RIFIUTI. Quando si verifica il reato di omessa bonifica e quali sono i rapporti con il piano di caratterizzazione e il progetto di bonifica? Cassazione Penale n. 17813/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17813 del 30 aprile 2019 (ud. del 15 novembre 2018)
Pres. Aceto, Est. Noviello

Rifiuti. Reato di omessa bonifica. Progetto di bonifica. Piano di caratterizzazione. Art. 242 e 257 d. lgs. n. 152/2006.

Il reato di cui all’art. 257 d. lgs. 152/06 è configurabile non solo allorquando chi sia tenuto alla bonifica non vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 e ss., bensì anche nell’ulteriore caso in cui addirittura impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione, necessario per predisporre il progetto di bonifica.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17813 del 30 aprile 2019 (ud. del 15 novembre 2018)

RITENUTO IN FATTO

1. Il giudice monocratico del Tribunale di Cosenza in data 31 marzo 2017 ha condannato Leonardi William alla pena di euro 2000 di ammenda, con beneficio della pena sospesa e della non menzione, in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 257 comma 1 in relazione all’art. 242 comma 7 del D. Lgs. n. 152 del 2006, perché, quale presidente del consiglio di amministrazione del Consorzio Intercomunale Valle Bisirico – consorzio da ritenersi soggetto responsabile dell’inquinamento quale ente proprietario e gestore della ex discarica sita in Località Foresta del Comune di Scigliano – in concorso con Maletta Paolo quale direttore tecnico, avendo ricevuto nel dicembre 2010 la nota prot. n° 3502 del 20.12.2010 del comune di Scigliano con cui li si notiziava degli esiti del piano di caratterizzazione e dei risultati del documento di analisi del rischio relativo alla citata ex discarica e, in particolare, che era emerso il superamento dei valori di concentrazione soglia rischio (csr) di contaminazione per il parametro manganese e triclorometano in relazione alle acque sotterranee, prescrivendo dunque l’avvio delle procedure di bonifica di cui all’art. 242 D.Lgs. n° 152/06, omettevano di predisporre il progetto di bonifica da sottoporre alla Regione Calabria e, conseguentemente, di procedere alla bonifica del sito della ex discarica. Con la stessa sentenza Maletta Paolo veniva assolto per non aver commesso il fatto.

2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso William Leonardi, prospettando tre motivi di impugnazione.

3. Con il primo deduce la violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 257 del D.lgs. 152/06 in relazione all’art. 242 comma 7 del medesimo Decreto. Rileva innanzitutto la violazione del principio di legalità in ragione dell’erronea estensione della norma incriminatrice, di cui all’art. 257 del D.lgs. 152/06, alla condotta di omissione della progettazione prodromica all’effettuazione della attività di bonifica, laddove alla luce della lettera della norma l’omessa progettazione esulerebbe del tutto dal settore di operatività della previsione incriminatrice. Deduce altresì la circostanza per cui l’art. 9 dello Statuto del consorzio disciplinerebbe i poteri per l’adozione di linee guida e per l’assunzione di impegni di spesa che farebbero capo esclusivamente all’assemblea, residuando in capo al Consiglio di Amministrazione ed al relativo Presidente solo il potere di porre in esecuzione le deliberazioni dell’assemblea oltre a quello di compiere atti di ordinaria amministrazione, che non annoverano impegni di spesa del valore di euro 100.000, corrispondente, nel caso concreto, al costo del progetto di bonifica che il ricorrente, secondo la sentenza impugnata, non avrebbe colpevolmente affidato. Nell’ambito del predetto vizio di violazione di legge sollevato, il ricorrente ha infine rappresentato la necessità di verificare se il Consiglio di Amministrazione avesse la concreta possibilità di redigere un progetto di bonifica da sottoporre – per l’approvazione – alla Regione Calabria, che avrebbe poi dovuto finanziarlo. Tanto alla luce di richiamate emergenze dibattimentali, non valorizzate dal giudice di primo grado, secondo cui il Consorzio non aveva risorse finanziarie adeguate per incaricare taluno della redazione del progetto. Ed invero, l’attribuzione di responsabilità effettuata dal giudice a carico del ricorrente, pur in presenza di siffatte circostanze idonee a dimostrare l’impossibilità per William Leonardi di assumere l’iniziativa progettuale che si imputa a titolo di omissione, integrerebbe la violazione del principio di ragionevolezza delle leggi.

4. Con il secondo motivo deduce il vizio di mancanza di motivazione e di illogicità e contraddittorietà della stessa ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. in quanto il giudice si sarebbe limitato ad affermare in capo al ricorrente la sussistenza di un obbligo di predisposizione del progetto di bonifica e ad addebitarne la sua omissione, evitando di considerare la dimostrata inesistenza di fondi disponibili e la relativa incidenza di tale circostanza sulle modalità che avrebbe dovuto seguire l’imputato nell’adempiere al proprio obbligo, giungendo altresì a formulare una decisione contraddittoria laddove, pur riportando in sentenza le dichiarazioni del teste Damiano – per cui non sussistevano i fondi necessari al progetto –, ha condannato l’imputato sul presupposto per cui costui era tenuto ad assicurare la redazione del progetto medesimo.

5. Infine, deducendo sostanzialmente il vizio di violazione di legge, eccepisce l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato: atteso che la norma di cui all’art. 257 citato prevede che entro sei mesi dalla notizia del superamento della «soglia di rischio» sia presentato il progetto di bonifica, consegue che a tale scadenza, da identificarsi secondo il ricorrente alla data del 20 giugno 2011, sarebbe cominciato a decorrere il termine di prescrizione. Maturato quindi ben prima del 31 marzo del 2017, data di pubblicazione della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
2. Occorre ripercorrere preliminarmente e brevemente la disciplina in tema di obblighi di bonifica penalmente rilevanti. L’art. 58 del D. Lgs. n. 152 del 1999, prevedeva che «chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del presente decreto provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui al D. Lgs. n. 22 del 1997, art. 17» e sanzionava con l’arresto e con l’ammenda l’inosservanza della disposizione anzidetta. Si richiedeva per la configurabilità del reato un danno o un pericolo di danno all’ambiente causato non da un qualsivoglia comportamento bensì dalla violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999 ossia, essenzialmente dalle violazioni delle disposizioni in materia di scarichi di acque reflue industriali (cfr. Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007 Rv. 238057 – 01 Schembri). Va aggiunto che a seguito delle modificazioni apportate con il D.Lgs. n.258 del 2000, per scarico doveva intendersi qualsiasi immissione tramite condotta di acque reflue, liquide o semiliquide nel suolo sottosuolo o rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante. Gli scarichi di reflui di cui il detentore si disfi senza versamento diretto tramite condotta o comunque senza una canalizzazione rientravano nella disciplina dei rifiuti di cui al Decreto Ronchi e non in quella sulle acque e potevano dare luogo o ad uno smaltimento di rifiuti o ad un abbandono degli stessi. In mancanza quindi di uno scarico, anche in tema di bonifica dei siti inquinati, non era applicabile la disciplina sulle acque bensì quella sui rifiuti (Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007 Rv. 238057 – 01 cit.).
2.1. A sua volta con l’art. 51 bis il D.Lgs. n. 22 del 1997 prescriveva che chiunque avesse cagionato l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’art. 17, comma 2, era punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da L. 5 milioni a L. 50 milioni se non provvedeva alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17. Si applicava la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da L. 10 milioni a L. 100 milioni in caso di inquinamento provocato da rifiuti pericolosi e, al comma 2 si precisava che chiunque avesse cagionato, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero avesse determinato un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, era tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali derivava il pericolo di inquinamento. Si è così osservato come dal raffronto emergesse che la fattispecie del D. Lgs. n.22 del 1997 aveva un ambito diverso e, per alcuni aspetti, più circoscritto e limitato rispetto a quella di cui al D. Lgs. n. 152 del 1999, art. 58, facendo riferimento non genericamente a un danno all’ambiente o ad un pericolo di inquinamento ambientale, bensì al superamento o al pericolo di superamento di limiti precisi specificati dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471. Inoltre, mentre, il decreto sulle acque del 1999 richiedeva che il danno o il pericolo di inquinamento ambientale fosse stato provocato da un comportamento omissivo o commissivo in violazione delle disposizioni del decreto stesso, l’articolo 17 comma 2, del Decreto Ronchi faceva discendere l’obbligo della bonifica anche se il fatto fosse stato cagionato in maniera accidentale.
2.2. Il D.Lgs. n. 152 del 2006, ha riprodotto in parte il contenuto delle predette norme. Il legislatore ha articolato la disciplina penale ed amministrativa della bonifica dei siti inquinati nel titolo V del D.Lgs. 152/06, in particolare con gli artt. 242 e ss., avendo riguardo oltre ai suoli, ed al sottosuolo, anche alle acque sotterranee e disponendo – con l’art. 242 cit. – che «al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304 comma 2». Il responsabile dell’inquinamento inoltre, deve svolgere anche, una volta attuate le citate misure di prevenzione, una preliminare indagine sui parametri oggetto dell’inquinamento e, «ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata dandone notizia con apposita autocertificazione al comune ed alla provincia» (art. 242 comma 2 cit.). Nel caso in cui invece, accerti l’avvenuto superamento delle anzidette concentrazioni, anche per un solo parametro, deve darne immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure adottate e, nei successivi trenta giorni, deve presentare alle amministrazioni predette ed alla regione competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’allegato n. 2 alla parte quarta del D.Lgs. 152/06. La segnalazione è dovuta a prescindere dal superamento delle soglie di contaminazione e la sua omissione è sanzionata dall’art. 257, che non punisce solo l’omessa bonifica ma anche l’omessa segnalazione.
2.3. Con particolare riferimento alla bonifica, quest’ultimo articolo punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, «chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni di soglia di rischio, […] se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti».
2.4. La struttura del reato richiede, quale indefettibile presupposto, la sussistenza dell’evento di danno dell’inquinamento, la cui configurazione implica l’accertato superamento (attraverso la complessa procedura stabilita dall’articolo 242 del T.U.A.) della concentrazione soglia di rischio (CSR) (che è un livello di rischio superiore ai livelli delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC)) (Sez. 3, n. 9794 del 20/11/2006, Montigiani, Rv. 235951; Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni; Sez. 3, n. 9492 del 29/01/2009 Rv. 243115, Capucciati).
Rispetto alla previgente fattispecie di cui all’art. 51 bis del D.lgs. 22/97, quella nuova di cui all’art. 257 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, è meno grave, essendo stata ridotta l’area dell’illecito ed attenuato il trattamento sanzionatorio. In particolare: a) mentre in precedenza l’evento del reato poteva consistere nell’inquinamento del sito o nel pericolo concreto ed attuale di inquinamento, l’art. 257 fa riferimento al solo evento di danno dell’inquinamento; b) per aversi inquinamento è ora necessario il superamento della concentrazione soglia di rischio (CSR), che costituisce un livello di rischio superiore rispetto ai livelli delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC); c) la sanzione penale è ora prevista con pena pecuniaria o detentiva alternativa, diversamente dalla precedente disposizione che prevedeva la pena congiunta (cfr. da ultimo Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016 Rv. 267843 Silva).
Si tratta, secondo talune pronunce della Suprema Corte, di un reato di evento a condotta libera o di un reato causale puro, nel quale l’evento incriminato è l’’inquinamento, cagionato da una qualsiasi condotta dolosa o colposa, la cui punizione è però subordinata all’omessa bonifica (configurata come condizione obiettiva di punibilità a contenuto negativo). Inoltre, secondo una lettura elaborata con riguardo al previgente art. 51 bis del Dlgs 22/97, ma che date le analogie strutturali tra i reati potrebbe, ove condivisa, riguardare anche l’attuale fattispecie di cui all’art. 257 in esame, una valutazione costituzionalmente orientata imporrebbe che sia l’inquinamento nel senso anzidetto, sia l’omessa bonifica, quale condizione intrinseca o impropria di punibilità, siano coperti dal principio di colpevolezza penale desumibile dall’art. 27, comma, 1 della Carta fondamentale. (cfr. Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 Rv. 235951 Montigiani; Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni, cit). In proposito, è stato precisato che la condizione obiettiva di punibilità “intrinseca” a contenuto negativo incide sull’interesse tutelato dalla fattispecie in quanto il mancato raggiungimento dell’obiettivo della bonifica determina un aggravarsi dell’offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice, già perpetrata dalla condotta di inquinamento (cfr. Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni, cit.). Secondo altro arresto di legittimità invece, è configurabile un reato omissivo di pericolo che si consuma ove il soggetto, a fronte della situazione d’inquinamento, inquadrata tra i presupposti di fatto del reato, non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate. Tale interpretazione, nell’ottica della richiamata sentenza, si presenterebbe più rispondente ai principi di offensività e di proporzionalità della pena, perché, attraverso il rafforzamento penalistico dell’effettività delle misure reintegratorie del bene offeso, si fa assumere all’interesse pubblico alla riparazione una connotazione particolare, che permea di sè il precetto e diviene esso stesso bene giuridico protetto (cfr. con illustrazione riguardante la precedente fattispecie dell’art. 51 bis del D.Lgs. 22/97, Sez. 3 , n. 1783 del 28.4.2000, Pizzuti, rv. 216585).
Conferma le medesime finalità ripristinatorie, seppure attraverso una diversa ricostruzione ermeneutica, distante rispetto alla suddetta tesi del reato omissivo, un ulteriore indirizzo di legittimità, secondo cui con l’entrata in vigore dell’art. 257 in esame la disciplina del reato già previsto ai sensi del citato articolo 51 bis del D.lgs. 22/97 non sarebbe sostanzialmente mutata, atteso che la struttura della fattispecie di cui all’art. 257 sarebbe «del tutto corrispondente a quella del precedente reato di cui all’art. 51 bis, […], poiché continua a prevedere la punibilità del fatto di inquinamento se l’autore ‘non provvede alla bonifica in conformità’ al progetto di cui all’art. 242 (in precedenza era previsto che la bonifica dovesse avvenire secondo il procedimento del corrispondente art. 17). Il che significava e significa che la bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed esclude la punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa (come è stato sempre pacifico anche in giurisprudenza)». Attraverso tale ricostruzione si è voluto sottolineare che «in sostanza il legislatore, proprio per agevolare la bonifica dei siti inquinati (secondo il principio “chi inquina paga” formalizzato testualmente in legge nell’art. 239 del nuovo codice ambientale, ma già esistente come tale anche nel cd. decreto Ronchi ) e quindi impedire la prescrizione del reato nei tempi estremamente brevi previsti per le contravvenzioni, insufficienti di regola per gli interventi di ripristino ambientale dei siti contaminati, ha strutturato il reato di cui si tratta come reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno, sempre fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un particolare interesse per l’autore dell’inquinamento — che non può invocare la prescrizione se non ha provveduto alla bonifica – ad attuare le condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato» (cfr. Sez. 1, n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti e altro,).
2.5. Quest’ultimo aspetto relativo al carattere permanente del reato è stato ribadito in altre pronunzie della suprema Corte. Infatti si è osservato che «si versa in ipotesi di reato di natura permanente anche dopo l’entrata in vigore della D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 242 e 257 […] – non bastando ai fini della interruzione della condotta il sequestro del sito inquinante, preordinato all’eliminazione del danno, ma occorrendo l’esecuzione di interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, condotte riparatorie – queste – previste anche dal nuovo testo unico D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art.247, che, ove poste in essere prima della pronuncia giudiziale, fanno venire meno la punibilità del reato» (cfr. Sez. 3, n. 11498 del 15/12/2010 (dep. 22/03/2011) Rv. 249743 Ciabattoni).
2.6. Costituisce un tema dibattuto in dottrina e giurisprudenza, rilevante nel caso di specie alla luce del primo motivo di impugnazione, quello della ricostruzione della condotta di omessa bonifica, con particolare riferimento alla necessità o meno che la stessa, per assumere rilevanza penale in rapporto all’art. 257 cit., presupponga o meno la previa redazione e adozione del progetto di bonifica ex art. 242 cit. In altri termini, si tratta di stabilire se l’obbligo di bonifica, a fronte della cui omissione sussiste la punibilità del responsabile dell’inquinamento del sito, sia o meno quello che si delinea solo di seguito all’ approvazione del citato progetto operativo della medesima (cfr. art. 242 comma 7 cit.). In tale ultimo senso si rinvengono diverse decisioni con cui la Suprema Corte ha rilevato come, a fronte della riformulazione della pregressa fattispecie criminosa (art. 51 bis del D. L. vo. 22/97) ai sensi del D. L. vo. 152/2006, si debba considerare che, mentre per il procedimento richiamato dal Decreto n. 22 del 1997, art. 51 bis, il reato era configurabile per la violazione di uno qualsiasi dei numerosi obblighi gravanti sul privato ex art. 17, con l’introduzione del Decreto n. 152 del 2006, art. 257, la consumazione del reato non può prescindere dall’adozione del progetto di bonifica ex art. 242 (cfr. Sez. 3, n.9492 del 29/01/2009 Rv. 243115 Capucciati; Sez. 3, Sentenza n. 17817 del 2012 Rv. 252616 Bianchi; nel medesimo senso Sez. 3, n. 22006 del 13/04/2010 Rv. 247651 Mazzocco e altri; Sez. 3, n. 18502 del 16/03/2011, Rv. 250304, Spirineo).
A tale orientamento che valorizza il dato letterale delle disposizioni (laddove l’art. 51 bis cit. stabiliva la punibilità di chi avesse cagionato l’inquinamento o un pericolo di inquinamento nel caso in cui non avesse provveduto «alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17 […]» del T.U.A, descrittivo di tutti i passaggi funzionali alla approvazione del progetto di bonifica, mentre l’art. 257 prevede la sanzione penale dell’autore dell’inquinamento «se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato […] nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti»), se ne contrappone un altro che valorizza un’interpretazione sistematica. Nell’ambito infatti di quest’ultimo indirizzo si è sostenuto che il reato in questione è configurabile non solo allorquando chi sia tenuto alla bonifica non vi provveda in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 e ss., bensì anche nell’ulteriore caso in cui addirittura impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione, necessario per predisporre il progetto di bonifica. Non si tratterebbe, in tal caso, di una non consentita interpretazione estensiva in malam partem né di un’applicazione analogica della norma penale incriminatrice, bensì «dell’unica interpretazione sistematica atta a rendere il sistema razionale e non in contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Invero […] sarebbe manifestamente irrazionale una disciplina che prevedesse la punizione di un soggetto che dà esecuzione al piano di caratterizzazione ma poi omette di eseguire il conseguente progetto di bonifica ed invece esonerasse da pena il soggetto che addirittura omette anche di adempiere al piano di caratterizzazione così ostacolando ed impedendo la stessa formazione del progetto di bonifica» (cfr. Sez. 3, n. 35774 del 02/07/2010 Rv. 248561, Morgante).
2.7. Quest’ultimo indirizzo è condiviso nelle sue conclusioni e motivazioni dal Collegio. Invero non pare discutibile, come rilevato da talune delle sentenze sopra richiamate, pur nella diversità dogmatica della ricostruzione della struttura del reato, che attraverso l’elaborazione delle fattispecie di cui all’art. 51 bis prima e dell’art. 257 poi, si sia voluto «agevolare la bonifica dei siti inquinati» così che secondo un già citato indirizzo si sarebbe strutturata la contravvenzione come « reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno, sempre fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria onde eliminare la punibilità del reato […]» (cfr. Sez. 1, n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti, cit.); per un altro indirizzo di legittimità «attraverso il rafforzamento penalistico dell’effettività delle misure reintegratorie del bene offeso, si fa assumere all’interesse pubblico alla riparazione una connotazione particolare, che permea di sè il precetto e diviene esso stesso bene giuridico protetto» (cfr. Sez. 3 , n. 1783 del 28.4.2000, Pizzuti, rv. 216585 cit.), ovvero «il mancato raggiungimento dell’obiettivo della bonifica determina un aggravarsi dell’offesa al bene tutelato dalla norma incriminatrice, già perpetrata dalla condotta di inquinamento» (cfr. Sez. 3, n. 26479 del 14/03/2007 Rv. 237134 Magni, cit.).
In altri termini, può cogliersi, in ordine alla fattispecie in esame, la condivisione del rilievo per cui il bene giuridico della tutela dell’ambiente contro particolari situazioni qualificate di contaminazione risulta “rafforzato” attraverso la valorizzazione di condotte riparatorie: così inteso, esso deve quindi guidare l’interprete verso la più corretta ricostruzione della norma.
2.8. Consegue che a fronte della tecnica di redazione della fattispecie in esame, che tipicizza il fatto di reato anche attraverso il riferimento a “fonti” esterne, ovvero, nello specifico, ad un elemento normativo extrapenale quale la bonifica, sotto il profilo della relativa omissione, quest’ultima, alla luce delle suesposte finalità di tutela perseguite dalla norma, non può che intendersi in senso ampio, come riferita al complesso delle attività ed iniziative che il soggetto tenuto alla bonifica deve avviare a fronte dell’insorgere di tale obbligo; dovere che consegue all’avvenuto accertamento del superamento «di una o più delle concentrazioni soglia di rischio» (cfr. art. 242 comma 6 e ss del D.L.vo 152/06) e come tale impone all’interessato di attivarsi per pervenire al progetto operativo di bonifica, quale documento finale che stabilisce le corrette modalità di effettuazione della predetta attività di ripristino. Cosicchè, il mancato rispetto dell’obbligo dovrà ritenersi integrato, in conformità al già citato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Sez. 3, n. 35774 del 02/07/2010 Rv. 248561, Morgante), sin dall’omissione di qualsivoglia condotta funzionale alla redazione e approvazione del progetto operativo degli interventi di bonifica di cui al comma 7 e ss. dell’art. 242 cit., piuttosto che restringersi alla mera omissione di bonifica a fronte dell’intervenuta approvazione del relativo progetto. Così ricostruita la fattispecie, deve ritenersi che la relativa permanenza decorre sin dalla configurazione della situazione di inquinamento «qualificata» di cui al comma 1 dell’art. 257 cit., mentre la punibilità «può essere fatta venire meno, fino alla sentenza di condanna, attraverso la condotta riparatoria» (cfr. Sez. 1, n.29855 del 13/06/2006 Rv. 235255 Pezzotti.); consegue che nella disposizione in esame il riferimento alla bonifica e alla sua conformità al progetto approvato assume una plurima portata: da una parte il richiamo alla bonifica assume il valore di rinvio sintetico, mediante elementi normativi extrapenali, alla più complessa e ampia procedura scaturente dall’avvenuto accertamento del superamento di taluna delle «concentrazioni soglia di rischio »; dall’altra, la indicazione della sua conformità al progetto approvato dall’autorità competente ai sensi dell’art. 242 e ss. citato, specifica le caratteristiche che devono rinvenirsi per ritenere l’attività di bonifica idonea ad escludere la punibilità del reato: non basta una qualsivoglia bonifica bensì quella conforme al progetto operativo emergente dalla procedura di cui agli artt. 242 e ss del T.U.A. Cosicchè il reato permane anche in caso di intervento eseguito in difformità da quanto formalmente pianificato (Sez. 3, n. 35774 del 2/7/2010, Morgante, Rv. 248571, cit.).
2.9. Quanto al soggetto responsabile della condotta, un punto nodale è dato dal caso in cui il sito inquinato sia riconducibile ad un ente. Invero l’art. 242 T.U.A. riferisce l’obbligo di attivare le procedure di bonifica al “responsabile” dell’inquinamento e tale obbligo grava sull’ente in virtù del rapporto organico con il soggetto in esso incardinato e della conseguente imputazione alla persona giuridica del suo comportamento e dei relativi obblighi, salvo che sia dimostrato che egli abbia agito di propria ed esclusiva iniziativa ed in contrasto con gli interessi della società. Mentre alla persona fisica dell’amministratore fa capo la responsabilità penale per i singoli atti delittuosi, ogni altra conseguenza patrimoniale non può non ricadere sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica abbia agito, con esclusione della sola ipotesi di rottura del rapporto organico, per avere il soggetto agito di propria esclusiva iniziativa. In sostanza, l’obbligo di bonificare è del soggetto collettivo, mentre, per la sua inosservanza, occorre distinguere tra il profilo patrimoniale, del quale risponde la società, e quello della responsabilità penale, che riguarda l’organo rappresentativo (cfr. Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016 Rv. 267842, Silva).

3. Tanto premesso, con riguardo al primo motivo di impugnazione riguardante l’inconfigurabilità del reato in essenza del progetto di bonifica di cui all’art. 242 comma 7 del T.U.A, emerge la relativa infondatezza, atteso che a fronte della verificata situazione di inquinamento «qualificato» di cui al primo comma dell’art. 257, riconducibile, in maniera incontestata, al Consorzio intercomunale “Valle Bisirico” oltre che ascritta penalmente all’imputato quale Presidente del relativo CDA, il reato in esame si perfeziona a partire da tale accertamento (con l’insorgere del correlato obbligo di bonifica), la cui permanenza sussiste sino all’eventuale bonifica conforme al progetto di cui agli artt. 242 e ss. del Decreto citato, purchè intervenuta prima della sentenza conclusiva del processo.
3.1. Manifestamente infondato è il vizio che, pur dedotto con il primo motivo di impugnazione – formalmente riferito al difetto di violazione di legge –, sostanzialmente è proposto in termini di motivazione illogica (tanto più che viene introdotto con la premessa per cui occorre «valutare se il ragionamento logico giuridico […] sia corretto»), con riferimento alla errata lettura dello statuto consortile, secondo cui il ricorrente, in qualità di Presidente del CDA del Consorzio medesimo, non sarebbe stato titolare di poteri di spesa necessari per procedere alla redazione del progetto di bonifica. Si tratta di un motivo proposto in maniera del tutto generica atteso che il ricorrente non ha supportato la sua tesi allegando al ricorso, come dovuto, lo statuto del Consorzio con il relativo articolo 9 citato, limitandosi, piuttosto, a riferirne l’avvenuta acquisizione agli atti del processo. Ed invero, è noto che in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (cfr. per tutte Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017 Rv. 270071 Schioppo). Ancor più specificamente, va considerato che il ricorso per cassazione con cui si contesti, come sostanzialmente fatto nel caso in esame, il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo (cfr. Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep. 14/03/2012) Rv. 252349 S).
3.2. Con riferimento all’ulteriore vizio di cui al primo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente ha infine rappresentato la necessità, per questo Collegio, di verificare se il Consiglio di Amministrazione avesse la concreta possibilità di redigere un progetto di bonifica da sottoporre – per l’approvazione – alla Regione Calabria, che avrebbe poi dovuto finanziarlo, con ritenuti riflessi di tale circostanza sull’esigibilità del comportamento ascritto all’imputato, se ne rinviene egualmente l’assoluta genericità oltre che l’inerenza a profili di fatto (sottratti a questo giudizio di legittimità), insita nella prospettazione di una non meglio specificata «verifica» affidata al giudice delle leggi, da svolgersi peraltro sulla base di atti dichiarativi e documentali non allegati.

4. Quanto al secondo motivo di impugnazione, riguardante l’omessa motivazione in ordine alla asserita assenza di risorse, va ricordato in principio già affermato con riferimento alla disciplina di cui al D.L.vo. 22/97 (cfr. Sez. 3, n.25926 del 21/03/2002 Rv. 222100 Di Giorgio) e che può rinvenirsi anche nell’attuale disciplina di cui al D.L.vo 152/206, atteso che sul punto non è stata introdotta alcuna innovazione: non esiste un principio di giustificazione di tipo economico nel sistema così disciplinato e quindi gli enti locali, così come, deve ritenersi, le loro promanazioni (tra cui può rinvenirsi un consorzio di comuni, come nel caso di specie, peraltro deputato alla gestione di una discarica cui si riconnette l’obbligo di bonifica in esame), hanno il dovere di dare priorità alle spese necessarie per gli adempimenti in materia di corretta gestione dei rifiuti e delle connesse attività, tra cui quella in esame. In questa materia dunque, per escludere la responsabilità dell’agente è necessario rinvenire una determinata causa di giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità (oggettiva o soggettiva) (cfr. in tal senso sez. 3, n. 4441 del 06/03/1996 Rv. 204423 Giffoni.). Consegue che le difficoltà economiche in materia di rifiuti non integrano causa di giustificazione e di non esigibilità. La gestione dei rifiuti e delle connesse e conseguenziali attività costituiscono infatti un’assoluta priorità, in quanto incidono su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico l’insufficienza delle risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre. Tanto più che nel caso in esame emerge da parte dell’imputato la titolarità di un ente consortile nascente dalla partecipazione di più comuni e su tutti (compreso l’ente esponenziale) incombe, attraverso i relativi organi, l’obbligo di gestione in via prioritaria della materia suddetta (cfr. in tal senso, seppure con riferimento ad un singolo comune e ad un suo sindaco, Sez. 3, n.2109 del 10/01/2000 Rv. 215527 Mucci P.).
Va aggiunto che nella sentenza impugnata l’argomento dedotto in questa sede viene congruamente esaminato e valutato, atteso che il giudice, evidentemente sottolineando l’obbligo di attivazione pur in caso di eventuale assenza di risorse, ha rilevato come in ordine alle iniziative asseritamente promosse dal ricorrente per reperire risorse finanziarie per il progetto di bonifica non fosse stata fornita alcuna prova, anche solo mediante la produzione di documenti da cui desumere l’attività in tal senso spiegata dall’imputato.
Deve quindi ritenersi infondato il motivo proposto sia a fronte della valutazione comunque operata dal giudice sia perché attinente un profilo che nell’economia della decisione assume un rilievo assolutamente inconferente.

5. Infondato è anche il terzo motivo, riguardante la prospettata intervenuta estinzione del reato a causa della maturata prescrizione. Invero la natura permanente del reato, come sopra evidenziato, esclude che al momento della sentenza impugnata avesse già cominciato a decorrere e fosse maturata la prescrizione.

6. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/11/2018.

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 3, sent. n. 17813-2019