Rifiuti. Raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, ruolo del commerciante o dell’intermediario, assenza di autorizzazione, iscrizione o comunicazione. Cassazione Penale n. 15771/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15771 del 9 aprile 2018 (ud. del 11 gennaio 2018)
Pres. Ramacci, Est. Liberati
Rifiuti. Gestione illecita di rifiuti. Attività raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti. Operazioni collegate o di controllo. Fattispecie: Partecipazione come commerciante o intermediario. Nozione di deposito temporaneo di rifiuti. Presupposti e requisiti per la qualifica di: deposito preliminare, messa in riserva, discarica abusiva e abbandono. Art. 183, comma 1, lett. m), d. lgs. n. 152/2006. Attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti. Assenza dell’autorizzazione o iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente. Concorso integrato e non alternato. Art. 6, comma 1, lett. d), d. l. n.172/2008.
L’attività di gestione illecita di rifiuti, include, secondo la descrizione che ne è data dall’art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. 152/2006, la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario, in quanto lo smaltimento (cioè qualsiasi operazione diversa dal recupero) è una delle condotte che concorrono a configurare la gestione illecita di rifiuti, anche qualora vi si partecipi come commerciante o intermediario, come avvenuto nel caso di specie, nel quale l’imputato, dopo aver raccolto, trasportato e accumulato i rifiuti (tra l’altro rinvenuti in cumuli insistenti su tre diverse aree all’interno del fondo di cui l’imputato è usufruttuario, della superficie, rispettivamente, di 50, 30 e 20 metri quadrati), li trasportava in discarica.
Per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, cosicché, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono d rifiuti reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi).
In tema di rifiuti, le condotte descritte dall’art. 6, comma 1, lett. d), d.l. n. 172 del 2008, e cioè le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione comunicazione prescritte dalla normativa vigente, non sono tra loro alternative, non essendo descritte nel senso che la commissione di una escluda la verificazione o la ipotizzabilità dell’altra, cosicché è ben possibile che alcune o tutte di esse, in concreto, concorrano, posto che esse non sono tra loro ontologicamente incompatibili, essendo, anzi, tra loro logicamente concatenate, cosicché la contestazione che le contempli tutte non risulta né illogica né indeterminata.
Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15771 del 9 aprile 2018 (ud. del 11 gennaio 2018)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Talluto Sebastiano, nato a Caltanisetta il 4/11/1965;
avverso la sentenza del 16/3/2017 della Corte d’appello di Caltanisetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 marzo 2017 la Corte d’appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza del 10 ottobre 2014 del Tribunale di Caltanisetta, con cui, in esito a giudizio abbreviato, Sebastiano Talluto era stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 450,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 6, lett. d), n. 1, L. 30 dicembre 2008 n. 210 (ascrittogli per avere eseguito attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti non pericolosi di vario genere, tra cui materiali ferrosi derivanti dal recupero di vecchi elettrodomestici, telai di biciclette, brande, vasche da bagno, reti metalliche, lamiere, fusti metallici, in assenza delle prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni).
La Corte d’appello, nel disattendere il gravame dell’imputato, ha escluso che la condotta da questi posta in essere potesse essere qualificata come deposito temporaneo di rifiuti, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. m), d.lgs. 152/2006, escludendo il carattere temporaneo del deposito, e anche la rilevanza del dedotto errore dell’imputato sulle norme che disciplinano l’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti non pericolosi.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato violazione dell’art. 6 d.l. n. 172 del 2008 (convertito dalla l. n. 210 del 2008) e contraddittorietà della motivazione, riguardo alla configurabilità del reato previsto da tale disposizione, alla lett. d).
Ha, preliminarmente, lamentato la genericità e indeterminatezza della contestazione, evidenziando che le condotte indicate nella imputazione, ossia la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento, il commercio e l’intermediazione di rifiuti non pericolosi, sono tra loro alternative, sicché, per garantire il diritto di difesa dell’imputato, sarebbe stato necessario indicare quale tra dette condotte era stata in concreto posta in essere.
Ha denunciato anche la contraddittorietà tra la affermazione di responsabilità in ordine alla condotta di smaltimento di tali rifiuti, che consiste, secondo la definizione contenuta nel d.lgs. 152 del 2006, nel trattamento e deposito definitivo di rifiuti e scarti non ulteriormente valorizzabili, e l’esclusione della qualificabilità come smaltimento non autorizzato della propria condotta.
Poiché era titolare di autorizzazione alla raccolta di rottami metallici, che lo abilitava alle operazioni di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi, operazioni nelle quali rientra anche l’attività di raggruppamento di rifiuti per il loro trasporto, avrebbe dovuto essere esclusa la configurabilità del reato di gestione illecita di rifiuti ascrittogli, essendo compresa l’attività di raggruppamento dei rifiuti nella autorizzazione alla raccolta dei rottami metallici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, peraltro riproduttivo del primo motivo d’appello, è inammissibile.
2. E’ evidentemente insussistente, anzitutto, la denunciata genericità della contestazione, che, ad avviso del ricorrente, descriverebbe genericamente tutte le condotte previste dalla disposizione incriminatrice, omettendo di specificare quale tra esse, in concreto, sia stata posta in essere dall’imputato.
Le condotte descritte dall’art. 6, comma 1, lett. d), d.l. n. 172 del 2008, e cioè le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti in mancanza dell’autorizzazione, iscrizione comunicazione prescritte dalla normativa vigente, non sono, infatti, tra loro alternative, non essendo descritte nel senso che la commissione di una escluda la verificazione o la ipotizzabilità dell’altra, cosicché è ben possibile che alcune o tutte di esse, in concreto, concorrano, posto che esse non sono tra loro ontologicamente incompatibili, essendo, anzi, tra loro logicamente concatenate, cosicché la contestazione che le contempli tutte non risulta né illogica né indeterminata.
Sul piano descrittivo le condotte contestate sono state, poi, sufficientemente specificate, essendo stato indicato il luogo in cui i rifiuti ferrosi, dopo essere stati raccolti e trasportati, venivano depositati per essere accumulati e successivamente commerciati (un fondo sito in contrada Castello di Pietrarossa dell’agro di Caltanisetta), e anche l’oggetto materiale di tali condotte (vecchi elettrodomestici, telai di biciclette, brande, vasche da bagno, reti metalliche, lamiere, fusti metallici), e non vi è stato, dunque, alcun pregiudizio per le prerogative difensive dell’imputato.
Quest’ultimo, inoltre, nel corso del giudizio non ha sollevato rilievi di sorta sul punto, avendo, tra l’altro, ammesso di aver intrapreso l’attività di raccolta di rifiuti a causa della crisi del settore ortofrutticolo, e di aver iniziato a cercare rottami ferrosi, che, utilizzando un proprio veicolo, accumulava in un fondo di cui è usufruttuario, in attesa di portarli presso le discariche di Agrigento o Pedalino, cosicché, anche all’esito del giudizio, la contestazione è risultata pienamente corrispondente alle condotte in concreto poste in essere dall’imputato, che non risulta essere stato in alcun modo pregiudicato nell’esercizio delle sue prerogative difensive.
3. Tale accertamento ha determinato anche, del tutto correttamente, l’affermazione di responsabilità dell’imputato, essendo emerso il compimento di una vera e propria gestione illecita di rifiuti, posto che il loro accumulo nel fondo di cui l’imputato è usufruttuario non può essere qualificato come deposito temporaneo, possibile solamente nel luogo di produzione dei rifiuti medesimi.
Per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152 del 2006, cosicché, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo (cfr. Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384 ), ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come rifiuti non sono “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi).
Neppure vi è alcuna incompatibilità, come sostenuto nel ricorso, tra lo smaltimento e la contestata attività di gestione illecita di rifiuti, che comprende, secondo la descrizione che ne è data dall’art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. 152/2006, la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario, in quanto lo smaltimento (cioè qualsiasi operazione diversa dal recupero) è una delle condotte che concorrono a configurare la gestione illecita di rifiuti, anche qualora vi si partecipi come commerciante o intermediario, come avvenuto nel caso di specie, nel quale l’imputato, dopo aver raccolto, trasportato e accumulato i rifiuti (tra l’altro rinvenuti in cumuli insistenti su tre diverse aree all’interno del fondo di cui l’imputato è usufruttuario, della superficie, rispettivamente, di 50, 30 e 20 metri quadrati), li trasportava in discarica.
Risulta, pertanto, manifestamente infondata la doglianza del ricorrente circa l’incompatibilità logica tra l’attività di smaltimento e la contestazione di gestione illecita di rifiuti, posto che la prima costituisce una delle modalità di commissione della seconda.
4. li ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza delle doglianze cui è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/1/2018
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