Rifiuti. Misure in sicurezza d’emergenza. Proprietario dell’area. Responsabile dell’nquinamento. TAR Toscana.

N. 00739/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01924/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1924 del 2010, proposto da:
Sa.Ge.Van Marmi s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Mario Pilade Chiti, con domicilio eletto presso Mario Pilade Chiti in Firenze, Via Lorenzo il Magnifico n. 83;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliata in Firenze, Via degli Arazzieri 4;
Comune di Carrara in persona del Sindaco pro tempore, Provincia di Massa Carrara, Regione Toscana Dipart. Politiche Territoriali e Ambientali, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Toscana Direzione Provinciale Massa Carrara Agenzia Sviluppo Industriale Asi s.p.a., Bnp Paribas Lease Group s.p.a., non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– della nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione generale per la tutela del Territorio e delle risorse idriche del 5.8.2010;

– di ogni altro atto connesso, conseguente o presupposto, ancorché incognito alla ricorrente ed in particolare, del parere dell’ARPAT Direzione Provinciale Massa Carrara del 17.10.2008 in parte qua prescrive l’esecuzione, da parte della ricorrente di controlli della falda, attrezzando idonei piezometri;

– per quanto occorrer possa, stante che, ad avviso della ricorrente, essi non hanno contenuto immediatamante prescritto e quindi lesivo per la Sagevan, di tutti i verbali delle conferenze dei servizi istruttorie e decisorie tenutesi presso il MATTM con riferimento al sito in cui ricade l’attuale proprietà della ricorrente e dei decreti del Direttore Generale della Direzione Generale per la qualità della vita, con particolare riferimento:

a) al verbale della conferenza dei servizi del 7.10.2003 e all’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati o al verbale della conferenza dei servizi del 4.8.2004 e dell’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati;

b) al verbale della conferenza dei servizi del 9.11.2004 e all’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati;

c) ai verbali della conferenza dei servizi del 24.3.2005, 28.7.2005, 22.12.2005, 30.3.2006, 28.4.2006 e al decreto di loro approvazione prot. n. 3622/QdV/Di/B del 18.5.2007 con relativi allegati;

d) ai verbali della conferenza dei servizi del 4.10.2006 e del 13.12.2006 e al relativo decreto di approvazione prot. n. 3623/QdV/Di/B del 18.5.2007 con relativi allegati;

e) al verbale della conferenza dei servizi del 26.6.2007 e all’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati;

f) al verbale della conferenza dei servizi del 30.10.2007 e al decreto di approvazione prot. n. 4307/QdV/Di/B del 28.12.2007 con relativi allegati;

g) al verbale della conferenza dei servizi del 11.6.2008 e all’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati o al verbale della conferenza dei servizi del 10.2.2009 e del relativo decreto di approvazione prot. 8107/D.d.V./DI/B del 2.3.2009 e relativi allegati;

h) al verbale della conferenza dei servizi del 22.1.2010 e all’eventuale decreto di approvazione con relativi allegati;

nonché per il risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla ricorrente a causa ed in conseguenza dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, nella misura che sarà quantificata in corso di causa o che sarà ritenuta di giustizia.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’odierna ricorrente opera nel settore della lavorazione e trasformazione di materiali lapidei; la stessa è attualmente proprietaria di un’area sita in Carrara loc. Avenza, ove è collocata la sede della società, oltre al capannone per la trasformazione dei marmi ed i locali adibiti ad uffici amministrativi.

Tale area era nella disponibilità di Sa.ge.van fin dal marzo 1998, in forza di un contratto di locazione finanziaria sottoscritto con la Locafit s.p.a., la quale aveva acquistato il bene dalla ASI s.p.a. originaria proprietaria dell’intero comparto Italiana Coke; nel 2002 la ricorrente ha poi riscattato il bene concesso in locazione finanziaria, divenendone proprietaria.

La suddetta area corrisponde ai lotti di terreno originariamente contraddistinti dai nn. 10 e 11 del sito denominato ex Italiana Coke, oggi interamente ricompreso nel più ampio S.I.N. (Sito di interesse Nazionale) di Massa-Carrara, istituito con l. 426/1998 (e successivamente perimetrato con d.m. 21 dicembre 1999).

Nel corso dell’anno 2008, la ricorrente inoltrava all’Amministrazione Comunale di Carrara apposita richiesta per il rilascio di autorizzazione alla realizzazione ed installazione di una tettoia ad uso deposito e stoccaggio materiali nell’area scoperta di sua proprietà.

In sede di rilascio del parere di competenza in merito alla suddetta richiesta, A.R.P.A.T. esprimeva parere favorevole con prescrizioni; tali prescrizioni avevano ad oggetto, per quanto qui rileva, l’esecuzione, a cura della società ricorrente, di un controllo della falda mediante idonei piezometri. Tale prescrizione trovava il proprio fondamento nella premessa del suddetto parere, in cui si precisava che la ditta in oggetto non aveva provveduto in precedenza a <<quanto richiesto nelle conferenze di servizi presso il MATTM per quanto riguarda gli accertamenti sulle acque di falda>>.

Ritenendo che si trattasse di una svista dell’Ufficio competente dell’A.R.P.A.T. (non essendo l’odierna ricorrente compresa tra le ditte destinatarie delle richieste delle conferenze dei servizi tenutesi negli anni presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed essendo il sito ormai bonificato), la ricorrente avanzava al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un’istanza espressamente volta a chiarire l’erroneità della prescrizione dell’ A.R.P.A.T.

Con nota 5 agosto 2010 prot. n. 20269/Tri/Di, il Direttore della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, pur premettendo che l’area di proprietà della ricorrente era effettivamente bonificata e precisando che la presenza di sostanze nocive in concentrazione superiore alla soglia era stata riscontrata in aree diverse da quella della ricorrente (ma, pur sempre, ricadenti all’interno del sito della ex Italiana Coke), riteneva di poter confermare <<la richiesta formulata da A.R.P.A.T. di eseguire il controllo della falda attrezzando idonei piezometri>>, preannunciando altresì, nell’ipotesi di conferma del superamento dei valori limite anche nell’area della ricorrente, la necessità di adottare <<idonei interventi di messa in sicurezza d’emergenza finalizzati ad impedire la diffusione delle acque di falda contaminate all’esterno dell’area in oggetto e verso il bersaglio costituito dal mare>>.

La società ricorrente impugnava il provvedimento sopra richiamato e gli atti presupposti per: 1) violazione e/o falsa applicazione d.lgs. 152/2006, art. 73 e 250, eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, violazione del principio di proporzionalità; 2) violazione e/o falsa applicazione d.lgs. 152/2006, art. 240, dell’art. 174 Trattato UE, violazione del principio di proporzionalità, difetto di motivazione e illogicità manifesta, disparità di trattamento; 3) eccesso di potere per travisamento dei fatti e manifesta illogicità, violazione artt. 242, 244, 250 e 253 del d.lgs. 152/2006, violazione e/o falsa applicazione art. 7 l. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione dei principi del contraddittorio e di partecipazione al procedimento amministrativo; 4) eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, disparità di trattamento, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 242 del d.lgs. 152/2006 e del principio di proporzionalità e sostenibilità dei costi; 5) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 22 del 1997 sotto altro profilo, dell’art. 9 del d.m. 471/1999, dell’art. 51 bis del d.lgs. 22/1997 e dell’art. 114, 7° comma della l. 388/2000, degli artt. 240 e ss. del d.lgs. 152/2006, dell’art. 3 della l. 241 del 1990, eccesso di potere per assenza assoluta di motivazione, violazione e/o falsa applicazione artt. 174 Trattato UE; con il ricorso era altresì richiesto il risarcimento (mai quantificato in corso di causa) dei danni derivanti dagli atti impugnati.

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, con comparsa di mera forma.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2016 il ricorso passava quindi in decisione.

DIRITTO

L’azione di annullamento è fondata e deve pertanto essere accolta.

La problematica dell’attuale conformazione del principio “chi inquina paga” dopo l’intervento di Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534 è stata recentemente affrontata dalla Sezione con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 1676, che può essere richiamata, anche in funzione motivazionale della presente decisione: <<la problematica è già stata affrontata dalla Sezione con numerose decisioni (T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666), spesso rese con riferimento al S.I.N. di Massa-Carrara …(che così hanno concluso): “come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare (cfr., ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; id., 6 maggio 2009, n. 762), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l’art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (cfr., nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L’Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è conforme al principio “chi inquina, paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l’addossamento dell’obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell’inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell’area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).

Va precisato, in argomento, che il principio “chi inquina, paga” vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d’emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall’art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l’adozione delle misure di messa in sicurezza d’emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell’inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).

Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell’ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso – e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448)……Del resto, l’obbligo di procedere alla bonifica dell’area non potrebbe neanche essere desunto, come preteso dagli atti impugnati, dall’applicazione della previsione dell’art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode); a prescindere da ogni considerazione relativa all’aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l’accertamento della qualità di custode dell’area al momento dell’inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

In buona sostanza, si tratta pertanto di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall’art. 2051 c.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi” (T.A.R. Toscana, sez. II, 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666).

L’impostazione seguita dalla Sezione è poi stata pienamente confermata, sotto il profilo del diritto interno, dall’ordinanza 25 settembre 2013 n. 21 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (resa proprio sugli appelli proposti sulle sentenze 19 ottobre 2012 n. 1659, 1664 e 1666 della Sezione), che ha così concluso: “emerge, quindi, come l’orientamento interpretativo di gran lunga prevalente escluda la possibilità per l’Amministrazione nazionale di imporre al proprietario non responsabile della contaminazione misure di messa in sicurezza d’emergenza o di bonifica del sito inquinato. A tale indirizzo, l’Adunanza Plenaria ritiene di dover dare continuità, in quanto esso, alla luce delle considerazioni già svolte, esprime l’unica interpretazione compatibile con il tenore letterale delle disposizioni in esame”.

Sotto il profilo del diritto comunitario, la soluzione è poi stata confermata da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534 (resa sul rinvio pregiudiziale operato da Cons. Stato, ad plen. ord. 25 settembre 2013 n. 21) che ha rilevato come “l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE non p(ossa) essere invocato dalle autorità competenti in materia ambientale per imporre misure di prevenzione e riparazione in assenza di un fondamento giuridico nazionale” (punto n. 41 della motivazione) e ricapitolato, sulla base della propria precedente giurisprudenza, le condizioni di applicabilità della direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale); in particolare le condizioni di applicabilità della dir. 21 aprile 2004, n. 2004/35/CE sono state individuate:

a) nel fatto che l’”evento o … incidente” fonte di inquinamento si sia verificato il 30 aprile 2007 o successivamente (punto n. 44 della motivazione);

b) nella possibilità, al fine del riconoscimento della responsabilità oggettiva, di riportare l’autore dell’inquinamento alla tipologia di operatore ed alle lavorazioni previste dall’Allegato III alla direttiva (punto n. 53);

c) nel riconoscimento (in aggiunta o in sostituzione dell’elemento riportato alla lettera precedente, in questo caso con riferimento alla responsabilità da dolo o colpa) della sussistenza di un nesso causale tra le attività svolte e l’inquinamento (punti 54 e ss. della motivazione)>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 9 dicembre 2015, n. 1676).

Nel caso di specie, l’Amministrazione resistente non ha depositato in giudizio alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l’imposizione, a carico dell’odierna ricorrente, degli obblighi di controllo ambientale (mediante installazione dei piezometri) e di messa in sicurezza; per di più, la semplice lettura del provvedimento impugnato evidenzia come la conferma dell’obbligo d’installazione dei piezometri derivi sostanzialmente dalla qualità sopravvenuta di proprietario dell’area e non di responsabile dell’inquinamento e come non sia stato effettuato alcun accertamento in ordine alla sussistenza dei tre requisiti della responsabilità richiamati da Corte giust. UE, sez. III, 4 marzo 2015 n. 534.

In ogni caso, non sono poi state contestate, in punto di fatto, le affermazioni di parte ricorrente relative all’acquisizione della proprietà dell’area in un momento successivo, non solo all’inquinamento, ma anche alla bonifica dell’area; le stesse possono pertanto essere considerate oggetto di ammissione giudiziale ex art. 64, 2° comma c.p.a. e pertanto utilizzate dalla Sezione per la decisione della fattispecie.

Del resto, il provvedimento impugnato sarebbe comunque viziato anche per violazione del principio del contraddittorio, come già rilevato dalla Sezione, con la sentenza 3 marzo 2010, n. 594, resa con riferimento ad altro lotto ricadente nel comparto dell’ex Italiana Coke; <<invero, con una recente decisione (T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 maggio 2009, n. 762) questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che, nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la P.A. consenta ai soggetti destinatari delle prescrizioni dettate dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento (articolato in una o più Conferenze di Servizi, istruttorie e decisorie). Ciò, quantomeno, con riguardo alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell’area in esame e che poi sfociano nelle determinazioni assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria. È evidente, infatti, che l’onerosità degli obblighi imposti agli interessati impone di instaurare con questi ultimi un ampio contraddittorio. Del resto, è pacifica in giurisprudenza l’affermazione che l’attività istruttoria del procedimento di bonifica deve prevedere la partecipazione del soggetto interessato; in particolare, gli accertamenti analitici vanno eseguiti in contraddittorio (v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488).

Sotto quest’ultimo profilo, non si potrebbe ribattere che lo stato di contaminazione dei suoli forma oggetto di un accertamento tecnico, avente natura di attività vincolata, per il quale, quindi, non sono invocabili i principi in tema di giusto procedimento di cui alla l. n. 241/1990. Né potrebbe obiettarsi che incombe sulla ricorrente fornire un principio di prova per far ritenere che i rilevamenti effettuati dalla P.A. non siano stati corretti: principio di prova non fornito nel caso in esame.

In contrario, si richiama la giurisprudenza poc’anzi indicata, secondo cui, nell’attività istruttoria del procedimento di bonifica, il contraddittorio procedimentale si appalesa necessario in particolare per gli accertamenti analitici (v. T.A.R. Lombardia, Sez. I, n. 1913/2007, cit.): ciò, atteso che l’onere di effettuare gli accertamenti in contraddittorio con le parti interessate risponde ad evidenti ragioni di trasparenza e pubblicità, principi del diritto vivente cui la P.A. si deve uniformare in ogni momento della propria azione, oltre che all’interesse pubblico all’imparzialità dell’azione amministrativa. Va poi rilevato che, ad avviso di altra giurisprudenza, in materia sarebbe applicabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., secondo cui, qualora, nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti, si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, l’organo procedente deve, anche oralmente, dare avviso all’interessato dell’ora e del luogo di effettuazione delle analisi, in funzione del diritto dello stesso di presenziare a queste, di persona o tramite persona di fiducia da lui designata, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico (cfr. T.A.R., Lombardia, Sez. I, 11 novembre 2003, n. 4982, che, in proposito, ricorda l’orientamento della Cassazione, per cui la disposizione è applicabile anche alle analisi di campioni finalizzate a verificare l’esistenza di illeciti puniti con sanzioni amministrative)>> (T.A.R. Toscana, sez. II, 3 marzo 2010, n. 594).

In definitiva, l’azione di annullamento deve pertanto essere accolta e deve essere disposto l’annullamento degli atti impugnati; l’azione risarcitoria deve, al contrario, essere rigettata per assoluto difetto di prova del pregiudizio subito.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’azione impugnatoria, come da motivazione e, per l’effetto, dispone l’annullamento della nota 5 agosto 2010 prot. n. 20269/Tri/Di del Direttore della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

b) rigetta l’azione risarcitoria, come da motivazione.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

 Saverio Romano, Presidente

Luigi Viola, Consigliere, Estensore

Alessandro Cacciari, Consigliere

Depositata in segreteria il 29 aprile 2016