Rifiuti. Differenza tra messa in riserva, deposito controllato e incontrollato, deposito preliminare e discarica abusiva. Cassazione Penale n. 7160/2017.

Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 7160 del 15 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)

Pres. Ramacci, Est. Mengoni

Rifiuti. Messa in riserva, deposito controllato e incontrollato, deposito preliminare, discarica abusiva. Differenza. Definizione di “stoccaggio”. Attività libera e/o con specifica autorizzazione. Operazioni di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (cavi elettrici). Separazione meccanica del conduttore dalla guaina. Artt. 183, 214, 216 e 256 D. Lgs. n. 152/2006. Giurisprudenza.
La messa in riserva – da distinguere dal deposito controllato, libero alle condizioni di legge; da quello preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento; dal deposito incontrollato o abbandono, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero e, da ultimo, dalla discarica abusiva, se l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi – deve esser ravvisata qualora il materiale sia in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d. lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1) (tra le altre, Sez. III, n. 38676 del 20/5/2014, Rodolfi; Sez. III, n. 49911 del 10/11/2009, Manni; Sez. III, n. 19883 dell’11/3/2009, Fabris). Fattispecie: operazioni di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (cavi elettrici) mediante un macchinario predisposto per la separazione del conduttore metallico dalla guaina isolante.
La messa in riserva costituisce un’attività prodromica al recupero dei rifiuti, da intendersi – giusta art. 183, comma 1, lett. t), d. lgs. n. 152 del 2006, come qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti stessi di “svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale”. Dunque, come operazione preliminare e strumentale ad una diversa e successiva attività, quella propriamente di recupero nei termini da R1 a R12, e da non confondere con queste ultime, che debbono costituire oggetto di specifica autorizzazione. Quanto indicato, trova conferma nella lett. aa) del citato art. 183, comma 2, contenente la definizione di “stoccaggio” quale “attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell’allegato C alla medesima parte quarta”.
 
Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 7160 del 15 febbraio 2017 (ud. 15 dicembre 2016)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Bozza Adriano, nato a Ronco all’Adige (Vr) il 10/10/1956;
avverso la sentenza del 2/12/2014 del Tribunale di Verona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Tacci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Marco Tonellotto, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2/12/2014, il Tribunale di Verona dichiarava Adriano Bozza colpevole della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (assolvendolo, al contempo, dall’imputazione ex artt. 256, comma 2, lett. a), stesso decreto, 483 cod. pen.) e lo condannava alla pena di 15 mila euro di ammenda; allo stesso, nella qualità di amministratore unico della “B.M. ROTIAMI s.r.l.”, era contestato di aver effettuato – senza autorizzazione – operazioni di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (cavi elettrici) mediante un macchinario predisposto per la separazione del conduttore metallico dalla guaina isolante.
2. Propone ricorso per cassazione il Bozza, a mezzo del proprio difensore, deducendo – con unico, diffuso motivo – la violazione di legge. In sintesi, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l’attività di cui sopra, che non si contesta, non fosse compresa nella “messa in riserva” per la quale la società del ricorrente risulta pacificamente autorizzata; quel che, invero, emergerebbe in modo chiaro dalla lettera degli artt. 214, 216, 183, 256, decreto n. 152 del 2006 citato (da leggere in modo combinato e sinergico) e del d.m. 5 febbraio 1998, che, al punto 5. 7 .3 dell’allegato 1, esplicitamente include la separazione meccanica del conduttore dalla guaina tra le attività ricomprese nella messa in riserva. Quel che, peraltro, ben emergerebbe dal tenore dell’autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Verona alla “B.M. ROTTAMI” (allegata al gravame), che – richiamando la comunicazione dì rinnovo inviata dalla stessa s.r.l. (del pari allegata) – include proprio tale operazione tra quelle assentite, quindi lecite. Sì da derivarne l’annullamento della sentenza senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Occorre premettere che non costituisce oggetto di gravame la condotta contestata, così come la riferibilità della stessa al Bozza, vertendo piuttosto la questione esclusivamente sulla dedotta violazione dì legge e, in particolare, sulla riconducibilità dell’attività dì cernita conduttore/guaina alla messa in riserva di cui all’autorizzazione provinciale (rilasciata, peraltro, con procedura semplificata); orbene, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
4. La messa in riserva costituisce un’attività prodromìca al recupero dei rifiuti, da intendersi – giusta art. 183, comma 1, lett. t), d. lgs. n. 152 del 2006 – come qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti stessi di “svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale”; questa conclusione deriva dal richiamo, contenuto nell’ultimo periodo della medesima lett. t), all’allegato C della parte IV del decreto n. 152 del 2006, nel quale – sotto la voce “Operazioni di recupero” – è indicata, in coda e sub R13, proprio la messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti). E con l’ulteriore precisazione che questi ultimi punti attengono, rispettivamente, a: R1: Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia; R2: Rigenerazione/recupero di solventi; R3: Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche); R4: Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metallici; RS: Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche; R6: Rigenerazione degli acidi o delle basi; R7: Recupero dei prodotti che servono a ridurre l’inquinamento; R8: Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori; R9: Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli; R10: Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia; R11: Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R1 a R10; R12: Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11.
La messa in riserva, dunque, come operazione preliminare e strumentale ad una diversa e successiva attività, quella propriamente di recupero nei termini da R1 a R12 appena richiamati, e da non confondere con queste ultime, che debbono costituire oggetto di specifica autorizzazione.
Quanto appena indicato, peraltro, trova conferma nella lett. aa) del citato art. 183, comma 2, contenente la definizione di “stoccaggio” quale “attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell’allegato C alla medesima parte quarta”, appena sopra richiamato.
Quel che, infine, risulta confermato anche dalla costante giurisprudenza di questa Corte, a mente della quale la messa in riserva – da distinguere dal deposito controllato, libero alle condizioni di legge; da quello preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento; dal deposito incontrollato o abbandono, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero e, da ultimo, dalla discarica abusiva, se l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi – deve esser ravvisata qualora il materiale sia in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d. lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1), contestato nel caso di specie (tra le altre, Sez. III, n. 38676 del 20/5/2014, Rodolfi, Rv. 260384; Sez. III, n. 49911 del 10/11/2009, Manni, Rv. 245865; Sez. III, n. 19883 dell’11/3/2009, Fabris, Rv. 243719).
Con riguardo, poi, alle modalità con le quali l’operazione in esame deve esser effettuata, si richiama il noto decreto ministeriale 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22), che, all’art. 6 – proprio sotto la voce “messa in riserva” – stabilisce specifiche disposizioni in materia di quantità massima dei rifiuti non pericolosi che possono esser sottoposti ad operazioni del genere presso l’impianto di produzione e presso impianti che effettuano, unicamente, tale operazione di recupero; con la specificazione, peraltro, contenuta nel comma 4, per la quale i rifiuti messi in riserva – sia presso l’impianto di produzione, sia “presso gli impianti che effettuano unicamente tale operazione di recupero”, sia, infine, presso quelli che effettuano “anche le altre operazioni di recupero” di cui allo stesso decreto – devono essere avviati alle medesime attività “entro un anno dalla data di ricezione”.
Ciò a segnare ulteriormente, ed in modo “plastico”, lo iato logico e cronologico che corre tra l’istituto in oggetto e le attività di recupero “propriamente dette”, sopra individuate con i punti da R1 a R12 di cui al citato allegato C.
5. Cosi delineato il perimetro normativo della materia ed applicando lo stesso alla vicenda in esame, osserva il Collegio che il Tribunale di Verona ne ha fatto buon governo, salvo per quanto attiene all’interpretazione dell’allegato 1, sub allegato 1 del citato decreto del 5/2/1998, che peraltro riveste efficacia decisiva.
Al riguardo, occorre sottolineare che il suballegato in esame (contenente Norme tecniche generali per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi), con specifico riferimento al rifiuto di cui trattasi nella presente vicenda (cavi elettrici, cod. CER 170411), stabilisce – al punto 5.7.3, sotto la voce “Attività di recupero” – che questa consiste nella “a) messa in riserva [R13) con lavorazione meccanica (cesoiatura, triturazione, separarazione magnetica, vibrovagliatura e separazione densimetrica) per asportazione del rivestimento, macinazione e granulazione della gomma e della frazione plastica, granulazione della frazione metallica per sottoporla all’operazione di recupero nell’industria metallurgica [R4] e recupero della frazione plastica nell’industria delle materie plastiche [R3]; b) pirotrattamento per asportazione del rivestimento e successivo recupero nell’industria metallurgica [R4)”. L’asportazione del rivestimento del cavo, anche se compiuta con lavorazione meccanica, costituisce dunque attività consentita nell’ambito della messa in riserva, e strumentale alla successiva forma di recupero stricto sensu che il decreto medesimo riconduce alle citate operazioni R3 ed R4, logicamente e cronologicamente distinte dalla messa in riserva medesima R13.
6. Orbene, ciò premesso, la sentenza impugnata – analizzando la medesima disposizione, riportata per esteso – ha dapprima affermato che «Il punto 5. 7 .3 ( … ), alla lettera a) si occupa della messa in riserva, indicando immediatamente il relativo codice R13, per poi aggiungere, di seguito, senza virgola (onde premeva chiarire che solo la messa in riserva è “coperta” dal codice R13) “con lavorazione meccanica”, dettagliando poi le possibili lavorazioni e precisando, per le lavorazioni descritte, gli ulteriori codici di riferimento (R4 per alcune e R3 per altre)»: subito di seguito, ha però sostenuto che l’attività del ricorrente – consistente, quanto ai cavi elettrici, nella separazione meccanica di parti metalliche da quelle non metalliche – «non era affatto autorizzata, in presenza della sola autorizzazione per la messa in riserva R13 e occorrendo il titolo abilitativo per l’attività di recupero R4».
Orbene, ritiene la Corte che le due espressioni risultino palesemente contraddittorie o, quantomeno, frutto di un immotivato salto logico; ed invero, se per un verso il Tribunale ha correttamente evidenziato, con riguardo ai rifiuti in questione, che la messa in riserva (R13) comprende anche la lavorazione meccanica per asportazione dei rivestimenti (in vista di ulteriori attività di recupero R3 ed R4), per altro verso ha poi negato che l’autorizzazione in possesso della “B.M. Rottami” – relativa proprio ad attività R13 – consentisse l’attività riscontrata, individuando nel caso di specie i caratteri propri della diversa attività R4, ma senza apparente motivazione.
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della pronuncia, affinché il Tribunale di Verona previo puntuale esame della documentazione amministrativa prodotta dal ricorrente, impedito a questa Corte poiché attinente a profilo fattuale – verifichi se la stessa concerna proprio l’attività riscontrata e, in caso affermativo, applichi la corretta interpretazione della disposizione 5.7 .3, nei termini sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Verona in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016