Rifiuti. Luogo di consumazione del reato e attività organizzate per il traffico illeciti di rifiuti. Cassazione Penale n. 48350/2017.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 48350 del 20 ottobre 2017 (ud. del 29 settembre 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci

Rifiuti. Luogo di consumazione del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Art. 260 d. lgs. n. 152/2006.
Il luogo di consumazione del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in quanto si concreta nella commissione di una pluralità di operazioni di traffico illecito di rifiuti attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, si identifica con quello in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite, in quanto elemento costitutivo del reato.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 48350 del 20 ottobre 2017 (ud. del 29 settembre 2017)
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 25/1/2017 ha confermato la decisione con la quale, in data 9/11/2015, il Tribunale di Lecco aveva affermato la responsabilità penale di Ivano PEREGO e Paolo SALA in ordine al reato di cui agli artt. 110, 112 cod. pen. e 260 d.lgs. 152\06, perché in concorso con altri, il PEREGO quale amministratore della “PEREGO Strade s.r.l.” (poi “PEREGO GENERAL CONTRACTOR s.r.l.” ed il SALA quale preposto alla gestione rifiuti della società), effettuavano attività organizzate finalizzate al traffico illecito di rifiuti, gestendo ingenti quantità di rifiuti da demolizione provenienti da più cantieri e formalmente destinati al recupero presso impianti o cave autorizzate ed in realtà conferiti  presso un capannone della società, privo di autorizzazione, per essere poi immessi sul mercato in violazione della normativa sui rifiuti e delle dovute certificazioni per essere reimpiegati in vari cantieri (in Cassago Brianza ed altrove nel corso del 2008 e del 2009).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Ivano PEREGO deduce, con un primo motivo di ricorso l’erronea interpretazione del principio del “ne bis in idem” perché avvenuto senza tener conto della sentenza 200/2016 della Corte costituzionale, avendo la Corte del merito ritenuto non operante tale principio nel caso in cui tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare sia configurabile il concorso formale di reati.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al rigetto della eccezione di incompetenza territoriale, ritenendo errate le conclusioni dei giudici del gravame ed affermando che la competenza avrebbe dovuto radicarsi presso il Tribunale di Como, luogo di iniziale iscrizione del procedimento penale.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione dei materiali come rifiuto, lamentando che la Corte territoriale nulla avrebbe detto in ordine alla loro natura di terre e rocce da scavo ed avrebbe erroneamente escluso la loro natura di sottoprodotti.
5. Con un quarto motivo di ricorso lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
6. Con un quinto motivo di ricorso denuncia la mancata declaratoria di prescrizione del reato.
7. Paolo SALA deduce, con un primo motivo di ricorso, il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla valutazione delle prove effettuata dai giudici del merito, lamentando che la Corte di appello avrebbe pedissequamente riproposto le argomentazioni sviluppate dal primo giudice.
8. Con un secondo motivo di ricorso  lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e del fine di profitto, che egli avrebbe conseguito attraverso la condotta contestata.
Entrambi insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili
Va rilevato, con riferimento al ricorso del PEREGO che se è ben vero, come affermato nel primo motivo di ricorso, che la Corte territoriale, nel respingere l’eccezione, non ha tenuto conto del fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza 200\2016, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, l’art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale, è altrettanto vero che l’errore rilevato risulta del tutto inconferente nel caso di specie, avendo i giudici del gravame escluso anche in concreto la identità del fatto con quelli irrevocabilmente giudicati, ritenendo insussistente ogni corrispondenza e rilevando come il reato giudicato potesse eventualmente collocarsi, in astratto, come reato fine dell’associazione per la quale era intervenuta sentenza irrevocabile.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha citato la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il luogo di consumazione del reato di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06, concretandosi lo stesso nella commissione di una pluralità di operazioni di traffico illecito di rifiuti attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, va individuato in quello in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite, in quanto elemento costitutivo del reato (Sez. 3, n. 29619 del 8/7/2010, Leorati e altri, Rv. 24814501; Sez. 3, n. 46705 del 03/11/2009, Caserta, Rv. 24560501).
Conseguentemente, i giudici del gravame hanno dato atto del fatto che la gestione degli ingenti quantitativi di rifiuti avveniva in Cassago, presso il capannone della società del ricorrente.
3. Dalla semplice lettura del capo di imputazione, che contiene una descrizione delle condotte contestate, appare di tutta evidenza che i rifiuti, provenienti da diversi cantieri, venivano solo apparentemente destinati al recupero e tutti convogliati presso il capannone ubicato in Cassago Brianza, dove poi venivano trattati per essere poi immessi sul mercato.
Si tratta di un dato certamente significativo che la Corte di appello ha opportunamente valorizzato e che porta decisamente ad escludere la possibilità dell’applicazione dei criteri suppletivi di individuazione della competenza suggerita in ricorso.
4. Anche l’infondatezza del terzo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.
Il ricorrente si diffonde nell’analisi delle diverse discipline dei sottoprodotti e delle terre e rocce da scavo, che assume applicabili nel caso in esame e che la Corte del merito avrebbe tralasciato di considerare.
In disparte la circostanza che, se tali discipline fossero state effettivamente applicabili, non avrebbe una spiegazione logica il fatto, accertato nel giudizio del merito, che i materiali viaggiassero, dai singoli cantieri, con documentazione falsa appositamente predisposta anche con l’apposizione di timbri contraffatti degli impianti indicati per la destinazione, occorre osservare che tanto la disciplina sui sottoprodotti che quella sulle terre e rocce da scavo, come correttamente osservato nella sentenza impugnata, derogano alla disciplina generale in tema di rifiuti e, pertanto, l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione (v. Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Busè, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 in tema di sottoprodotti e, con riferimento alle terre e rocce da scavo, Sez. 3, n. 16078 del 10/3/2015, Fortunato, Rv. 26333601; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006 (dep. 2007), Montigiani, non massimata sul punto).
Nella sentenza impugnata non emerge in alcun modo che il ricorrente abbia offerto alcun elemento dimostrativo di una diversa classificazione dei materiali, i quali, peraltro, venivano prelevati dal luogo di produzione e trasportati, seppure attribuendo loro una falsa destinazione, come rifiuti a tutti gli effetti.
5. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, di cui tratta il quarto motivo di ricorso, la Corte territoriale lo ha giustificato in considerazione delle modalità della condotta e dell’assenza di positivi elementi di valutazione.
Si tratta di una decisione giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata, dovendosi ricordare come il riconoscimento delle attenuanti generiche presupponga la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicché deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3, n. 19639 del 27/1/2012, Gallo, Rv. 252900; Sez. 1, n. 3529 del 22/9/1993, Stelitano, Rv. 195339; Sez. 6, n. 6724 del 1/2/1989, Ventura, Rv. 181253).
Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v.  Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 4/12/2003 (dep. 2004), Anaclerio, Rv. 229768).
6. Correttamente, infine, la Corte del merito ha escluso la prescrizione del reato, cui fa riferimento il quinto motivo di ricorso, avendo accertato in fatto che la condotta del ricorrente si sarebbe protratta fino al fallimento della prima società.
A tale affermazione il ricorrente oppone argomenti in fatto che non possono essere oggetto di esame in questa sede di legittimità.
7. Altrettanto deve dirsi riguardo al ricorso del SALA, in quanto il primo motivo  si risolve nella prospettazione di una lettura alternativa delle emergenze processuali, con richiami a fatti specifici ed atti del procedimento che non possono essere presi in esame da questa Corte.
La sentenza impugnata peraltro, fornisce precise indicazioni degli elementi che hanno portato alla conferma dell’affermazione di responsabilità penale, facendo rilevare la piena consapevolezza del ricorrente rispetto alla illecita attività di gestione.
La motivazione, seppur sinteticamente, evidenzia il ruolo significativo svolto dall’imputato, evidenziando anche le finalità di conseguimento di un ingiusto profitto, che non deve necessariamente assumere una natura eminentemente patrimoniale, con il vantaggio personale rappresentato dal rafforzamento della sua posizione all’interno dell’azienda.
8. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 29.9.2017

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