Sentenza Eternit: La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art. 649 c.p.p.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 200/2016 (ud. 31/05/2016, depositata il 21/07/2016), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.
L’articolata decisione si è basata sulla sussistenza del contrasto tra Convenzione e codice, asseritamente generato dalla regola, pacifica nel diritto vivente interno, che vieta di applicare il divieto di doppio giudizio, ove tra il reato oggetto del primo giudizio (res iudicata) e quello oggetto del nuovo giudizio (res iudicanda) sussista un rapporto di concorso formale.
La Corte ha sentenziato di sentirsi “obbligata a prendere atto che il diritto vivente (..) ha saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem, esonerando il giudice dall’indagare sulla identità empirica del fatto, ai fini dell’applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen.. La garanzia espressa da questa norma, infatti, viene scavalcata per la sola circostanza che il reato già giudicato definitivamente concorre formalmente, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., con il reato per il quale si procede”.
E’ stato argomentato che “Per decidere sulla unicità o pluralità dei reati determinati dalla condotta dell’agente ai sensi dell’art. 81 cod. pen., l’interprete, che deve sciogliere il nodo dell’eventuale concorso apparente delle norme incriminatrici, considera gli elementi del fatto materiale giuridicamente rilevanti, si interroga, tra l’altro, sul bene giuridico tutelato dalle convergenti disposizioni penali e può assumere l’evento in un’accezione che cessa di essere empirica. Questa operazione, connaturata in modo del tutto legittimo al giudizio penalistico sul concorso formale di reati, e dalla quale dipende la celebrazione di un eventuale simultaneus processus, deve reputarsi sbarrata dall’art. 4 del Protocollo n. 7, perché segna l’abbandono dell’idem factum, quale unico fattore per stabilire se sia applicabile o no il divieto di bis in idem”, arrivando alla conclusione che “sussiste il contrasto denunciato dal rimettente tra l’art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo”.
Pertanto, ai fini del riconoscimento o meno di un’ipotesi di doppio giudizio, “l’autorità giudiziaria (e quindi lo stesso giudice a quo) sarà tenuta a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all’esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione. A tale scopo è escluso che eserciti un condizionamento l’esistenza di un concorso formale“. In conclusione, la Corte statuisce che “sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica”.
In conclusione, resta da verificare l’influenza di questa pronuncia sul processo Eternit-bis: qualora il giudice di merito accerti che i fatti storici (intesi come condotta, evento e nesso causale)del primo processo siano identici a quelli del secondo processo, dovrà dichiarare la sussistenza del ne bis in idem, altrimenti il processo Eternit-bis potrà proseguire nel suo svolgimento.