RIFIUTI. Siti non idonei alla localizzazione di discariche in contesti ambientali tutelati dalle norme paesaggistiche. Definizione di “corsi d’acqua”. Consiglio di Stato n. 6013/2022.

Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 6013 del 14 luglio 2022 (ud. del 19 maggio 2022)

Pres. Poli, Est. Martino

Rifiuti. Siti non idonei alla localizzazione di discariche. Contesti ambientali tutelati. Allegato 1 punto 1.1. d. lgs. 36/2003. Art. 142 d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.

La prescrizione di cui all’Allegato 1 punto 1.1. d. lgs. 36/2003 secondo cui le discariche di rifiuti inerti “non possono essere collocate all’interno della fascia di rispetto di 150 metri da corsi di acqua” fa riferimento, complessivamente, quali siti non idonei alla localizzazione di discariche, alle “Aree, immobili e contesti tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”. Secondo l’art. 142 di tale decreto, formano oggetto di tutela ex lege, tra l’altro, “c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”. Pertanto la fascia di rispetto di 150 metri alla quale i ricorrenti fanno riferimento riguarda i corsi di acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche.

Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 6013 del 14 luglio 2022 (ud. del 19 maggio 2022)

06013/2022REG.PROV.COLL.

08189/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 8189 del 2021, proposto dai signori OMISSIS, Associazione OMISSIS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Vittorina Teofilatto e Daniela Terracciano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Teresa Chieppa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

della società OMISSIS, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Pizzutelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
di Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avvocato Angela Raimondo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Ciavarella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

della Città Metropolitana di Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sabrina Barra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima), n. 1903 del 16 febbraio 2021.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio, di Roma Capitale, della Città Metropolitana di Roma Capitale e della società OMISSIS;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il consigliere Silvia Martino

Uditi gli avvocati Vittorina Teofilatto, Antonio Ciavarella e Marco Pizzutelli;

Dato atto dell’istanza di passaggio in decisione depositata dall’avvocato Teresa Chieppa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

OGGETTO DEL GIUDIZIO

1. L’oggetto del presente giudizio è la valutazione positiva di compatibilità ambientale, espressa con determinazione della Regione Lazio – Direzione politiche ambientali – del 27 febbraio 2019 n. G02176, in ordine al progetto di un impianto di discarica per rifiuti inerti da realizzarsi sul terreno sito in Roma, località Tenuta di Castel Malnome (o Monte Carnevale), da parte della società NRG New Green Roma s.r.l.

IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.

1.2. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio (n.r.g. 5108/2019) alcuni cittadini e l’Associazione OMISSIS, impugnavano il provvedimento di VIA mediante l’articolazione di due complessi mezzi di gravame (da pag. 7 a pag. 33 del ricorso di primo grado).

1.3. L’impugnazione veniva successivamente estesa, con motivi aggiunti, al documento tecnico elaborato dai tecnici della Regione Lazio, Città Metropolitana di Roma Capitale e Roma Capitale, in attuazione dell’ ordinanza contingibile e urgente adottata in data 27 novembre 2019 dal Presidente della Regione Lazio, contenente gli elementi preordinati alla successiva individuazione di uno o più siti ovvero impianti sul territorio di Roma Capitale, da destinare a operazioni di smaltimento per i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti solidi urbani (codici EER 19.12.12, 19.05.01, 19.05.03), prodotti nel territorio di Roma Capitale.

2. Nella resistenza della Città metropolitana di Roma Capitale, di Roma Capitale, della Regione Lazio e della società controinteressata il T.a.r., con la sentenza n. 1903 del 16 febbraio 2021:

i) ha dichiarato il ricorso principale improcedibile, in parte per omessa impugnazione, da parte di alcuni dei ricorrenti, dell’autorizzazione ex 208 d.lgs. n. 152 del 2006 (autorizzazione integrata ambientale) successivamente rilasciata alla OMISSIS e comunque perché (relativamente ai ricorrenti OMISSIS, che avevano impugnato siffatta autorizzazione con separato ricorso iscritto al n.r.g. 1941/2020, successivamente respinto), essi non avevano comunque formulato, nell’ambito di tale distinto ricorso, censure di illegittimità derivata;

ii) ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti avverso il “documento tecnico” in quanto atto meramente endoprocedimentale;

ii) ha compensato tra le parti le spese di lite.

IL GIUDIZIO DI APPELLO

3. La sentenza è stata impugnata dal signor OMISSIS e consorti, rimasti soccombenti, attraverso tre complessi mezzi di gravame (da pag. 3 a pag. 38 dell’atto di appello).

4. Essi hanno anzitutto dichiarato di rinunciare ai motivi aggiunti con i quali era stato impugnato, in primo grado, il “documento tecnico” finalizzato all’individuazione della c.d. discarica di servizio.

5. Nel merito, il gravame avverso il provvedimento di VIA è affidato a plurime censure che possono essere così sintetizzate.

6. In primo luogo, gli appellanti hanno contestato il fatto che il T.a.r. non si sia esplicitamente pronunciato in merito all’impugnazione della Valutazione di incidenza ambientale, (VINCA), incorrendo così in un vizio di legittimità per violazione dell’art. 112 c.p.c..

In ogni caso la pronuncia violerebbe i principi europei e interni in materia di effettività della tutela giurisdizionale perché la declaratoria di improcedibilità è stata determinata esclusivamente da ragioni legate alla calendarizzazione delle udienze del T.a.r. che hanno comportato l’anticipazione della trattazione del giudizio relativo all’impugnazione dell’AIA.

L’autonoma impugnabilità della VIA è peraltro evenienza pacificamente ammessa dalla giurisprudenza e confermata dall’esistenza di specifiche disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, relative agli effetti derivanti dal suo annullamento in sede giurisdizionale (cfr., l’art. 29, comma 3).

1. Premessa la sussistenza degli elementi che, a loro dire, ne connoterebbero la legittimazione e l’interesse a ricorrere, gli appellanti hanno quindi riproposto i motivi articolati in primo grado, in relazione a ciascuno dei seguenti profili del progetto esaminati in sede di VIA e di VINCA.

Sull’ubicazione – vizi di legittimità.

La discarica di inerti progettata si trova ad una distanza di soli 300 metri dal SIC (Sito di interesse comunitario) “Macchia Grande di Ponte Galeria”, area ZPS (Zona protezione speciale), c.d. “core” ai sensi del PTPG (Piano territoriale provinciale generale) della Provincia di Roma, rispetto alla quale un uso compatibile potrebbe essere solo quello naturalistico o silvo –pastorale.

Il Dipartimento tutela ambientale di Roma Capitale ha evidenziato altresì, nella nota 2947 del 15 gennaio 2019, come il sito si trovi a 50 metri dal corso d’acqua indicato nell’elaborato della Rete Ecologica.

Risulterebbe pertanto violata la fascia di rispetto di 150 metri dai corsi d’acqua ai sensi dell’articolo 71 della NTA (Norme tecniche di attuazione) del PRG.

Sarebbe stato violato il punto 16.4.2. del Piano Rifiuti della Regione Lazio.

Anche l’eccessiva vicinanza delle case “sparse” avrebbe dovuto portare ad escludere la fattibilità del progetto, così come previsto dal punto 16.6 del medesimo Piano.

L’intervento occupa la fascia di rispetto da gasdotti e oleodotti.

La vicinanza di una installazione militare, quale il “Centro interforze di formazione intelligence”, non sarebbe stata correttamente valutata.

L’area è ricompresa, inoltre, nel Sistema ambientale e agricolo componente “Agro romano”, di cui agli artt. 68, 74 e 75 delle NTA del PRG e ricade nella componente primaria (aree “A”) che comprende “gli ecosistemi a più forte naturalità” (tale dato è rinvenibile dall’elaborato 4 “Rete ecologica” ed è stato dedotto da Roma Capitale nella nota prot. 89519 del 22 maggio 2017).

Il comma 7 dell’art. 72 delle richiamate disposizione del Piano regolatore generale prevede che nelle aree dell’Agro Romano sono escluse le “discariche di inerti (se non finalizzate al ripristino e recupero ambientale)”, come evidenziato dal Dipartimento Tutela Ambientale di Roma Capitale nella medesima nota.

Vi sarebbero poi insuperabili problemi di natura idrogeologica.

L’Allegato I punto 3.1. della direttiva 1991/31/CE prevede che una discarica deve essere realizzata mediante la combinazione della barriera geologica naturale e di un rivestimento.

Qualora la barriera geologica non abbia le caratteristiche necessarie, la barriera può essere completata con una barriera di confinamento.

Nella documentazione allegata dal proponente, come pure nello Studio di impatto ambientale, non vi sarebbe alcun preciso riferimento alla condizione della barriera geologica nell’area di collocazione della discarica secondo quanto prescritto, invece, dall’Allegato 1 del d.lgs. n. 36/2003 al punto 1.2.2., in attuazione della richiamata direttiva 1999/31.

Nel caso di specie, la barriera geologica non sarebbe più esistente, quale conseguenza dell’attività estrattiva e del conseguente affioramento della falda.

Questa criticità sarebbe stata evidenziata anche dalla Città metropolitana di Roma Capitale nel parere del 18 maggio 2017.

Vi sarebbero quindi evidenti violazioni dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 36/2003, punti 1.2.1 e 1.2.2 e delle corrispondenti previsioni punto 3.1. e 3.3. della direttiva 1999/31.

Vizi delle consultazioni

Non sarebbe stata data adeguata pubblicità alla convocazione della prima seduta della Conferenza dei servizi dell’11 aprile 2017.

Successivamente, la Regione Lazio non avrebbe tempestivamente messo a disposizione dei partecipanti tutta la documentazione utile e necessaria alle doverose ed obbligatorie consultazioni.

Sui vizi di istruttoria e motivazione dei provvedimenti impugnati.

La Regione Lazio avrebbe omesso nei provvedimenti impugnati di riportare le informazioni acquisite nell’ambito del procedimento, soprattutto quelle provenienti dal pubblico interessato e quelle provenienti dagli Enti che hanno espresso parere non favorevole all’attuazione del progetto.

Con riferimento, ancora, all’impatto sulla qualità delle acque superficiali, non sarebbe stata sufficientemente approfondita la questione dello scarico dell’impianto di trattamento del percolato sul fosso dell’impluvio di Valle della Sargia, che confluisce nel collettore generale situato a 2 km a sud dell’impianto.

Non sarebbero stati adeguatamente valutati gli impatti cumulativi derivanti dalla presenza, nella zona, di altri opifici industriali.

Non sarebbe altresì vero, come affermato nella determinazione impugnata, che non sia previsto consumo di nuovo suolo poiché il progetto prevede (cfr. pag. 45 della sintesi non tecnica) di modificare la superficie della cava mediante un ulteriore scavo di 16 metri rispetto all’attuale piano di campagna, nel quale dovrebbe essere collocata la vasca della discarica che dovrà ricevere 1.833.000 mc di presunti rifiuti inerti.

Lo studio di impatto ambientale, in asserita violazione del primo comma dell’allegato VII parte II lett. c) e d), al d.lgs. n. 152/2006, non prevede il quantitativo di roccia che dovrà essere consumata per l’ulteriore scavo.

Nemmeno sarebbe vero che non esistano impianti del genere nel quadrante occidentale del Comune di Roma.

III. Il terzo mezzo di gravame in appello riguarda la Valutazione di incidenza ambientale.

Il parere favorevole sarebbe viziato da illegittimità per violazione delle Linee guida stabilite dall’Unione europea in materia.

La normativa comunitaria, italiana, e regionale prescrivono che i rilievi debbano essere fatti in periodi particolari, secondo la specie e gli habitat coinvolti.

A pag. 13 della valutazione di incidenza, si legge che la ZSC contiene tre habitat (tabella 2) ed in particolare quelli contraddistinti dal numero 6220*, 91M0, e 9340.

L’allegato A delle linee guida regionali all’art. 6.4.3 prescrive che i rilievi sugli habitat 6220* e 9340 vanno eseguiti dal primo aprile al 30 maggio, sicché averli fatti a marzo, in un periodo precedente a quello prescritto, ne inficerebbe i rilievi.

Anche i dati relativi alle specie animali di interesse comunitario sarebbero deficitari, atteso che a pagina 23 della valutazione di incidenza, il proponente dichiara che, secondo quanto riportato nel formulario standard della ZSC “IT6030025” – Macchia Grande d Ponte Galeria”, gli animali di interesse comunitario sono solo quelli indicati nella tabella 8, senza però chiarire se i dati ivi indicati siano aggiornati.

Inoltre, secondo gli appellanti il proponente avrebbe avuto l’obbligo di valutare gli effetti su tutti gli animali indicati nel formulario standard della ZSC di Macchiagrande e non avrebbe potuto limitare la verifica soltanto a quelli indicati nella tabella 8.

Non sarebbero state rispettate le linee guida comunitarie, le quali prescrivono un periodo di osservazione di almeno cinque anni, che tenga conto anche delle stagioni.

In ogni caso la VINCA, in violazione del punto 2.5 delle guida metodologica redatta dalla Commissione Europea, nonché dell’articolo 5 comma terzo del d.P.R. n. 357 del 1997, non avrebbe adeguatamente approfondito gli effetti cumulativi, ed in particolare le problematiche connesse all’impianto di trattamento del percolato prodotto dalla discarica.

5. Si sono costituiti in giudizio la Città metropolitana di Roma, la società NGR, la Regione Lazio e Roma Capitale.

6. In data 21 ottobre 2021 l’esame dell’stanza cautelare è stato differito alla trattazione del merito. In tal sede, peraltro, l’istanza non è stata più coltivata da alcuna delle parti.

7. Gli appellanti e la società NGR hanno depositato memorie conclusionali in data 15 aprile 2022 e di replica in data 27 aprile 2022.

8. Nella memoria conclusionale, gli appellanti hanno formulato una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte UE, mediante tre quesiti relativi all’interpretazione della direttiva 2011/92 e dell’allegato 1 alla direttiva 1999/31/CE.

9. L’appello, infine, è passato in decisione alla pubblica udienza del 19 maggio 2019.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Il primo motivo dell’appello è fondato, per un duplice ordine di ragioni.

10.1. In primo luogo, è orientamento consolidato nella giurisprudenza amministrativa quello secondo cui la valutazione di impatto ambientale rappresenta un atto autonomamente impugnabile, sia nell’ipotesi in cui essa si concluda con esito negativo, sia che la medesima abbia un epilogo positivo; nel primo caso, invero, la natura immediatamente lesiva è più agevolmente percepibile, determinandosi un palese arresto procedimentale, sicché non potrebbe non riconoscersi al soggetto interessato alla positiva conclusione del procedimento un interesse autonomo e immediato all’impugnazione del giudizio negativo; nel secondo caso (esito positivo del procedimento) va, invece, valutata l’esistenza, in capo a terzi soggetti, di un interesse (contrario) al giudizio favorevolmente espresso dalla Pubblica amministrazione; in sostanza, gli atti conclusivi delle procedure di valutazione di impatto ambientale, pur inserendosi all’interno di un più ampio procedimento di realizzazione di un’opera o di un intervento, sono immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione dei valori ambientali, siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero cittadini residenti in loco (Cons. Stato, sez. IV, 13 settembre 2017, n.4327).

Di tale esegesi vi è un chiaro riflesso nelle disposizioni recate dall’art. 29 del c.d. codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006), secondo cui:

– i provvedimenti di autorizzazione di un progetto adottati senza la verifica di assoggettabilità a VIA o senza la VIA, ove prescritte, sono annullabili per violazione di legge (art.29, comma 1);

– l’eventuale annullamento in sede giurisdizionale dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei provvedimenti di VIA, è oggetto della specifica previsione del comma 3 della medesima disposizione, relativo ai termini e alle modalità della rinnovazione del procedimento di AIA.

10.2. Sotto un secondo profilo, la ragione di inammissibilità ravvisata dal T.a.r. è comunque oggi venuta meno, in quanto l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata alla società NGR è stata annullata per effetto della sentenza irrevocabile di questa sezione, n. 446 del 24 gennaio 2022, resa su ricorso in appello del Ministero della difesa.

10.3. Si evidenzia, infine, che la fondatezza del primo motivo di appello priva di rilevanza la prima richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia UE, formulata dagli appellanti, incentrata sull’interpretazione dell’art. 2 primo comma della direttiva 2011/92/CE.

11. Ciò posto, per effetto della proposizione dell’appello principale, è riemerso l’intero thema decidendum del giudizio di primo grado, eccezion fatta per i motivi aggiunti di primo grado, che sono stati rinunciati.

Pertanto, per ragioni di economia dei mezzi processuali e semplicità espositiva, secondo la logica affermata dalla decisione della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, il Collegio esaminerà direttamente i motivi originari posti a sostegno dei ricorsi di primo grado i quali perimetrano obbligatoriamente il processo di appello ex art. 104 c.p.a. (sul principio e la sua applicazione pratica, fra le tante, cfr. sez. IV, n. 1137 del 2020, n. 1130 del 2016, sez. V, n. 5868 del 2015; sez. V, n. 5347 del 2015).

12. È possibile prescindere dalle riproposte eccezioni pregiudiziali, articolate dalle parti resistenti, poiché il ricorso principale di primo grado è infondato nel merito e deve essere respinto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

13. Il primo ordine di questioni articolato in primo grado riguarda l’ubicazione della discarica.

13.1. Nessun rilievo può attribuirsi, in primo luogo, alla circostanza che all’interno del SIC “Macchia Grande di Ponte Galeria” siano consentiti solo usi naturalistici o silvo – pastorali.

Simile divieto non vige infatti per le aree esterne (quella di cui si verte, è posta a 300 metri).

Ad ogni modo, nel caso di impianti potenzialmente interferenti con SIC o ZPS è prevista l’effettuazione della VINCA, che, nella fattispecie, è stata criticata dai ricorrenti con un distinto ordine di rilievi.

13.2. Gli appellanti hanno poi sostenuto che sarebbe stata violata la prescrizione di cui all’Allegato 1 punto 1.1. d. lgs. 36/2003 secondo cui le discariche di rifiuti inerti “non possono essere collocate all’interno della fascia di rispetto di 150 metri da corsi di acqua”.

Al riguardo, è necessario chiarire che la richiamata previsione del d.lgs. n.36 del 2003 fa riferimento, complessivamente, quali siti non idonei alla localizzazione di discariche, alle “Aree, immobili e contesti tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

Secondo l’art. 142 di tale decreto, formano oggetto di tutela ex lege, tra l’altro, “c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”.

Pertanto la fascia di rispetto di 150 metri alla quale i ricorrenti fanno riferimento riguarda i corsi di acqua iscritti negli elenchi delle acque pubbliche (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, n. 3230 del 2017 cui si rinvia a mente dell’art. 88 comma 2, lett. d) c.p.a.).

Nello stesso senso depone l’art. 71 delle NTA del PRG di Roma Capitale, secondo cui, “Al fine di salvaguardare l’integrità del reticolo idrografico e le sue funzioni ecologiche e idrogeologiche, nella fascia di rispetto di m. 150 dalla sponda o dal piede dell’argine di corsi d’acqua tutelati ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. c), del D.LGT n. 42/2004, e nella fascia di rispetto di m. 50 dalla sponda o dal piede dell’argine degli altri corsi d’acqua, o nelle più ampie fasce di rispetto delimitate dall’elaborato 4. “Rete ecologica”, sono vietati tutti gli interventi che possono modificare gli equilibri idrogeologici ed ecologici. In particolare sono vietati, salvo che non siano espressamente prescritti dagli enti competenti per finalità di difesa del suolo, gli interventi che prevedano:

a) tombamenti e copertura di corsi d’acqua;

b) qualsiasi attività estrattiva;

c) sbancamenti, terrazzamenti, sterri, manufatti in calcestruzzo (muri di sostegno, briglie, traverse);

d) scogliere in pietrame non rinverdite;

e) rivestimenti di alvei e di sponde fluviali in calcestruzzo;

f) rettificazioni e modifiche dei tracciati naturali dei corsi d’acqua e risagomatura delle sponde” (comma 2).”.

Alla luce di tali disposizioni, è quindi evidente che il fatto che il sito si trovi a 50 metri dal corso d’acqua indicato nell’elaborato della Rete Ecologica, cui si fa riferimento nella richiamata nota di Roma Capitale n. 2947 del 25 gennaio 2019, non ha alcun rilievo poiché non vi è prova del fatto che tale corso d’acqua abbia natura pubblica e sia quindi tutelato anche ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 42/2004, per cui vige la fascia di rispetto di 150 metri (Cons. Stato, sez. IV n. 3230 del 2017 cit.).

Nel corso dell’istruttoria (cfr. la pag. 19 del documento denominato “istruttoria tecnico – amministrativa, allegato al provvedimento di VIA), è stato inoltre accertato che il progetto “osserva il divieto nella fascia di rispetto di 50 metri dalla sponda del corso d’acqua indicato nell’elaborato di Rete ecologica […]”.

Pertanto, deve ritenersi rispettato anche lo specifico vincolo istituito dal PRG per i corsi d’acqua diversi da quelli tutelati ai sensi del codice dei beni culturali.

13.3. Per quanto riguarda la distanza da case e centri abitati – premesso che ai sensi dell’art. 16.10 del Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio, nella versione vigente ratione temporis, costituisce fattore preferenziale, in relazione agli impianti per inerti, la “localizzazione all’interno di cave attive o dismesse purché compatibili con il piano di ripristino delle stesse” – è agevole rilevare che il suddetto Piano, all’art. 16.4.2, prevede non già quale divieto, ma solo come “fattore di attenzione” progettuale, l’esistenza di un edificato urbano a meno di 1000 metri dal sito, ovvero di case sparse a meno di 500 metri.

Nel caso di specie, secondo quanto risulta dal documento istruttorio, già citato in precedenza (pag. 20), “il sito si trova ad una ragionevole distanza dai nuclei abitativi di rilevanza, il più vicino è Piana del Sole che è una frazione di Roma Capitale, situata in zona Z. XLI Ponte Galeria, nel territorio del Municipio Roma XI e che si trova a più di 2000 metri in linea d’aria a sud”.

Quanto alle “case sparse” presenti nell’area, non è contestato che, così come dedotto dalla società contro interessata, nel raggio di 500 metri dal sito esista una sola abitazione.

Pertanto, non sussistendo veri e propri divieti di localizzazione, per dare corpo alla censura i ricorrenti avrebbero dovuto dedurre quali accorgimenti progettuali non fossero stati adottati dal proponente ovvero, per converso, indicare quali specifici aspetti progettuali rendessero palesemente inidoneo il sito prescelto, tenuto conto dei dati obiettivi in precedenza riportati.

13.4. Parimenti generica è la censura articolata in primo grado, e riproposta in appello secondo cui sarebbe stata violata la fascia di rispetto di 50 metri da gasdotti e oleodotti.

Anche in questo caso la deduzione non fornisce alcuna indicazione in concreto circa la natura e la precisa ubicazione dell’infrastruttura interferente con il sito della discarica.

Ad ogni buon conto, secondo il par. 16.4.2 del Piano di gestione dei rifiuti, l’ubicazione nella fascia di rispetto di “strade, autostrade, gasdotti, oleodotti, cimiteri, ferrovie, beni militari, aeroporti […]” costituisce un fattore di “attenzione progettuale”, non integrando, quindi, un divieto assoluto di localizzazione.

È bene precisare che, mentre, per le “discariche” in generale, ai sensi del par. 16.6., l’ubicazione entro una delle richiamate fasce di rispetto costituisce uno specifico fattore escludente, diverso è il caso degli impianti per inerti (par. 16.10), per i quali vengono richiamati solo i fattori di attenzione progettuale evidenziati nei macro gruppi “Aspetti ambientali”, “Aspetti idrogeologici di difesa del suolo” e “Aspetti territoriali”, nonché, in virtù del combinato disposto con le prescrizioni di carattere generale di cui al precedente par. 16.5., i fattori generali escludenti previsti all’interno del suddetti macro gruppi.

13.5. Analogo ragionamento deve essere fatto per la presenza di installazioni militari che costituisce anch’essa, ai sensi del par. 16.4.2 un fattore di “attenzione progettuale”.

Tale circostanza è stata invero riconosciuta dai ricorrenti, secondo i quali, però, la vicinanza del Centro interforze di formazione intelligence, avrebbe comunque dovuto indurre la Regione Lazio a dotare il provvedimento di una specifica motivazione circa l’idoneità del sito prescelto.

Reputa tuttavia il Collegio che, semmai, fosse onere dei ricorrenti dimostrare l’esistenza di specifiche carenze progettuali, non rilevate dalla Regione, tali da costituire un pregiudizio per la vicinanza dell’insediamento militare e da rendere quindi inidoneo, sotto questo profilo, il sito prescelto dal proponente.

14. Per quanto riguarda l’esistenza di vincoli urbanistici, è possibile osservare quanto segue.

14.1. Ai sensi dell’art. 75 delle NTA del PRG, nell’“Agro Romano” è espressamente ammesso, tra i vari usi, quello relativo alle “discariche per inerti” (punto A14 della tabella).

Nelle aree agricole ricadenti nella Rete ecologica di cui all’art. 72, non sono consentiti “i seguenti usi e impianti (ad eccezioni di quelli esistenti legittimi): A1b, con serre non stagionali di superficie superiore a mq 2.000; A2b, allevamenti zootecnici intensivi; A14, discariche di inerti, salvo che non siano finalizzate al ripristino e recupero ambientale” (comma 2; cfr. anche l’art. 72, comma 7, lett. d).

Nella fattispecie, il Dipartimento di tutela ambientale della Regione Lazio aveva inizialmente escluso la finalità di ripristino e riqualificazione ambientale dell’intervento per la presenza, poi non autorizzata, di una cella monodedicata ai rifiuti contenenti amianto (cfr. la già citata nota 2947 del 15 gennaio 2019).

Nel provvedimento di VIA si legge altresì (pag. 3) che non è prevista alcuna modifica delle superficie già oggetto di escavazione ma il recupero morfologico della precedente attività estrattiva.

Anche in sede di appello, la Regione ha confermato la finalità lato sensu ambientale del progetto, che riguarda un sito dismesso per cui, alla fine della coltivazione della discarica, verranno effettuati progressivamente interventi di ripristino ambientale mediante il c.d. “capping” e “rinaturazione” con specie arboree, in tale modo assicurando il rispetto delle richiamate previsioni dello strumento urbanistico generale.

Per quanto occorrer possa si rileva peraltro che la valutazione della compatibilità urbanistica di un progetto e, più in generale, del suo inserimento all’interno della pianificazione territoriale, è soltanto uno dei molteplici profili che vengono complessivamente esaminati in sede di valutazione di impatto ambientale, atteso che la successiva eventuale autorizzazione dell’intervento, in esito alla Conferenza di servizi, costituisce variante ex lege allo strumento urbanistico (art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006).

15. Per quanto riguarda l’idoneità del sito dal punto di vista idrogeologico è incontestato che il progetto autorizzato – così come sottolineato dalla società contro interessata – preveda la messa in opera sul fondo dell’invaso di un sistema di impermeabilizzazione e di uno strato di argilla compatta spesso un metro, le cui caratteristiche soddisfano il requisito normativo di permeabilità K10-9 m/s previsto per le discariche di rifiuti non pericolosi (cfr., al riguardo, l’Allegato 1 al d.lgs. n. 36/2003, punto 2.4.2).

Al riguardo, nella relazione istruttoria allegata al provvedimento di VIA si riporta – a riscontro di quanto declinato nello Studio di impatto ambientale dalla società proponente – che “La discarica presenta comunque una impermeabilizzazione adeguata a quanto previsto dal d.lgs. n. 36/2003 per la realizzazione di una discarica per rifiuti speciali”, requisiti invero più stringenti di quelli relativi ad una discarica destinata ad ospitare rifiuti inerti.

Al riguardo, deve poi convenirsi con la società che né la normativa europea né quella interna, individua un valore di impermeabilità minimo in ragion del quale la barriera geologica naturale possa dirsi esistente.

L’Allegato 1, Punto 1.2.2. del d.lgs. n. 36 del 2003 stabilisce piuttosto i valori minimi di permeabilità che una barriera – sia essa naturale o rinforzata da una barriera di confinamento artificiale – deve possedere per consentire la realizzazione di una discarica di rifiuti inerti.

In materia, questo Consiglio ha osservato (sez. V, sentenza n. 2683 del 17 maggio 2013), con riferimento ai parametri stabiliti per le discariche per rifiuti speciali (ma il ragionamento può essere esteso agli impianti per inerti), che l’art. 2.4.2 dell’Allegato I al d.lgs. n. 36 del 2003 disciplina puntualmente i criteri di permeabilità e spessore che devono essere posseduti dal substrato della base e dei fianchi (c.d. barriera geologica) del sito ove l’attività di discarica è esercitata, il cui soddisfacimento, nelle fattispecie concrete, deve essere accertato mediante indagini e perforazioni geognostiche.

La medesima disposizione prosegue prevedendo che la predetta barriera geologica può essere completata artificialmente mediante un sistema di barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione equivalente.

Viene pertanto stabilita l’equivalenza, sotto il profilo delle garanzie ambientali, tra la barriera geologica naturale e quella artificiale, tenuto conto che la ratio della previsione di cui al richiamato punto 2.4.2. dell’Allegato I al d.lgs. n. 36 de 2003 è quella di consentire la gestione di una discarica allorquando siano comunque assicurabili – ed in concreto assicurate – le condizioni di sicurezza del sito, indipendentemente dal tipo di barriera.

15.1. Quanto poi alla circostanza, cui si fa riferimento nella già citata nota del Dipartimento di tutela ambientale del 15 gennaio 2019, relativa al fatto che le pregresse attività estrattive avrebbero interessato la falda acquifera, essa invero, richiama un rilievo contenuto nello Studio di impatto ambientale (pag. 191), che risulta correlato, però non già allo specifico sito di intervento bensì, in generale, al “bacino estrattivo del Rio Galeria – Magliana”.

Relativamente all’area oggetto dell’intervento si dà invece atto del fatto che la stessa sia oggi interessata “dalla presenza esclusiva di una falda di base connessa alla litofacies sabbioso-ghiaiosa della Formazione di Ponte Galeria – Membro della Pisana, con quota piezometrica localizzabile tra 20 e 30 m slm. Le ricognizioni di carattere idrogeologico condotte nella zona delle alture di Castel Malnome e Monte Carnevale confermano l’assenza di sorgenti di qualsiasi entità ed escludono presenza di falde superficiali eventualmente sostenute dalla litofacies argilloso-sabbiosa di Ponte Galeria, quale unico potenziale acquiclude individuabile nell’area oltre quello basale di Monte delle Piche […]”.

Secondo la Regione Lazio, le misurazioni in campo, come riportate nel progetto, effettuate nell’anno 2016 e nel 2019, hanno confermato tali quote.

Ad ogni buon conto, nessuno dei dati idrogeologici contenuti nel SIA e nelle relazioni specialistiche richiamate da siffatto studio, è stato dagli appellanti realmente confutato, se non con deduzioni generiche, prive di qualunque supporto di carattere tecnico – scientifico.

15.2. Più in generale, va peraltro ricordato che, nelle materie tecnico scientifiche, trova applicazione il principio per cui le valutazioni delle Autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori (per tutte, con riferimento alla più ampia materia delle valutazioni ambientali, Cons. Stato, sez. II, 7 settembre 2020 n.5379; sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36).

Non è invece consentito chiedere al giudice di sostituirsi alle valutazioni riservate alle Amministrazioni giungendo ad esiti diversi fondati, ad esempio, su una c.t.u. o una verificazione sollecitate dalla parte (sul punto specifico, Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2009 n. 3500), ovvero sulle perizie tecniche di parte o con il richiamo a studi predisposti da propri esperti (sul principio, per tutte Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2021 n.2524, e per il caso particolare del parere di un esperto di parte, sez. IV, 7 giugno 2021 n.4331).

Studi di questo genere infatti, secondo logica, potrebbero essere valutabili solo nell’ipotesi in cui fossero stati ritualmente introdotti all’interno del procedimento amministrativo e condivisi espressamente dall’Autorità competente.

Tale evenienza, tuttavia, non ricorre nel caso in esame.

16. Per quanto riguarda i pretesi vizi che avrebbe riguardato la fase di consultazione del pubblico e quella istruttoria, è sufficiente considerare:

– che la stessa ricorrente Associazione OMISSIS ha affermato di avere conseguito (sia pure a seguito di ricorso per l’accesso), tutta la documentazione esaminata in sede di Conferenza di servizi;

– che la società proponente ha depositato la documentazione integrativa nel termine indicato all’Amministrazione in esito alla richiesta di proroga;

– che, nel provvedimento impugnato, si dà comunque conto dell’avvenuto esame delle osservazioni presentate;

– che, relativamente all’apporto del pubblico, l’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione vigente ratione temporis, si limitava a prevedere che “L’autorità competente valuta la documentazione acquisita tenendo debitamente conto […] delle informazioni raccolte e delle osservazioni e dei pareri ricevuti […]”;

– che, pertanto, l’Autorità procedente è tenuta a valutare le osservazioni, le quali, tuttavia, non richiedono, in caso di rigetto, una dettagliata confutazione essendo sufficiente che, dall’iter istruttorio e dal provvedimento finale, possano evincersi le ragioni della diversa determinazione dell’Amministrazione;

– che l’argomentazione secondo cui la Regione avrebbe aderito acriticamente a quanto prospettato nel SIA è priva di qualsivoglia principio di prova e, comunque, non tiene conto dell’articolata e complessa istruttoria di cui si dà conto nel provvedimento impugnato.

17. Anche le doglianze relativa all’impianto di trattamento del percolato non sono suscettibili di favorevole apprezzamento.

Al riguardo, si rileva che l’art. 185, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006, esclude dall’ambito di applicazione della Parte IV, in quanto regolate da altre disposizioni normative, “le acque di scarico” (che trovano, infatti, la loro disciplina nella Parte III del medesimo compendio normativo).

L’art. 74, comma 1, lett. ff) del codice dell’ambiente, reca la seguente definizione di scarico:

qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione […]”.

Gli appellanti sostengono che la Regione Lazio avrebbe omesso di valutare il potenziale impatto dell’impianto di smaltimento di reflui nei confronti delle acque superficiali del fosso dell’impluvio di Valle della Sargia.

Al riguardo, nel SIA (pag. 124) si legge che le acque in uscita dall’impianto di smaltimento dei reflui, essendo destinate allo scarico in corpo idrico di superficie, dovranno rispondere ai limiti previsti dalla Tabella 3, Allegato 5 alla Parte Terza del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale stabilisce i valori limite di emissione in acque superficiali.

In sostanza, l’impatto paventato dagli appellanti è stato valutato e disciplinato, ex ante, dal legislatore.

La Regione ha inoltre prescritto, al riguardo, sistemi di monitoraggio e controllo (cfr. la prescrizione n. 17 del provvedimento di VIA), la cui compiuta valutazione attiene peraltro alla successiva fase autorizzativa.

18. Secondo gli appellanti lo Studio di impatto ambientale non avrebbe considerato il cumulo degli effetti derivanti dalla presenza di opifici industriali nell’area sulla qualità dell’aria, sulle acque di falda e sulla salute umana.

Anche tale censura è stata formulata in modo astratto e generico.

Non è infatti contestato che, ai fini della redazione del SIA, siano stati considerati:

– i dati di temperatura e pluviometrici acquisiti dall’Ufficio idrografico e mareografico Regionale per la centralina più prossima al sito di installazione dell’impianto;

– i dati anemometrici estrapolati dalla rete di monitoraggio predisposta dall’Arsial – Servizio integrato agrometeorologico della Regione Lazio;

– i dati della qualità dell’aria acquisiti dalle centraline A.r.p.a. presenti nella zona.

Questi dati (in particolare quelli relativi alla qualità dell’aria), sono determinati, ovviamente, anche dalla presenza degli opifici indicati.

Non vi è infatti alcun elemento idoneo a supportare l’affermazione dei ricorrenti secondo cui, ad esempio, con riferimento all’impatto sull’aria, lo Studio di impatto ambientale avrebbe omesso di considerare i parametri e i valori attuali dell’aria per gli inquinanti emessi dall’inceneritore di rifiuti ospedalieri presente nell’area.

Tale considerazione vale anche per il sottosuolo, in relazione al quale, secondo quanto ricordato dalla società contro interessata, è stata effettuata una pluralità di sondaggi e di indagini.

I dati relativi alla salute pubblica sono stati acquisiti dal rapporto “Epidemiologia, rifiuti, ambiente, salute nel Lazio”, che riporta i risultati del progetto ERASLazio, curato dal dipartimento di Epidemiologia SSR, dall’ARPA e dalla Regione Lazio, ed in particolare dal documento “Valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nell’area di Malagrotta a Roma”.

Anche sotto questo profilo va evidenziato che gli appellanti non svolgono alcun serio rilievo critico né in ordine ai dati raccolti nel SIA, né in ordine all’ “Analisi degli impatti”, in esso contenuta, che approfondisce, nello specifico, le componenti ambientali “Atmosfera” e “Ambiente idrico” (cfr. la pag. 209 e ss. dello Studio).

Pure esenti da specifica critica sono rimaste le conclusioni dell’istruttoria del procedimento di VIA, secondo cui, esaminate le interrelazioni tra il progetto e i fattori ambientali coinvolti, gli “impatti riscontrati” sono stati ritenuti “mitigabili” attraverso le misure indicate nelle successive prescrizioni (così la pag. 26 del già citato documento istruttorio).

18.1. Alla luce di quanto precede, deve ritenersi che la terza richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE (relativa alla conformità all’art. 3 della direttiva 2011/92/CE dello Studio di impatto ambientale presentato), sia priva di rilevanza ai fini della definizione del presente giudizio, in quanto risulta formulata sulla base di un presupposto interpretativo erroneo, ovvero che lo Studio di impatto ambientale non contenga l’analisi degli effetti diretti e indiretti, anche cumulativi, del progetto e che l’Amministrazione abbia valutato la sostenibilità ambientale del progetto presentato in assenza di tali analisi.

19. I ricorrenti hanno poi contestato la determinazione impugnata nella parte in cui, per quanto concerne gli aspetti progettuali, afferma (pag. 3) che “non è prevista alcuna modifica della superficie già oggetto di attività di escavazione ma il recupero morfologico di precedente attività estrattiva” e, ancora, a pag. 4 che “non è previsto consumo di nuovo suolo”.

Risulta tuttavia inequivocabilmente, per quanto in precedenza evidenziato, che la discarica è destinata ad occupare la precedente area di cava; che il vuoto di cava verrà riempito attraverso l’abbancamento di rifiuti inerti e che sarà successivamente “rinaturalizzato”, ripristinando la continuità morfologica del territorio.

È quindi vero che non vi sarà “consumo di nuovo suolo”, ma solo ripristino dello status quo anteriore all’avvio dell’attività estrattiva.

In tal senso, si legge a pag. 210 del SIA che “L’invaso nel suo complesso verrà realizzato mediante scavo all’interno della vecchia area di cava e, laddove possibile, verranno conservate le scarpate attualmente esistenti; l’invaso avrà, quindi, forma pressappoco rettangolare e dimensioni pari a circa 450 metri di lunghezza massima e 260 metri di larghezza media. La profondità massima dell’invaso è di circa 16 metri rispetto all’attuale piano campagna, in corrispondenza dell’area centrale di cava attualmente sede di rilevanti quantitativi di riporti abbancati, costituiti prevalentemente da sterile di cava.”

A pag. 217 si spiega altresì che “le lavorazioni non determineranno ulteriori sottrazioni di suolo in termini di uso; inoltre, in questa fase, le modalità “in scavo” per la realizzazione dell’invaso determineranno un impatto di tipo morfologico-visivo soltanto temporaneo, in quanto successivamente interverranno le attività di ripristino dell’area di cui all’elaborato “R10 – Piano di ripristino ambientale” che apporteranno nel lungo periodo un miglioramento alle componenti ambientali in esame”.

L’unico aspetto che rimane irreversibile, come fatto osservare dalla società, è la sottrazione del suolo in termini volumetrici sebbene, a parità di volume di invaso, l’utilizzo di un’area già adibita ad attività estrattiva limiti, in sé, l’impatto sull’ambiente.

In tal senso, il progetto appare conforme al criterio localizzativo di cui al punto 1.1. dell’Allegato 1 al del d.lgs. n. 36 del 2003, secondo cui “Nell’individuazione dei siti di ubicazione sono da privilegiare le aree degradate”.

20. Le ulteriori considerazioni degli appellanti circa la presunta esistenza di impianti analoghi nel quadrante occidentale del Comune di Roma, sono poi rimaste del tutto generiche perché non è stato chiarito quale sia la tipologia e capacità residua di tali impianti.

È quindi impossibile apprezzarne l’effettiva consistenza.

21. Per quanto riguarda le critiche allo studio di Valutazione di incidenza ambientale, si osserva quanto segue.

21.1. Va premesso che, secondo quanto, ancora da ultimo, ribadito dalla Corte UE, “La valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat» non può comportare lacune e deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sul sito protetto in questione” (Corte di giustizia UE, sezione VI, sentenza 16 luglio 2020, C-411/19, WWF Italia Onlus).

21.2. Nella fattispecie, la società proponente ha affermato e dimostrato di essersi attenuta alle Linee guida della Regione Lazio approvate con D.G.R. n. 64 del 29 gennaio 2010 e alle direttive “Habitat” (92/43/CEE) e “Uccelli” (79/409/CEE).

Lo studio è stato redatto a partire dalle informazioni acquisite dalla scheda formulario Natura 2000 del sito interessato, come previsto dall’art. 6.4.3. delle Linee guida regionali ed è stato effettuato anche tramite rilievi di campagna nell’area di cava e in quella circostante.

In particolare il par. 6.4.3. delle suddette Linee guida suddivide le informazioni per la descrizione delle componenti naturalistiche in “facoltative” e “obbligatorie”.

Per la descrizione delle specie floristiche e faunistiche sono contemplate le seguenti informazioni:

– individuazione delle stazioni (siti o aree circoscritte, con particolare riferimento a quelli riproduttivi, di svernamento, trofici e di collegamento) di presenza delle specie di interesse comunitario o prioritarie ai sensi delle direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE individuate dalla scheda Natura 2000 del Sito o degli habitat di specie potenzialmente idonei ad ospitarle e loro descrizione (obbligatorio);

– cartografia in scala adeguata delle stazioni di presenza delle specie di interesse comunitario/prioritarie ai sensi delle direttive 79/409/CEE e 93/43/CEE o degli habitat faunistici potenzialmente idonei, con particolare riferimento a quelli riproduttivi, di svernamento, trofici ed ai corridoi di collegamento (obbligatorio);

– individuazione delle stazioni di presenza o di habitat faunistici potenzialmente idonei di altre specie di interesse segnalate nella scheda Natura 2000 (sezione 3.3 della scheda Natura 2000) o in liste rosse internazionali, nazionali o regionali (facoltativo);

– cartografia in scala adeguata delle stazioni di presenza o di habitat faunistici potenzialmente idonei di altre specie di interesse segnalate nella scheda Natura 2000 (punto 3.3 della scheda Natura 2000) o in liste rosse internazionali, nazionali o regionali (facoltativo).

Per quanto attiene alla descrizione degli habitat:

– individuazione e descrizione degli habitat di interesse comunitario o prioritari ai sensi della direttiva 93/43/CEE, allegato I, segnalati nella scheda Natura 2000 del sito e presenti nell’area di intervento (obbligatorio);

– cartografia in scala adeguata degli habitat di interesse comunitario prioritari e non, presenti nell’area di intervento (obbligatorio);

– descrizione di ulteriori habitat e/o associazioni o formazioni vegetali di interesse segnalati da enti o associazione scientifiche o individuati nel corso di sopralluoghi specifici e presenti nell’area di intervento (facoltativo);

– cartografia della vegetazione in scala adeguata (compresa tra 1:25.000-1:5.000, ma preferibilmente 1:10.000) di ulteriori habitat e/o associazioni o formazioni vegetali di interesse individuati da enti o associazione scientifiche o individuati nel corso di sopralluoghi specifici e presenti nell’area di intervento (facoltativo).

La società ha effettuato i rilievi di campagna nel mese di marzo 2018 nell’area su cui insiste il progetto ed in quella circostante.

L’individuazione degli habitat 6220* e 9340 è avvenuta sia sulla base dei sopralluoghi, sia sulla base della documentazione aggiornata inerente il sito e della manualistica.

Benché il medesimo art. 6.4.3. con riferimento ai predetti habitat individui come momento migliore per i rilievi sul posto quello che va dal 1° aprile al 30 maggio, deve convenirsi con la società che un sopralluogo fatto in epoca immediatamente precedente non possa ritenersi a priori inidoneo a fornire a fornire le informazioni necessarie ad effettuare lo Studio di incidenza, tenuto conto che allo stesso sono stati allegati anche numerosi dati bibliografici, di cui non è contestata la pertinenza e congruità.

Né può essere oggetto di censura il fatto che, ai fini della selezione delle specie di interesse comunitario, si sia fatto riferimento a quelle elencate nella scheda Natura 2000 del sito, tenuto altresì conto che, secondo le stesse Linee guida regionali, ulteriori informazioni rispetto a quelle obbligatoriamente richieste rivestono solo carattere facoltativo.

Era poi onere dei ricorrenti fornire quantomeno un principio di prova che i dati utilizzati nello Studio (in particolare, quelli della tabella 8) non fossero aggiornati.

Per quanto riguarda la, parimenti censurata, omissione del secondo, terzo e quarto livello della Valutazione, la stessa risulta conforme alle Linee guida europee, allegate al fascicolo del processo di primo grado dagli stessi ricorrenti, le quali consentono (pag. 22) la definizione del procedimento nel caso in cui “è possibile concludere in maniera oggettiva che è improbabile che si producano effetti significativi sul sito Natura 2000”.

Quanto alle presunte molestie alla fauna selvatica minore (vietate dall’art. 3 della legge della Regione Lazio, n. 18 del 1988), nello studio di Valutazione di incidenza si conclude a pag. 48 che non avverrà “una sottrazione di habitat né di habitat di specie, ma potrà esserci un’eventuale perturbazione, seppur poco significativa, per gli habitat di caccia delle specie di avifauna. Tale perturbazione sarà, con molta probabilità, supplita dall’ampiezza e dall’eterogeneità del territorio limitrofo, considerando puntiforme l’intervento di discarica”.

Inoltre, la società proponente ha sottolineato che la “perturbazione”, peraltro solo di carattere eventuale, non riguarda la fauna selvatica contemplata dalla richiamata normativa e sarebbe, comunque, poco significativa.

Tale valutazione è stata condivisa dal Servizio regionale competente ad esprimersi sullo Studio di incidenza ambientale.

Nello specifico, nel parere sulla VINCA depositato dalla Regione in primo grado (doc.n.1 del 23 maggio 2020), è stato valutato che, secondo quanto riportato nello Studio di incidenza “nell’area direttamente interessata dall’intervento non sono presenti in seguito ai sopralluoghi né popolazione nidificanti né siti idonei alla nidificazione”; ed inoltre “che il progetto non implica la riduzione degli habitat in quanto la discarica è distante circa 300 m dalla ZSC e non sono stati rinvenuti habitat di interesse comunitario nell’area direttamente di intervento; il progetto non prevede né una perdita né una frattammentazione né una distruzione degli habitat riproduttivi delle due specie di avifauna presenti nella ZSC ed inserite nell’Allegato I della Direttiva 2009/147/CE concernente conservazione degli uccelli selvatici”.

LE MOTIVAZIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE.

22. Ciò considerato, il Collegio, sulla base di quanto già affermato da questa sezione nelle sentenze n. 6290 del 14 settembre 2021 e n. 490 del 25 gennaio 2022, ritiene di dover sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 TFUE, alcune questioni pregiudiziali (tre di metodo e una di carattere sostanziale, corrispondente alla seconda richiesta di rinvio pregiudiziale formulata da parte appellante, posto che la prima e la terza sono state disattese per manifesta irrilevanza).

22.1 Sotto il primo profilo, va richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia che , a partire dalla sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit, in causa C 283/81, ha precisato che, al fine di evitare che in un qualsiasi Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme del diritto dell’Unione, qualora non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto europeo.

22.2. La violazione di tale obbligo è idonea a configurare un inadempimento dello Stato membro, la cui responsabilità può essere affermata a prescindere dalla natura dell’organo statale che abbia dato luogo alla trasgressione, quindi, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente, qual è il giudice nazionale (Corte di giustizia, sentenza del 4 ottobre 2018, in causa C-416/17, Commissione c. Repubblica francese, punto 107).

22.3. Gli organi giurisdizionali non sono, invece, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale qualora constatino che la questione sollevata non sia rilevante o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi sia già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.

22.4. Con riferimento a tale ultima condizione, come indicato dalla Corte di giustizia nella sentenza Cilfit cit., occorrerebbe accertare che “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit, punto 16).

22.5. La giurisprudenza successiva ha confermato i principi espressi dalla sentenza Cilfit cit. (cfr. Corte di giustizia, sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 48), con la precisazione, da un lato, che “il giudice nazionale, le cui decisioni non siano più soggette a ricorso giurisdizionale, è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 51), dall’altro, che “l’assenza di dubbi in tal senso necessita di prova circostanziata” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 52).

22.5. Le condizioni poste da codesta Corte di giustizia, per escludere l’obbligo di rinvio pregiudiziale gravante sul giudice di ultima istanza ex art. 267 TFUE, risultano:

– di difficile accertamento nella parte in cui fanno riferimento alla necessità che il giudice procedente, certo dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto unionale rilevante per la soluzione della controversia nazionale, provi in maniera circostanziata che la medesima evidenza si imponga anche presso i giudici degli altri Stati membri e la Corte;

– foriere di responsabilità civile per il giudice supremo nazionale italiano, in base alla norma sancita dall’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 secondo cui “3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.”. Di modo che – allo scopo di prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento del danno (ma anche la certezza di essere coinvolti in un accertamento disciplinare ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. n. 117 cit., pure dopo le precisazioni operate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 2021) – il giudice nazionale è costretto a disporre un rinvio pregiudiziale pur che sia, allungando di molto i tempi di risoluzione della controversia, in violazione del principio costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.) ed europeo (art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), della ragionevole durata del processo.

22.6. In maniera da assicurare una concreta possibilità di applicazione delle condizioni enunciate da codesta Corte di giustizia come deroga all’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 274 TFUE, nella parte in cui si riferiscono all’evidenza nella corretta applicazione del diritto europeo “tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, occorre, quindi, un chiarimento da parte di codesta Corte di giustizia, richiesto nell’ambito della stretta cooperazione tra la Corte e i giudici degli Stati membri alla base del procedimento pregiudiziale (cfr. punto 2 raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale – 2018/C 257/01).

Infatti, anche le conclusioni cui è pervenuta la Corte di giustizia, grande sezione, 6 ottobre 2021, C-

61/19, non sono tali da dirimere le specifiche esigenze evidenziate dal Consiglio di Stato come più volte segnalato di recente (cfr. sez. IV, sentenza non definitiva n. 4741 del 2022, sez. IV, ordinanza n. 2545 del 2022; sentenza non definitiva, n. 490 del 2022).

22.6. In particolare, per escludere ogni ragionevole dubbio da dare alla questione sollevata e, quindi, per ritenere derogato l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE gravante sul giudice di ultima istanza, si chiede di chiarire se “il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia”:

a) debba essere accertato in senso soggettivo, motivando in ordine alla possibile interpretazione suscettibile di essere data alla medesima questione dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di giustizia ove investiti di identica questione; ovvero

b) se – come ritenuto da questo Consiglio, al fine di evitare una probatio diabolica e consentire la concreta attuazione delle circostanze derogatorie all’obbligo di rinvio pregiudiziale indicate da codesta Corte di giustizia – sia sufficiente accertare la manifesta infondatezza della questione pregiudiziale (di interpretazione e corretta applicazione della disposizione europea rilevante nel caso concreto) sollevata nell’ambito del giudizio nazionale, escludendo la sussistenza di ragionevoli dubbi al riguardo, tenuto conto, sul piano meramente oggettivo – senza un’indagine sul concreto atteggiamento interpretativo che potrebbero tenere distinti organi giurisdizionali – della terminologia e del significato propri del diritto unionale attribuibili alle parole componenti la disposizione europea (rilevante nel caso di specie), del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale; ovvero

c) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

La soluzione da fornire ai su esposti quesiti interpretativi rileva nell’ambito del giudizio nazionale, tenuto conto che questo Consiglio di Stato, in qualità di giudice di ultima istanza, è chiamato a risolvere una controversia in cui rileva, sia pure in via puramente astratta, una questione pregiudiziale, concernente la corretta interpretazione ed applicazione di direttive europee che, per gli specifici profili dedotti in questo giudizio, non risultano essere oggetto di decisione in via pregiudiziale da parte di codesta Corte di giustizia sulla base di precedenti noti al Collegio.

Benché questo Consiglio di Stato escluda la ricorrenza di ragionevoli dubbi interpretativi nella soluzione da fornire alla questione pregiudiziale, avuto riguardo all’interpretazione logico – sistematica delle disposizioni rilevanti, non è possibile dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermi soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di giustizia.

24.1. In siffatte ipotesi, occorre, dunque, ottenere un chiarimento da codesta Corte, al fine di verificare se operi comunque l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

24.2. Per l’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse ritenere cogente l’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ove non sia possibile dimostrare in maniera circostanziata l’interpretazione suscettibile di essere data alla medesima questione, rilevante nell’ambito della causa principale, dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di giustizia – prova, riguardante l’atteggiamento soggettivo di altri organi giurisdizionali, che non può essere fornita nella fattispecie esaminata da questo Consiglio di Stato – si solleva il quesito pregiudiziale, riguardante l’interpretazione e la corretta applicazione di principi e disposizioni europei rilevanti nel caso di specie.

FORMULAZIONE DEL QUESITO.

Secondo la direttiva 1999/31/CE, Allegato I, punto 1.1.: “Per l’ubicazione di una discarica si devono prendere in considerazione i seguenti fattori:

a) le distanze fra i confini dell’area e le zone residenziali e di ricreazione, le vie navigabili, i bacini idrici e le altre aree agricole o urbane;

b) l’esistenza di acque freatiche e costiere e di zone di protezione naturale nelle vicinanze;

c) le condizioni geologiche e idrogeologiche della zona […]”.

Secondo il punto 1.2 del medesimo Allegato “La discarica può essere autorizzata solo se le caratteristiche del luogo, per quanto riguarda i fattori summenzionati o le misure correttive da adottare indicano che la discarica non costituisce un grave rischio ecologico”.

Ai sensi del punto 3.1. “L’ubicazione e la progettazione di una discarica devono soddisfare le condizioni necessarie per impedire l’inquinamento del terreno, delle acque freatiche o delle acque superficiali e per assicurare un’efficiente raccolta del colaticcio, ove ciò sia richiesto ai sensi del punto 2. La protezione del suolo, delle acque freatiche e delle acque superficiali dev’essere realizzata mediante la combinazione di una barriera geologica e di un rivestimento della parte inferiore durante la fase attiva o di esercizio e mediante la combinazione dl una barriera geologica e di un rivestimento della parte superiore durante la fase passiva o postoperativa

Inoltre (punto 3.2.): “La barriera geologica è determinata da condizioni geologiche e idrogeologiche al di sotto e in prossimità di una discarica tali da assicurare una capacità di attenuazione sufficiente per evitare rischi per il suolo e le acque freatiche.

Il substrato della base e dei lati della discarica deve consistere in uno strato di minerale che risponda a requisiti di permeabilità e spessore aventi sul piano della protezione del terreno, delle acque freatiche e delle acque superficiali un effetto combinato almeno equivalente a quello risultante dai seguenti criteri:

– discarica per rifiuti pericolosi: K ≤ 1,0 · 10-9 m/s; spessore ≥ 5 m;

– discarica per rifiuti non pericolosi: K ≤ 1,0 · 10-9 m/s; spessore ≥ 1 m;

– discarica per rifiuti inerti: K ≤ 1,0 · 10-9 m/s; spessore ≥ 1 m;

_________

m/s = metro/secondo.

La barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di cui sopra, può essere completata artificialmente e rinforzata con modalità diverse che forniscano una protezione equivalente. Una barriera geologica creata artificialmente dovrebbe avere uno spessore non inferiore a 0,5 m.”.

25.1. Secondo l’Allegato 1 al d.lgs. n. 36 del 2003, che ha recepito la normativa europea, per gli impianti di inerti “1.2.2. Barriera geologica:

La barriera geologica è determinata da condizioni geologiche e idrogeologiche al di sotto e in prossimità di una discarica per rifiuti inerti tali da assicurare una capacità di attenuazione sufficiente per evitare l’inquinamento del suolo, delle acque superficiali e delle acque sotterranee.

Il substrato della base e dei lati della discarica consiste in una formazione geologica naturale che risponda a requisiti di permeabilità e spessore almeno equivalente a quello risultante dai seguenti criteri:

conducibilità idraulica k ≤ 1x 10-7 m/s;

spessore ≥ 1 m.

Le caratteristiche di permeabilità idraulica della barriera geologica naturale devono essere accertate mediante apposita indagine in sito.

La barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di cui sopra, può essere completata artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzata che fornisca una protezione idraulica equivalente in termini di tempo di attraversamento […]”.

25.2. Come evidenziato in precedenza (cfr. il par. 15 e ss. della presente decisione), questo Consiglio ritiene che la normativa testé evidenziata stabilisca l’equivalenza tra barriera geologica e barriera artificiale e che non sia possibile stabilire un valore minimo, relativo alla sola barriera geologica, al di sotto del quale esista un divieto assoluto di realizzazione di una discarica di inerti, e quindi indipendentemente dalla concreta e verificata possibilità di realizzazione una barriera di contenimento artificiale.

Tuttavia, secondo quanto richiesto dagli appellanti, si rimette alla Corte di giustizia il seguente quesito:

se è conforme alla direttiva 1999/31/CE, Allegato I, l’ubicazione di una discarica in un’area di vuoto di cava, priva di barriera geologica naturale originaria, o comunque caratterizzata da una barriera geologica di limitata consistenza, in particolare nell’ipotesi in cui vi sia il dubbio che, nel pregresso esercizio dell’attività di cava, sia stata intercettata la falda originaria profonda”.

26. Alla luce delle considerazioni svolte, questo Consiglio di Stato solleva questione di pregiudizialità interpretativa invitando la Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti, secondo l’ordine logico proprio:

“A) se la corretta interpretazione dell’art. 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto unionale rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea – tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto unionale attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione”;

“B) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.”

Per l’ipotesi in cui codesta Corte di giustizia dovesse risolvere negativamente i precedenti quesiti, si sollevano la seguente ulteriore questione pregiudiziale, nei termini in cui la stessa è stata sottoposta dagli appellanti:

“C) se è conforme alla direttiva 1999/31/CE, Allegato I, l’ubicazione di una discarica in un’area di vuoto di cava, priva di barriera geologica naturale originaria, o comunque caratterizzata da una barriera geologica di limitata consistenza, in particolare nell’ipotesi in cui vi sia il dubbio che, nel pregresso esercizio dell’attività di cava, sia stata intercettata la falda originaria profonda”.

LA DECISIONE NON DEFINITIVA E LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO.

27. In conclusione, il Collegio, con sentenza non definitiva, respinge i motivi di ricorso, in attesa della pronuncia della Corte di giustizia, nelle more della quale dispone, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello, n. 8189 del 2021:

a) rigetta i motivi di appello come precisato in parte motiva sub §§ 10-21;

b) rinvia alla Corte di giustizia dell’Unione europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;

c) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente decisione, nonché copia integrale del fascicolo di causa;

d) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, la sospensione del presente giudizio;

e) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2022 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Nicola D’Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Claudio Tucciarelli, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere

Scarica in pdf il testo della sentenza: cons. di stato, sez. 4, sent. n. 6013-2022