Rifiuti. Nozione di rifiuto e qualificazione di sottoprodotto, applicazione di regime giuridico più favorevole, onere della prova. Cassazione Penale n. 6729/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 6729 del 12 febbraio 2018 (ud. del 22 novembre 2017)
Pres. Di Nicola, Est. Gai
Rifiuti. Nozione di rifiuto e qualificazione in sottoprodotto. Esclusione della natura di rifiuto. Applicazione di un regime giuridico più favorevole. Onere della prova. Fattispecie: “deposito temporaneo” e “sottoprodotto”. Artt. 183, 184-bis e 256 d. lgs n. 152/2006. Art. 6 L. n. 210/2008.
Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 152 del 2006, rifiuto è qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; salva la possibilità della diversa qualificazione in sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis, d. lgs. n. 152 del 2006, ricorrendone i rigorosi presupposti di legge. Peraltro, è onere del soggetto che ne invoca la possibile utilizzazione la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”. (Sez. 3, n. 16432 del 25/10/2016, Gaudino, Rv. 269750; Sez. 3,n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121). Nel caso in specie, i giudici del merito hanno argomentato la natura di rifiuti del materiale depositato non potendovi essere dubbio alcuno sulla volontà dismissiva tenuto conto dell’eterogenità dei beni e delle condizioni dei materiali stessi (cfr. batterie esauste e autocarri fuori uso).

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 6729 del 12 febbraio 2018 (ud. del 22 novembre 2017)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Mercuri Giuseppe, nato a San Calogero il 26/10/1977;
avverso la sentenza del 24/02/2017 della Corte d’appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 febbraio 2017, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia che aveva condannato, all’esito del giudizio abbreviato, Giuseppe Mercuri, alla pena mesi due e giorni 20 di reclusione, per il reato di cui all’art. 256 del d.lgs n. 152 del 2006 e art. 6 della legge n. 210 del 2008, perché depositava in modo incontrollato, all’interno di un’area privata annessa al cantiere di lavorazione di calcestruzzi gestito dal medesimo, un consistente quantitativo di rifiuti consistiti in batterie esauste, materiale ferroso, pneumatici per autocarro, quattro autocarri fuori uso, attrezzatura varia compresa un’idropulitrice, un compressore, vasche di contenimento di acque reflue derivanti dal ciclo di pulitura di autobotti. Fatto accertato il 28/04/2010.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso, Giuseppe Mercuri, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) per mancanza di motivazione in relazione alla natura di rifiuto del materiale depositato e della esclusione di riutilizzo del medesimo, e in relazione all’elemento soggettivo in capo all’imputato, oggetto di specifica censura nei motivi di appello, e sulla stessa attribuibilità della condotta di abbandono in capo all’imputato, non essendo stato accertato se l’accesso all’area fosse precluso agli estranei.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso appare inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati e generici.
5. Va preliminarmente osservato che, secondo quanto accertato in fatto dai giudici del merito e non contestato dal ricorrente, in un terreno di circa mq. 300 di pertinenza del cantiere di lavorazione di calcestruzzo, amministrato dal ricorrente, in esito a sopralluogo, erano stati rivenuti rifiuti pericolosi e non pericolosi, consistiti in batterie esauste, materiale ferroso, pneumatici per autocarro, quattro autocarri fuori uso, attrezzatura varia compresa un idro pulitrice, compressore, vasche di contenimento di acque reflue derivanti dal ciclo di pulitura di autobotti.
In tale accertato contesto fattuale giudici del merito hanno correttamente ritenuto la natura di “rifiuto” del materiale accumulato e ciò in quanto la stessa variegata tipologia di beni descritta nel capo di imputazione, alcuni dei quali assolutamente non riutilizzabili (batterie esauste e autocarri fuori uso) era assolutamente indicativa della natura di cose di cui il detentore intende disfarsi, rimanendo, l’assunto difensivo della possibilità di rimettere nel ciclo produttivo il materiale depositato, ancorato alla generica affermazione del possibile utilizzo del materiale stesso, sicchè il motivo è anche generico.
Peraltro, ricorda il Collegio che è onere del soggetto che ne invoca la possibile utilizzazione la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto” (Sez. 3, n. 16432 del 25/10/2016, Gaudino, Rv. 269750; Sez. 3,n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), onere per nulla assolto.
Come noto, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 152 del 2006, rifiuto è qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; salva la possibilità della diversa qualificazione in sottoprodotto, ai sensi dell’art. 184-bis, d. lgs. n. 152 del 2006, ricorrendone i rigorosi presupposti di legge. Nel caso in esame, i giudici del merito hanno correttamente argomentato la natura di rifiuti del materiale depositato non potendovi essere dubbio alcuno sulla volontà dismissiva tenuto conto dell’eterogenità dei beni e delle condizioni dei materiali stessi (cfr. batterie esauste e autocarri fuori uso). Da qui la manifesta infondatezza del vizio di motivazione dedotto.
6. Di carattere generico è l’ulteriore profilo di censura di omessa motivazione dell’elemento soggettivo e dell’attribuilità della condotta di abbandono in capo all’imputato che, come risulta dalla sentenza impugnata, era amministratore della società che gestiva l’impianto di lavorazione del calcestruzzo e tenuto conto che i rifiuti erano abbandonati nel cantiere medesimo.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 22/11/2017
Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 6729-2018