allarme, in forza della quale sarebbero potuti intervenire immediatamente sull’impianto.
Nel ricorso si contesta che il tribunale, pur avendo correttamente ricostruito in fatto le vicende processuali, in particolare riconoscendo le concomitanti ragioni causali dell’evento, avrebbe tuttavia concluso in maniera non corretta sotto il profilo giuridico, sia per ciò che attiene al profilo causale, sia per quanto concerne l’elemento psicologico del reato; sotto il profilo causale, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, avrebbe ritenuto responsabile gli imputati facendo applicazione di quella giurisprudenza che imputa ai soggetti preposti alla direzione aziendale una responsabilità in presenza di comportamenti violativi dei doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti, in particolare facendo richiamo all’obbligo di adottare gruppi di continuità per evitare interruzioni di energia elettrica, senza tuttavia fare cenno a quelle cautele e a quegli accorgimenti che gli imputati avrebbero asseritamente dovuto adottare e che avrebbero invece disatteso; a tal proposito, si osserva nel ricorso che gli imputati non avrebbero omesso nessuna delle cautele nella gestione e nel monitoraggio dell’impianto, il quale era dotato di un gestionale all’avanguardia, di un monitoraggio in continuo, anche da remoto, di un sistema di teleallarme e chiamata dell’operatore che aveva sempre funzionato e che era schermato verso l’esterno proprio per scongiurare interferenze da perturbazioni di tensione sulla linea elettrica, oltre che dotato di gruppi di continuità per sopperire alla mancanza di energia elettrica conformemente al progetto. Come invece oggetto di accertamento in base alla relazione dell’Arpa del 18/10/2013 nonché delle dichiarazioni rese dai testi Bassi e Salvetti, l’evento oggetto di contestazione risulterebbe essersi verificato proprio a causa di una concomitante serie di circostanze di carattere eccezionale che avevano determinato una pluralità di guasti concomitanti cui è seguito lo sversamento accidentale, sicché le affermazioni del tribunale circa l’accorgimento cautelare (a titolo esemplificativo rappresentato dal gruppo di continuità) sarebbero errate e travisate, proprio perché tale accorgimento era stato adottato dalla società degli imputati; si sostiene, dunque, che quanto verificatosi nella notte di Ferragosto del 2013 debba ragionevolmente riportarsi al cosiddetto caso fortuito con l’applicazione dell’articolo 45 del codice penale, non potendo gli imputati rimproverarsi di non aver previsto che in ipotesi eccezionali, qual è quella verificatasi nel caso in esame, il sistema potesse essere simultaneamente danneggiato in più componenti hardware e software si dà ritenere tardivo l’intervento dell’operatore, essendosi trattato di un’evenienza singolare ed imprevedibile, posto che, diversamente opinando, si rischierebbe di condannare gli imputati in base al principio di responsabilità oggettiva; d’altronde, si conclude, non emergerebbe dalla sentenza alcunchè circa eventuali profili di culpa in vigilando (non solo con riferimento all’impianto, perché soggetto a monitoraggio in continuo, ma anche con riguardo al personale addetto al suo monitoraggio) od in eligendo, in particolare con riferimento alla scelta della ditta cui affidare la fornitura e soprattutto il settaggio del software di gestione; in tal senso, l’eventuale diverso settaggio del sistema PLC per il caso di guasti ad anomalie non sarebbe comunque rimproverabile agli imputati i quali, non soltanto non avrebbero svolto alcuna ingerenza sulla società che si occupava della gestione, ma non avrebbero neanche avuto nel nessuna specifica competenza tecnica o conoscitiva al riguardo.

2.2. Deducono i ricorrenti, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 530, co. 2, c.p.p. e correlato triplice vizio motivazionale di mancanza e/o contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai ruoli degli imputati in ambito aziendale.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, quanto ai ruoli rivestiti in azienda dai due imputati, la sentenza sarebbe carente sotto il profilo motivazionale; in particolare avrebbe attribuito una responsabilità anche all’amministratore unico, unitamente al direttore tecnico dell’impianto, che, diversamente era l’unico soggetto responsabile dell’impianto per la parte tecnica, come del resto sarebbe emerso dalle deposizioni Pezzuto e dalla relazione dell’Arpa in atti; non si sarebbe tenuto conto della delega conferita al direttore tecnico dall’amministratore unico e, in ogni caso, in sentenza non sarebbe emerso alcun cenno ad eventuali ingerenze dell’amministratore nella gestione tecnica dell’impianto che, tenuto conto dell’evento verificatosi, avrebbe implicato scelte meramente operative e certamente specialistiche con riferimento all’impianto, laddove, diversamente, l’amministratore unico si occupava esclusivamente dell’amministrazione e gestione in senso generale della società ma non degli aspetti tecnici; l’aver quindi attribuito alla Monge una corresponsabilità, attribuendole “un ruolo tecnico più defilato” costituirebbe un errore, non emergendo peraltro dalla sentenza elementi probatori in forza dei quali fosse stato possibile attribuire un ruolo tecnico minore in capo all’amministratore unico al fine di estendere a quest’ultima il giudizio di responsabilità in cooperazione.

2.3. Deducono i ricorrenti, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 131 bis c.p. e 530, co. 3, c.p.p. e correlato vizio di mancanza della motivazione quanto ai presupposti per la declaratoria di non punibilità per speciale tenuità del fatto.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, sarebbero state comunque ravvisabili nel caso in esame le condizioni per il riconoscimento della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità, sia per l’offesa modesta alla matrice ambientale, sia perché il comportamento ad essi contestato non poteva considerarsi come abituale; non rileverebbe in senso contrario la circostanza che si fosse verificata una moria dei pesci conseguente alla tracimazione del digestato e, in ogni caso, si sarebbe trattato di un fenomeno dalla portata limitata, modesta e, soprattutto, occasionale, atteso che si sarebbe trattato dell’unico caso verificatosi nel corso di questi ultimi anni; nulla peraltro la sentenza motiverebbe sul punto, nonostante la difesa avesse evidenziato in discussione la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del fatto di particolare tenuità, tenuto peraltro conto delle risultanze del sopralluogo svolto successivamente dall’Arpa presso l’impianto che evidenziava il ripristino dello status quo ante.

2.4. Deducono i ricorrenti, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 256, commi 1, 4, d. Igs. n. 152 del 2006 per l’erronea qualificazione del fatto di reato ed in relazione agli artt. 62 bis e 62, n. 6 c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostengono i ricorrenti, il giudice avrebbe riqualificato l’originaria imputazione come smaltimento di rifiuti non autorizzato in corpo idrico superficiale; si tratterebbe di una qualificazione errata in quanto il reato avrebbe dovuto essere riqualificato ai sensi del comma quarto dell’articolo 256 citato, ossia quale inosservanza colposa alle prescrizioni dell’autorizzazione che, infatti ai punti 34 e 39 dell’allegato a) della determinazione 24 gennaio 2011, rilasciata dalla provincia di Cuneo, prevedeva che dovesse essere evitata la perdita accidentale di rifiuti e che avrebbero dovuto essere mantenuti in perfetta efficienza i sistemi di controllo del processo; vi sarebbe poi un errore della determinazione della pena in concreto per non aver riconosciuto le attenuanti generiche al direttore tecnico e per non aver riconosciuto l’attenuante del risarcimento del danno ad entrambi gli imputati, per essersi invece gli stessi adoperati spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso della Monge è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre, mentre quello del Pagliano dev’essere rigettato perché infondato.

4. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in sede di legittimità, dev’essere esaminato il primo motivo con cui ambedue i ricorrenti svolgono un’articolata censura dolendosi della ritenuta sussistenza del nesso di causalità e della configurabilità dell’elemento soggettivo della colpa, ritenendo invece potersi ravvisare nel caso di specie il c.d. fortuitus.
Osserva il Collegio come la tesi dell’ascrivibilità esclusiva dell’evento all’occasionale malfunzionamento del complesso sistema di gestione – curato da una società terza rispetto a quella presso cui l’evento ebbe a verificarsi – è stata rigettata dalla sentenza impugnata, escludendo la rilevanza del fortuitus e la mancanza di “colpa”, richiamando la giurisprudenza di questa Corte che richiede al gestore di un impianto una particolare diligenza, tale da ridurre al minimo gli eventi dannosi per l’ambiente, dovuti al malfunzionamento dell’impianto, specie ove il predetto malfunzionamento possa derivare da eventi certo non imprevedibili, riferendosi espressamente il giudice di merito alla “rottura di componenti elettroniche anche laddove determinata da eventi naturali esterni, quali i temporali agostani in zone pedemontane”, richiamando – beninteso, solo a titolo esemplificativo – quale regola cautelare quella dell’adozione di un gruppo di continuità.

5. Ritiene il Collegio detta motivazione corretta e condivisibile, atteso che l’eventuale ascrivibilità dell’evento al mancato intervento ed alla negligenza nel predisporre il sistema di gestione e controllo dell’impianto in capo alla società Teletronic – cui sarebbe stata, nell’ottica difensiva, imputabile in via esclusiva la responsabilità dell’accaduto – non vale tuttavia ad escludere la responsabilità della società titolare dell’impianto da cui ebbe a promanare lo sversamento illecito. A carico di quest’ultima, infatti, ricadeva certamente l’obbligo di impedire l’evento, donde il nesso di causalità tra la condotta (non importa se omissiva o commissiva) del o dei soggetti titolari della relativa posizione di garanzia non veniva meno per effetto dell’eventuale negligenza della Teletronic, configurandosi, in tal caso, un concorso di cause ex art. 41, comma primo, cod. pen.
Del resto, come affermato da questa Corte con orientamento giurisprudenziale consolidato, il guasto meccanico – quand’anche dovuto, come nel caso in esame, a più fattori concausali – non esonera da responsabilità il titolare dell’impianto., essendo in tal caso ascrivibile una responsabilità non certo “oggettiva” (come si sostiene nel congiunto ricorso), ma indubbiamente “colposa”, posto che il fatto in sè del guasto nel funzionamento dell’impianto di depurazione, senza che sia individuabile una causa, per sua natura imprevedibile od inevitabile, lungi dall’escludere, vale a comprovare l’insufficienza delle misure predisposte e, dunque, a dimostrare la responsabilità del soggetto, quanto meno a titolo di colpa (Sez. 3, n. 1218 del 15/12/1993 – dep. 02/02/1994, Giachello, Rv. 196340). Più volte, sul punto, questa Corte ha infatti affermato: a) che il titolare di un insediamento produttivo ha un dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie attinenti al ciclo produttivo, ai presidi tecnici, all’organizzazione del lavoro, alla costante vigilanza. Pertanto, il guasto dell’impianto di depurazione non costituisce caso fortuito, quando poteva essere preveduto e comunque neutralizzato nelle sue conseguenze (Sez. 3, n. 10530 del 27/09/1991 – dep. 17/10/1991, Casarotto, Rv. 188303); b) che il titolare di un insediamento produttivo ha il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza. Di conseguenza l’inclemenza atmosferica (dovuta a pioggia abbondante o freddo intenso), i guasti meccanici dell’impianto di depurazione, i comportamenti irregolari dei dipendenti non sono fatti imprevedibili e pertanto non costituiscono caso fortuito o forza maggiore (Sez. 3, n. 8828 del 29/03/1989 – dep. 23/06/1989, MOLTENI, Rv. 181624); c) che in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’improvviso guasto verificatosi nell’impianto di decantazione dei fanghi (costituito, nella specie, dalla bruciatura di una resistenza) che abbia causato lo sversamento dei reflui ed il relativo inquinamento idrico, non costituisce ipotesi di caso fortuito escludente la responsabilità, in quanto siffatto evento non realizza quel “quid” di imponderabile ed imprevedibile che deve concretare il caso fortuito, risultando i guasti meccanici tutt’altro che episodici ed occasionali (Nella specie la Cassazione ha respinto il ricorso dell’imputato confermando la decisione di merito che ne aveva affermato la responsabilità – per l’inquinamento verificatosi – a titolo di colpa consistita nel non aver diligentemente sottoposto a controllo l’impianto di depurazione, affermando il principio di cui in massima e rilevando altresì che l’imputato, dovendo assicurare lo sversamento corretto dei reflui, era tenuto a ricorrere a tutti i presidi disponibili per fronteggiare l’eventualità della disfunzione della resistenza: Sez. 5, n. 9134 del 06/08/1991 – dep. 11/09/1991, Moscatelli, Rv. 191192); d) che in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, non integra l’ipotesi del caso fortuito il guasto meccanico dell’impianto, che è correttamente ascrivibile ad una condotta negligente dell’imputato, atteso che questi era obbligato a mantenere l’impianto in condizioni di sicuro funzionamento ed a controllare costantemente l’efficacia dello stesso, non potendo annoverarsi nella categoria dei fattori inevitabili ed imprevedibili il guasto cd. improvviso di un meccanismo il cui funzionamento dipende dall’attività di manutenzione dello stesso (Sez. 3, n. 1054 del 15/11/2002 – dep. 14/01/2003, Branchesi A, Rv. 223289).
Il primo motivo dev’essere quindi respinto perché infondato.

6. Ad analogo approdo deve pervenirsi in relazione al secondo motivo, limitatamente alla posizione del Pagliano.
Ed invero, se nessun rilievo può muoversi alla sentenza impugnata quanto alla posizione del predetto, qualificato come direttore tecnico – che, come emerge dalla lettura dell’impugnata sentenza e dallo stesso ricorso congiunto, era il soggetto cui spettava la gestione “tecnica” dell’impianto (ed è pacifico che il direttore tecnico di uno stabilimento industriale risponde penalmente dell’aumento dell’inquinamento del relativo scarico: Sez. 3, n. 2294 del 18/01/1982 – dep. 06/03/1982, CANESSA, Rv. 152639) -, diversamente deve ritenersi quanto alla posizione della Monge, amministratore unico della società, la quale è stata ritenuta responsabile dal giudice di merito per il “ruolo tecnico più defilato”. Sul punto, effettivamente la sentenza impugnata appare – come denunciato dalla difesa – del tutto carente sotto il profilo motivazionale, non specificando il giudice le ragioni per le quali alla stessa sia stato attribuito detto ruolo, non rinvenendosi nel percorso argomentativo elementi probatori o di natura indiziaria idonei a pervenire a tale approdo, né avendo il giudice motivato sotto il profilo dell’omessa vigilanza sull’operato del direttore tecnico o sulla presunta “culpa in vigilando” della Monge, profili in base ai quali avrebbe potuto essere giustificata (rectius, giustificabile) una responsabilità dell’amministratore unico della società, laddove invece ad essa viene imputato un concorso a titolo di cooperazione colposa nella produzione dell’evento. A ciò va aggiunto, peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la delega conferita dal legale rappresentante di una società per azioni al direttore tecnico (ma il principio è applicabile anche alla s.r.I., come nel caso di specie), in ordine a tutte le incombenze relative allo smaltimento dei rifiuti, non esonera il primo da responsabilità nel caso in cui l’impianto, deficitario nel garantire il rispetto della normativa sugli scarichi, preesistesse al conferimento della delega, ovvero nel caso in cui, verificatosi un inconveniente di esercizio, i fondi messi a disposizione del delegato fossero insufficienti ad ovviare al problema e questi ne avesse inutilmente riferito al delegante (Sez. 2, n. 9378 del 22/08/2000 – dep. 30/08/2000, Guarnone R, Rv. 217415).
L’impugnata sentenza dev’essere quindi annullata con rinvio ad altro giudice del tribunale di Cuneo, affinchè provveda a colmare il deficit motivazionale in ordine all’individuazione di profili di effettiva corresponsabilità della Monge, amministratore unico della società, nella gestione della fonte di rischio costituita dall’impianto, in presenza di un soggetto, il Pagliano, delegato espressamente alla gestione tecnica dell’impianto della società.

7. Quanto alla censura relativa alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., pur non ravvisandosi sul punto alcuna motivazione espressa da parte del tribunale sul punto, è tuttavia evidente, proprio in considerazione delle conseguenze derivate dal verificarsi dell’evento (moria di pesci lungo il canale ove ebbe a verificarsi lo sversamento del digestato proveniente dall’impianto, moria dovuta a soffocamento di origine meccanica), che il fatto non possa qualificarsi come di particolare tenuità. L’evento cagionato dal malfunzionamento dell’impianto, infatti, non soltanto ebbe a determinare un deterioramento della matrice ambientale, ma anche a provocare un danno oggettivamente percepibile alla fauna ittica, causando una consistente moria di pesci.
Nessun elemento, dunque, era ravvisabile ai fini del riconoscimento dell’art. 131- bis, cod. pen. .

8. Quanto, ancora, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche al direttore tecnico, lo stesso viene giustificato dal giudice di merito proprio in relazione al diverso “grado della colpa” attribuibile ai due imputati. Trattasi di motivazione corretta in diritto, avendo infatti già affermato questa Corte che non si ravvisa difetto di motivazione nella sentenza che, in ordine al diniego delle attenuanti generiche, faccia riferimento al grado elevato di colpa dell’imputato (Sez. 4, n. 8654 del 30/06/1981 – dep. 09/10/1981, BROLI, Rv. 150375; Sez. 4, n. 1738 del 25/11/1980 – dep. 04/03/1981, CRESSERI, Rv. 147892).
In relazione, infine, al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., non v’è traccia della richiesta nelle conclusioni della difesa, donde si tratta di censura dedotta per la prima volta in sede di legittimità, prestando quindi fianco alla censura di inammissibilità ex art. 606, comma terzo, cod. proc. pen. In ogni caso, quanto dedotto dal ricorrente, comporterebbe lo svolgimento di valutazioni inibite a questa Corte di legittimità, implicando il giudizio di meritevolezza in ordine al riconoscimento della predetta attenuante un inammissibile apprezzamento di fatto (ossia la valutazione del comportamento successivo al fatto da parte del ricorrente), sottratto alla cognizione di questa Corte Suprema.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di Monge Mirella, e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo in diversa composizione personale.
Rigetta il ricorso di Pagliano Pierluigi che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 aprile 2017