RIFIUTI. L’idoneità dei luoghi di gestione dei rifiuti, i rischi potenziali e il controllo della P.A. . Cassazione Penale n. 42426/2021.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 42426 del 19 novembre 2021 (ud. del 6 ottobre 2021)

Pres. Di Nicola, Est. Ramacci

Rifiuti. Idoneità dei luoghi ove avviene la gestione. Art. 256, comma 1 e 4 d. lgs. n. 152/2006.

La gestione dei rifiuti è un’attività che determina rischi potenziali e che, per tali ragioni, la legge assoggetta a controllo da parte della pubblica amministrazione anche attraverso il rilascio dei necessari titoli abilitativi e l’individuazione dei presupposti per il loro rilascio. Ciò rende evidente che la idoneità dei luoghi ove vengono effettuate le attività di gestione non è un requisito di secondaria importanza, con la conseguenza che non può ritenersi irrilevante il fatto che un’attività di stoccaggio venga effettuata utilizzando, seppure per un tempo limitato, un luogo diverso da quello stabilito e privo di pavimentazione ed altri accorgimenti idonei a prevenire situazioni di pericolo per l’ambiente. La temporanea permanenza del rifiuto, inoltre, non assume rilievo qualora il luogo di stoccaggio sia continuativamente utilizzato allocandovi altri rifiuti una volta rimossi quelli precedentemente depositati.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 42426 del 19 novembre 2021 (ud. del 6 ottobre 2021)
RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Siena, con sentenza in data 11 novembre 2015 ha affermato la responsabilità penale di Riccardo Rovai e Roberta Viciani in relazione ai reati di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) e comma 4 d.lgs. 152\06 (accertati il 21 marzo 2012 in Colle Val D’Elsa), assolvendoli dall’ulteriore imputazione riferita all’art. 137, comma 1 del medesimo decreto.

Le condotte contestate, secondo l’imputazione, erano state poste in essere dal Rovai quale responsabile tecnico e presidente del consiglio di amministrazione della “Rigenerazione Plastica Senese Società Cooperativa” e dalla Viciani quale vicepresidente del consiglio di amministrazione della medesima cooperativa, in concorso tra loro ed avevano ad oggetto, quanto al capo a), l’utilizzazione di due aree dell’azienda per lo stoccaggio dei rifiuti in assenza delle prescritte autorizzazioni e, quanto al capo b), la violazione delle prescrizioni di cui all’iscrizione nel registro provinciale delle imprese che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in relazione all’accumulo, in una zona dell’azienda adibita allo stoccaggio di rifiuti in entrata, di numerosi “big bags” di rifiuti prodotti dalla cooperativa in modo promiscuo e tale da non renderli distinguibili da quelli stoccati in attesa di lavorazione.

Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il comune difensore fiduciario, deducendo i motivi di seguito enunciati.

2. Con un primo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando, con riferimento al capo a) della rubrica, che il giudice del merito, pur ritenendo dimostrato il fatto che i rifiuti in entrata stazionassero solo per poche ore nel luogo dove erano stati rinvenuti all’atto del controllo per poi essere lavorati e stoccati in aree idonee, ciononostante aveva ritenuto tale comportamento configurante l’ipotesi contravvenzionale contestata, sebbene l’attività di messa in riserva e stoccaggio fosse regolarmente autorizzata.

La condotta contestata, aggiungono, veniva posta in essere in un momento immediatamente precedente allo stoccaggio vero e proprio, ovvero alla messa a riserva prodromica alle successive operazioni di trasformazione e recupero.

Rilevano, inoltre, che tale circostanza risultava confermata dalle fotografie in atti.

3. Con un secondo motivo di ricorso deducono, con riferimento al capo b) dell’imputazione, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che la condotta descritta al punto 3 dell’imputazione sarebbe stata riscontrabile dalle foto in atti, senza tuttavia fornire alcuna concreta argomentazione.

Osservano, a tale proposito, che i materiali erano sì posizionati vicini, ma non mescolati, essendo invece separati ed imballati nonché facilmente riconoscibili dagli addetti ai lavori, come sarebbe documentato dalle riprese fotografiche effettuate dalla polizia giudiziaria all’atto del controllo e dalle dichiarazioni di uno dei testimoni escussi, elementi che la sentenza impugnata avrebbe ignorato.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento dei ricorsi.

4. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha concluso per l’inammisisbilità dei ricorsi.
In data 30 settembre 2021 la difesa dei ricorrenti ha presentato memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Occorre ricordare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stoccaggio è definito dall’art. 183, comma 1, lett. aa) d.lgs. 152/06 come “le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di  rifiuti di cui al punto D15 dell’Allegato B alla parte quarta del decreto (e, cioè, il deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14, escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti) nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell’Allegato C  alla medesima parte quarta (e, cioè, la messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei  punti da R1 a R12 escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).

Il giudice del merito ha evidenziato che, secondo quanto accertato in fatto, un’area dell’azienda priva di pavimentazione ovvero di impianto di raccolta delle acque meteoriche e di eventuali percolati veniva utilizzata per lo stoccaggio dei rifiuti in assenza di autorizzazione.

La permanenza dei rifiuti in tale area era limitata a poche ore, come pure riconosciuto in sentenza, essendo successivamente gli stessi rifiuti spostati per essere lavorati o stoccati in aree idonee, ma tale dato fattuale non è stato ritenuto determinante in ragione dell’uso continuo dell’area a tale scopo, evidentemente ritenendo costante la presenza di rifiuti per il fatto che, una volta rimossi quelli da lavorare, altri venivano collocati nella medesima area.

3. Si tratta, ad avviso del Collegio, di un dato fattuale significativo che il giudice del merito ha correttamente valorizzato e con il quale i ricorrenti non si confrontano, richiamando l’attenzione esclusivamente sulla temporanea presenza dei rifiuti e sostenendo che tale situazione non sarebbe idonea a configurare la contravvenzione contestata.

Tale assunto, tuttavia, risulta manifestamente infondato, atteso che consistendo la condotta contestata, come sostenuto in ricorso, in una messa in riserva o, comunque, in un deposito preliminare, essa rientra nella nozione di “stoccaggio” in precedenza richiamata ed è soggetta al preventivo conseguimento di un titolo abilitativo, in mancanza del quale si è in presenza di una gestione illecita.
Va a tale proposito ricordato che l’art. 177 d.lgs. 152/06 indica il campo di azione e le finalità delle disposizioni in tema di rifiuti, qualificando l’attività di gestione come attività di “pubblico interesse” da svolgersi anche in attuazione delle direttive comunitarie, prevedendo adeguate misure di cautela, nonché evitando o riducendo la produzione di rifiuti, gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, attraverso la riduzione degli impatti complessivi dell’uso delle risorse ed il miglioramento della loro efficacia ed efficienza che costituiscono elementi  fondamentali per  il  passaggio  a  un’economia  circolare  e  per  assicurare  la competitività a lungo termine dell’Unione.
Nell’indicare i criteri generali dell’attività di gestione, la richiamata disposizione precisa, in particolare, che il suo esercizio deve svolgersi assicurando la tutela della salute umana e l’integrità dell’ambiente.
Il riferimento non è generico, poiché vengono espressamente considerate tutte le possibili conseguenze negative dell’attività di gestione, disponendo che essa avvenga senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori o odori; senza danneggiare il paesaggio ed i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.
Il successivo art. 178 richiama espressamente, nel primo comma, i principi cui deve conformarsi l’attività di gestione. Essa deve essere effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, rispetto del principio di concorrenza, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali. Si richiama inoltre la responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo di beni da cui originano i rifiuti.

L’attività di gestione in genere, pertanto, è un’attività che determina rischi potenziali e che, per tali ragioni, la legge assoggetta a controllo da parte della pubblica amministrazione anche attraverso il rilascio dei necessari titoli abilitativi e l’individuazione dei presupposti per il loro rilascio.
Quanto appena ricordato rende evidente che la idoneità dei luoghi ove vengono effettuate le attività di gestione non è un requisito di secondaria importanza, con la conseguenza che non può ritenersi irrilevante il fatto che un’attività di stoccaggio venga effettuata utilizzando, seppure per un tempo limitato, un luogo diverso da quello stabilito e privo di pavimentazione ed altri accorgimenti idonei a prevenire situazioni di pericolo per l’ambiente.

La temporanea permanenza del rifiuto, inoltre, non assume rilievo qualora – come, nella fattispecie, correttamente rilevato nella sentenza impugnata – il luogo di stoccaggio sia continuativamente utilizzato allocandovi altri rifiuti una volta rimossi quelli precedentemente depositati.
4. Per quanto concerne, poi, il secondo motivo di ricorso, deve ritenersi che lo stesso si sostanzi nella inammissibile prospettazione di una lettura alternativa delle emergenze processuali, peraltro con richiami a documenti ed altri atti del processo l’accesso ai quali è precluso al giudice di legittimità.
Va comunque rilevato come la sentenza impugnata, con argomentazioni in fatto scevre da cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, in quanto tali, non sindacabili in questa sede, ha ritenuto determinante il contenuto della documentazione fotografica acquisita, dando conto del fatto che la stessa evidenzia la presenza di un “ammasso indiscriminato di rifiuti sia da inserire ancora nel ciclo produttivo di RPS che di rifiuti finali del predetto ciclo produttivo (big bags contenenti fanghi ammassati a materiale di polietilene ancora da lavorare)” e che tale situazione contrastava evidentemente con le prescrizioni del titolo abilitativo laddove si prevede che “il settore di messa in riserva del rifiuto deve essere organizzato in aree opportunamente separate e distinte per ciascuna tipologia di rifiuto stoccata”.

La sentenza impugnata risulta, dunque, immune da censure ed i motivi di ricorso manifestamente infondati.

5. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 3.000,00.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in data 6/10/2021

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 42426-2021

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