Rifiuti. Nozione oggettiva di rifiuto. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. III n. 48316 del 16 novembre 2016 (ud. 11 ottobre 2016)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci
Rifiuti. Nozione oggettiva di rifiuto. Art. 260 d. lgs. 152/2006.

Secondo principi generali ormai consolidati, deve ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale.  E’ evidente che, nel caso di specie, la eterogeneità dei materiali e le condizioni in cui venivano detenuti evidenziano la loro natura di rifiuto nonché la circostanza che l’originario detentore se ne era disfatto e, dunque, non rileva che detti materiali fossero, almeno in parte, suscettibili di riutilizzazione economica, poiché tale evenienza non esclude comunque la loro natura di rifiuto.

In tema di rifiuti è da escludere il deposito temporaneo in assenza di uno dei presupposti richiesti dalla legge. Inoltre, lo stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Sicilia, di cui al d.p.c.m. 09/07/2010, riguarda la gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi, comprendendo, quindi, tutte le tipologie di rifiuto, ivi comprese quelle rinvenute nell’area nella disponibilità del ricorrente.

Cass. Pen., Sez. III, n. 48316 del 16 novembre 2016 (ud. 11 ottobre 2016)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 
sul ricorso proposto da LOMBARDO ANGELO nato il 24/06/1969 a PALERMO
avverso la sentenza del 07/04/2016 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICAUDIENZA del 11/10/2016, la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del PAOLO CANEVELLI che ha concluso per l’inammissibilità dl ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 7/4/2016 ha confermato la decisione con la quale, in data 29/1 /2015 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di quella città, a seguito di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità penale di Angelo LOMBARDO in relazione ai reati di cui agli artt. 6, lett. e) d.l. 172/2008, 110 cod. pen. e 260 d.lgs. 152\06, 44, lett. b), 93, 94 e 95 d.PR. 380\01, in relazione alla realizzazione di una discarica di rifiuti speciali, anche pericolosi, in un’area di 5.000 mq nella sua disponibilità, alla illecita gestione di ingenti quantitativi di rifiuti per fine di illecito profitto attraverso una rete di scambio commerciale, nonché per la realizzazione, in assenza di titolo abilitativo, in zona a rischio sismico, di due manufatti in muratura e legno rispettivamente di 104 e 40 mq (fatti accertati in Palermo il 25/10/2011 ).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. .
2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità per il reato di discarica abusiva, lamentando l’erronea lettura delle emergenze processuali e rilevando come i materiali presenti fossero in gran parte utilizzabili, sicché avrebbe dovuto ritenersi giustificata la loro presenza sul sito.
Aggiunge che i giudici del merito non avrebbero adeguatamente considerato le consulenze di parte e la relazione dell’ARPA ed altri elementi significativi, che avrebbero certamente condotto ad una ricostruzione dei fatti alternativa a quella effettuata nella sentenza impugnata ed osserva come, al più, la condotta addebitatagli avrebbe potuto configurare una ipotesi di deposito temporaneo.
Rileva, inoltre, l’inapplicabilità della disciplina emergenziale sui rifiuti al caso concreto, in quanto il decreto n.1534 del 13/10/2011 avrebbe disposto la proroga dello stato di emergenza con riferimento alla sola gestione dei rifiuti solidi urbani, speciali e pericolosi e non riguarderebbe “il settore della demolizione” ed afferma che l’area in questione sarebbe di proprietà esclusiva di altro soggetto.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06, rilevando che la Corte territoriale avrebbe affermato la sua responsabilità penale sulla base di una circostanza non vera, ritenendolo effettivo gestore del commercio di rifiuti, senza peraltro valutare le argomentazioni sviluppate dalla difesa.
4. Con un terzo motivo di ricorso svolge analoghe censure in ordine alle contestate violazioni urbanistiche, lamentando, ancora una volta, il travisamento delle risultanze processuali e l’omessa valutazione delle doglianze difensive.
5. Con un quarto motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione con riferimento alla determinazione della pena, che non terrebbe conto della positiva personalità dell’imputato, della sua incensuratezza e della assenza di rifiuti pericolosi tra quelli trattati.
6. Con un quinto motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivi, alla quale non potrebbe ottemperare essendo egli mero esecutore materiale degli interventi e non disponendo effettivamente dei manufatti, appartenenti ad altro soggetto.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.
Va rilevato, con riferimento al primo, al secondo ed al terzo motivo di ricorso, che gli stessi, oltre ad essere articolati in fatto, con richiami ad atti del processo non accessibili al giudice di legittimità e non suscettibili di autonomo apprezzamento in questa sede, affrontano le medesime questioni prospettate in primo grado e nel giudizio di appello e compiutamente affrontate dai giudici del merito in quelle sedi, con risposte adeguate alle doglianze difensive, sorrette da motivazione immune da cedimenti logici o manifeste contraddizioni.
In particolare, per ciò che concerne il reato di discarica abusiva, la Corte territoriale ha chiaramente indicato gli elementi fattuali sulla base dei quali ha ritenuto la natura di rifiuto dei materiali presenti sull’area, richiamando la documentazione fotografica ed il verbale di sequestro e dando atto della circostanza che detti materiali erano di diversa specie e natura  (si indica, infatti, la presenza di terra e pietre provenienti da scavi e demolizioni, RAEE, rottami ferrosi e legnosi, giornali, veicoli fuori uso non bonificati, parti di veicoli fuori uso, copertoni, stracci e alimenti) e potevano classificarsi quali rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi.
I giudici del gravame hanno inoltre preso in considerazione i contenuti della relazione redatta dall’ARPA. rilevando la correttezza della classificazione effettuata ed osservando, nel richiamare la decisione di primo grado, che la individuazione del rifiuto in termini probabilistici altro non poteva considerarsi se non la devoluzione all’autorità giudiziaria della qualificazione finale dei materiali.
2. Occorre rilevare, a tale proposito, che, come è noto, secondo la definizione datane nell’art. 183, comma 1, lettera a) d.lgs. 152\06, nell’attuale formulazione, deve ritenersi rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disti o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Tale definizione rispecchia quella contenuta nella direttiva comunitaria di riferimento ed è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla previgente disciplina (d.lgs. 22\97 e, ancor prima, d.P.R. 915\82).
E’ altrettanto noto che la corretta individuazione del significato del termine «disfarsi» ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, la quale ultima ha più volte chiarito alcuni concetti fondamentali, quali, ad esempio, la necessità di procedere ad una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli); di interpretare il verbo «disfarsi» considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti; di assicurare un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit).
Prescindendo dall’esaminare le diverse – note – posizioni, può qui rilevarsi come sia assolutamente certo che, secondo i principi generali ormai consolidati, debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale.
3. E’ evidente che, nel caso di specie, la eterogeneità dei materiali e le condizioni in cui  venivano detenuti evidenziano la loro natura di rifiuto nonché la circostanza che l’originario detentore se ne era disfatto e, dunque, non rileva che detti materiali fossero, almeno in parte, suscettibili di riutilizzazione economica, poiché tale evenienza non esclude comunque la loro natura di rifiuto.
Va peraltro rilevato che la Corte territoriale, ad ulteriore conferma della natura di rifiuto dei materiali depositati, ha posto in evidenza come lo stesso imputato avesse richiesto, nel corso delle indagini preliminari, il temporaneo dissequestro dell’area per procedere alla bonifica, poi solo in parte effettuata.
Il giudici di merito hanno dunque fondato la loro decisione su dati fattuali valutati in maniera giuridicamente corretta e senza incorrere nel vizio motivazionale denunciato.
4. Altrettanto correttamente è stata esclusa dalla Corte di appello la sussistenza del deposito temporaneo per la evidente assenza di uno dei presupposti richiesti dalla legge e, segnatamente, del raggruppamento dei rifiuti per categorie omogenee, ponendo il rilevo il fatto che gli stessi si trovassero ammassati alla rinfusa ed ” … accumulati, in maniera sistematica e ripetuta nel tempo, in guisa tale da determinare una situazione di degrado dell’area… ” così evidenziando, peraltro, un ulteriore elemento fattuale certamente rilevante ai fini della classificazione dei materiali quali rifiuti e, più in generale, della sussistenza della discarica abusiva.
5. La sentenza impugnata ha pure fornito adeguata risposta all’ulteriore rilievo difensivo concernente l’inapplicabilità, nel caso in esame, della disciplina emergenziale sui rifiuti.
Osservano, del tutto correttamente, a tale proposito, i giudici del gravame che lo stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Sicilia, di cui al d.p.c.m. 9/7 /2010, riguarda la gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi, comprendendo, quindi, tutte le tipologie di rifiuto, ivi comprese quelle rinvenute nell’area nella disponibilità del ricorrente.
6. Quanto all’individuazione dell’odierno ricorrente quale responsabile per i fatti oggetto di contestazione, i giudici di merito hanno chiaramente affermato, sempre sulla base delle emergenze processuali, che, sebbene l’area interessata dalle condotte illecite fosse di proprietà esclusiva della coniuge dell’imputato (Adriana SALERNO) e concessa in locazione ad una società della quale la donna era legale rappresentante, che detta società, la cui attività risultava iniziata il 13/10/2011, era la trasformazione della ditta individuale dell’odierno ricorrente, operante dal 1998 ed era di fatto gestita dal ricorrente stesso, come evidenziato dagli esiti delle operazioni di intercettazione effettuate, dalle dichiarazioni della stessa SALERNO ,la quale aveva testualmente riferito alla polizia giudiziaria: “nonostante la ditta è intestata a me, gestisce ogni genere di attività mio marito”. Si evidenzia, inoltre, nella sentenza impugnata, che lo stesso imputato, nel rendere anch’egli dichiarazioni alla polizia giudiziaria, pur dichiarandosi dipendente della società, aveva precisato di curare direttamente “ogni aspetto lavorativo”.
Sulla base delle medesime circostanze fattuali ed, in particolare, considerando il ruolo di effettivo dominus dell’imputato, i giudici del merito hanno ritenuto pienamente dimostrata la sua responsabilità anche in ordine alle contestate violazioni della disciplina urbanistica.
7. Anche il quarto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato e sostanzialmente ripetitivo di censure già sottoposte all’attenzione dei giudici dell’appello e da questi opportunamente affrontate, avendo costoro dato atto in sentenza del fatto che il diniego delle circostanze attenuanti generiche da parte del primo giudice risulta pienamente giustificato dalla presenza di un precedente penale anche specifico e dal negativo comportamento processuale, escludendo inoltre ogni rilievo all’attività di bonifica, solo parzialmente effettuata.
In ordine alla pena, la Corte territoriale pone invece l’accento sul fatto che la stessa risulta quantificata, per il reato più grave, in misura pari al minimo edittale, con un aumento minimale per la continuazione.
Tali argomentazioni risultano del tutto sufficienti a giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena e dei criteri di valutazione fissati dall’articolo 133 cod. pen., non essendo richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
8. A conclusioni non differenti deve pervenirsi per ciò che concerne il quinto motivo di ricorso.
Il ricorrente richiama, con riferimento alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, la condivisibile giurisprudenza di questa Sezione, secondo la quale essa può essere disposta soltanto con riferimento a colui che sia effettivamente legittimato rispetto all’ordine di demolizione, con esclusione, quindi di altri soggetti, quali l’esecutore materiale delle opere o il direttore dei lavori (cfr. ex pl. Sez. 3, n. 41051 del 15/9/2015, Fantaccini e altro, Rv. 264976).
Va tuttavia ricordato come, nell’affermare tale principio, si sia anche precisato che esso riguarda non soltanto il proprietario, ma anche colui che materialmente dispone delle opere e che, pertanto, può provvedere all’adempimento della condizione apposta alla concessione del beneficio, mentre per altri soggetti coinvolti, quali il direttore dei lavori o gli esecutori materiali, la possibilità di adempiere sarebbe necessariamente subordinata alla volontà del proprietario.
Ciò posto, deve rilevarsi come, nella fattispecie, la Corte territoriale, avendo dato atto delle circostanze fattuali e degli elementi probatori che riconducevano alla persona dell’imputato tutte le condotte illecite oggetto di contestazione, ha chiaramente evidenziato la sussistenza dei necessari presupposti per la subordinazione del beneficio alla demolizione delle opere di cui il ricorrente aveva la materiale disponibilità.
9. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 11.10.2016