RIFIUTI. Confisca del mezzo di trasporto, il terzo estraneo deve provare la sua buona fede. Cassazione Penale n. 38851/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38851 del 23 agosto 2018 (udienza del 4 dicembre 2017)

Pres. Cavallo, Est. Aceto

Rifiuti. Confisca del mezzo di trasporto. Art. 256, 259 d. lgs. n. 152/2006.

La confisca del mezzo di trasporto utilizzato per la consumazione del reato di cui all’art. 256, è obbligatoria, ai sensi dell’art. 259, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006, anche se il mezzo è di proprietà del terzo estraneo (individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell’illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati) che non provi la sua buona fede, ovvero che l’uso illecito della “res” gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 38851 del 23 agosto 2018 (udienza del 4 dicembre 2017)

RITENUTO IN FATTO

1. La sig.ra Rosa Giordano ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 18/05/2017 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha rigettato l’appello avverso il provvedimento del 27/03/2017 del G.i.p. di quello stesso Tribunale che aveva rigettato la richiesta di restituzione dell’autocarro tg. DV200VD sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito del procedimento iscritto nei confronti di altre persone per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006.
1.1. Con il primi due motivi eccepisce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di omessa o comunque apparente motivazione dell’ordinanza impugnata e deduce, al riguardo, che il provvedimento del G.i.p. non indicava, se non con formule stereotipate (la persistenza delle ragioni poste a fondamento del sequestro) o del tutto irrilevanti (l’incipiente giudizio di merito sulla regiudicanda), quali fossero le reali ragioni ostative all’accoglimento della domanda. Ne risulta conseguentemente viziata l’ordinanza impugnata che a tale provvedimento ha fatto riferimento, dando così prova di non averne nemmeno preso in considerazione e meditato il contenuto.
1.2. Con il terzo motivo eccepisce il travisamento del fatto e la conseguente violazione degli artt. 321 e 322-bis, cod. proc. pen.. Deduce, in particolare, che aveva allegato alla domanda la completa e totale bonifica dell’area, restituita per questo motivo dal pubblico ministero il 18/11/2015. A maggior ragione non v’era più l’esigenza cautelare di mantenere il sequestro sull’autocarro di sua proprietà. Dunque non è affatto vero, come sostiene il Tribunale, che non erano stati allegati fatti nuovi idonei a giustificare la revoca del sequestro.
1.3. Con il quarto motivo eccepisce la violazione degli artt. 321, comma 1, cod. proc. pen., e 259, d.lgs. n. 152 del 2006. Deduce che il sequestro non era stato disposto ai fini della confisca ma esclusivamente ai fini cautelari di cui al primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. Erra, pertanto, il Tribunale che fa riferimento alla possibile confisca dell’automezzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

3. A norma dell’art. 323, comma 3, cod. proc. pen., in caso di condanna gli effetti del sequestro preventivo permangono quando venga disposta la confisca delle cose sequestrate. In caso di sentenza di proscioglimento ovvero di non luogo a procedere, invece, le cose sequestrate non possono essere restituite solo se ne viene disposta la confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen..
3.1. Nel definire i casi ostativi alla restituzione della cosa già sequestrata ai sensi dell’art. 321, l’art. 323 cod. proc. pen. non opera distinzioni tra i titoli del sequestro: non rileva, cioè, se il vincolo è stato imposto ai fini cautelari di cui al comma primo dell’art. 321, ovvero ai fini della confisca ai sensi del comma secondo; rileva esclusivamente la persistenza del sequestro preventivo al momento della pronuncia.
3.2. Peraltro, se la cosa è stata utilizzata per la consumazione del reato, il decreto che ne ordina il sequestro ai sensi del primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen., deve ritenersi adottato anche agli effetti del comma secondo del medesimo articolo, trattandosi di cosa astrattamente confiscabile ai sensi dell’art. 240 cod. pen., a maggior ragione se si tratta di cosa di cui è obbligatoria la confisca.
3.3. Ne consegue che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 321, commi 1, 2 e 3, e 323, commi 1 e 3, cod. proc. pen., ai fini della revoca del sequestro preventivo della cosa utilizzata per la consumazione del reato, è necessario non solo che siano cessate le esigenze cautelari ma che la cosa non risulti nemmeno astrattamente confiscabile (cfr., sul punto, Sez. 6, n. 7087 del 13/12/2013, D’Introno, non massimata sul punto, secondo cui la revoca del decreto di sequestro preventivo per sopravvenuta mancanza delle condizioni di applicabilità, disciplinata dal terzo comma dell’art. 321 c.p.p., si applica anche al caso della confisca, previsto dal secondo comma del medesimo articolo, ancorché la lettera del terzo comma richiami il solo caso del pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, previsto dal primo comma).
3.4. In sede cautelare la astratta confiscabilità del bene può essere esclusa solo quando appare “ictu oculi” insussistente (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 1298 del 08/07/1992, Cocchi, Rv. 191819, secondo cui solo nel caso in cui “ictu oculi” sia da escludersi, alla stregua delle risultanze processuali conseguite o in base alle norme giuridiche, rispettivamente la sussistenza di una qualsiasi fattispecie criminosa oppure la confiscabilità delle cose, il sequestro si rivela illegittimo).
3.5. La confisca facoltativa è consentita anche in caso di formale titolarità della cosa in capo ad un soggetto estraneo al reato se costui abbia tenuto atteggiamenti negligenti che hanno favorito l’uso indebito del bene (Sez. 3, n. 2024 del 27/11/2007, Familio, Rv. 238590; Sez. 6, n. 37888 del 08/07/2004, Sulika, Rv. 229984, secondo cui in tema di confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240 comma primo cod. pen., l’applicazione della misura è esclusa quando la cosa destinata a commettere il reato appartenga a persona estranea al reato stesso, ma l’onere di provare una siffatta preclusione grava sull’interessato, il quale dunque deve documentare, oltre alla titolarità del diritto vantato, l’estraneità al fatto e la buona fede, intesa quest’ultima come esclusione di atteggiamenti negligenti che abbiano favorito l’uso indebito della cosa. Ne consegue che, quando non risultino chiarite le circostanze in base alle quali l’autore del fatto ha potuto destinare la cosa alla commissione dell’illecito, la confisca del bene è legittima; Sez. 2, n. 46517 del 27/09/2017, n.m.; Sez. 4, n. 33763 del 23/05/2017, n.m.; Sez. 6, n. 28705 del 19/03/2012, n.m.).
3.6. Tali principi sono applicabili, a maggior ragione, anche ai casi di confisca obbligatoria.
3.7. Costituisce principio giurisprudenziale consolidato che la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per la consumazione del reato di cui all’art. 256, è obbligatoria, ai sensi dell’art. 259, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, anche se il mezzo è di proprietà del terzo estraneo (individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell’illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati) che non provi la sua buona fede, ovvero che l’uso illecito della “res” gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente (Sez. 3, n. 12473 del 02/12/2015, Liguori, Rv. 266482; Sez. 3, n. 18515 del 16/01/2015, Ruggeri, Rv. 263772; Sez. 3, n. 46012 del 04/11/2008, Castellano, Rv. 241771; Sez. 3, n. 26529 del 20/05/2008, Torre, Rv. 240551; Sez. 3, n. 33281 del 24/06/2004, Datola, Rv. 229010).
3.8. Il fatto che nei confronti del terzo non venga esercitata l’azione penale costituisce pertanto argomento contraddittorio e infondato poiché il terzo è tale proprio perché nei suoi confronti non viene esercitata l’azione penale e ciò nondimeno la cosa di sua proprietà può essere confiscata se ricorrono le condizioni indicate ai capoversi che precedono.
3.9. L’ordinanza impugnata fa pertanto buon governo dei principi sin qui esposti avendo sostanzialmente escluso la sussistenza di elementi tali da rendere “ictu oculi” evidente la buona fede della richiedente (rimandando sul punto, sia pur con linguaggio non propriamente corretto, <<all’esito del giudizio che neghi la responsabilità>>) ed avendo correttamente evitato di confondere le ragioni cautelari della revoca del sequestro dell’area utilizzata per l’illecito conferimento dei rifiuti con quelle della oggettiva confiscabilità del mezzo di trasporto utilizzato.
3.10. Le censure sollevate sul punto dalla ricorrente sono del tutto generiche: non è sufficiente dedurre, in questa sede, la propria buona fede, la bonifica del sito sul quale erano stati depositati i rifiuti e l’essere estranea al processo. Si tratta, come detto, di argomenti generici e non risolutivi. Quanto alla buona fede, la ricorrente avrebbe dovuto indicare nel ricorso quali specifici e decisivi argomenti erano stati devoluti al Tribunale dell’appello cautelare a sostegno dell’appello avverso la decisione del G.i.p., che aveva ritenuto <<ancora sussistenti le ragioni poste a fondamento del provvedimento impositivo>>, ed il cui esame è stato omesso.
3.11. Anche l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento cautelare, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011; Sez. 1, n. 48253 del 12/09/2017, Serra, n.m.; Sez. 3, n. 38026 del 19/04/2017, De Cicco, n.m.; Sez. 3, n. 38025 del 19/04/2017, Monti, n.m.).
3.12. In tal caso, però, sarebbe stato onere della ricorrente: a) allegare al ricorso l’argomento dirimente di cui eccepisce l’omesso esame; b) dare prova della sua effettiva devoluzione al tribunale dell’appello cautelare; c) spiegarne la natura decisiva alla luce della limitata cognizione del giudice della cautela (cui, per le ragioni già indicate, non può essere demandato un giudizio pieno sulla sussistenza dei presupposti della confisca).
3.13. La ricorrente non ha assolto a tali oneri.

1. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 04/12/2017.

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