SICUREZZA SUL LAVORO. Infortunio, posizione di garanzia nelle strutture complesse e criterio dell’effettività delle funzioni esercitate. Cassazione Penale n. 39324/2018.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 39324 del 31 agosto 2018 (ud. del 31 maggio 2018)

Pres. Lapalorcia, Est. Mengoni

Sicurezza sul lavoro. Infortunio sul lavoro. Posizioni di garanzia nelle strutture complesse. Individuazione dei destinatari degli obblighi di sicurezza. Criterio delle funzioni in concreto esercitate. Art. 299 d. lgs. n. 81/2008. Art. 71 d. lgs. n. 81/2008.

In tema di infortuni sul lavoro, ai sensi dell’art. 299, d. lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (tra le altre, Sez. 4, n. 18090 del 12/1/2017, Amadessi, Rv. 269803; Sez. 4, n. 19029 del 1°/12/2016, De Nardis, Rv. 269602). Ancora sul tema, e con ancor maggior riferimento al caso di specie, questa Corte ha sostenuto che, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, Minguzzi, Rv. 269972. Si veda anche Sez. 4., n. 52536 del 9/11/2017, Cibin, Rv. 271536).

Tanto premesso, ritiene la Corte che la sentenza impugnata non abbia fatto buon governo dei principi indicati, con riguardo alla ricorrente: data, infatti, la pacifica posizione di questa quale datrice di lavoro in una struttura complessa (M.A.V. Costruzioni s.r.l.), il Tribunale ne ha fatto derivare – sic et simpliciter – la specifica responsabilità per l’uso di una leva non adatta, senza alcuna verifica di quei particolari profili di colpa – appena sopra menzionati – che attengono alla figura ricoperta.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 39324 del 31 agosto 2018 (ud. del 31 maggio 2018)

Fatto
1. Con sentenza del 26/10/2017, il Tribunale di Messina dichiarava M.A.V. e S.B. colpevoli della contravvenzione di cui all’art. 71, comma 1, d. Lgs. 9/4/2008, n. 81, loro rispettivamente ascritta, e li condannava ciascuno alla pena di seimila euro di ammenda.
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione i due imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., per indeterminatezza del capo di imputazione, che non indicherebbe la norma portatrice della sanzione penale, ma solo quella precettiva;
– medesima censura quanto alla posizione di garanzia coperta dalla M.A.V.. La sentenza avrebbe affermato la responsabilità della ricorrente senza verificare che questa dovrebbe esser valutata in ragione delle funzioni in concreto esercitate, come da costante giurisprudenza in materia; al riguardo, dunque, sarebbe agevole constatare che la M.A.V. è datrice di lavoro di una ditta con oltre 500 dipendenti, con differenti soggetti preposti a garantire la sicurezza dei lavoratori, compresi i capi cantieri, sì da non poter rispondere nei termini di cui alla rubrica;
– travisamento della prova e violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. La sentenza avrebbe mal governato il compendio probatorio quanto alla ricostruzione dell’incidente occorso al lavoratore, che non sarebbe dipeso dall’utilizzo dell’attrezzatura indicata nell’imputazione. Si osserva poi, sotto diverso profilo, che la ricorrente avrebbe comunque versato la sanzione amministrativa comminata, sia pur con ritardo di sole 24 ore, e che le prescrizioni imposte sarebbero state tutte assolte. Quanto, poi, al S.B., dai documenti in atti non emergerebbe la sua qualifica di dirigente di fatto, ma solo di capo cantiere;
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in punto di avvenuta prescrizione dei reati, contestati alla data del 27/7/2012;
– medesima violazione, con vizio motivazionale, in punto di trattamento sanzionatorio e mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che la sentenza non avrebbe argomentato.

Diritto
Preliminarmente si osserva che la presente motivazione è redatta in forma semplificata, ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente di questa Corte.
3. Con riguardo, innanzitutto, alla doglianza preliminare di carattere processuale, la stessa emerge come palesemente infondata (oltre che, peraltro, inammissibile, poiché con essa non viene impugnata l’ordinanza reiettiva della medesima eccezione). Osserva la Corte, infatti, che l’art. 552, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. prescrive che il decreto di citazione a giudizio contenga, tra l’altro, l’enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge; orbene, tutto ciò si rinviene per certo nei capi di imputazione in esame, nei quali è diffusamente descritta la condotta contestata ai ricorrenti e la qualifica ricoperta dagli stessi, oltre ad esser indicata la norma-precetto di riferimento. Senza alcun rilievo, quindi, alla mancata indicazione della norma-sanzione.
4. In ordine, poi, alla seconda censura, in punto di responsabilità della M.A.V., la stessa appare invece fondata.
La giurisprudenza di questa Corte, richiamata nel gravame, ha costantemente affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, ai sensi dell’art. 299, d. lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (tra le altre, Sez. 4, n. 18090 del 12/1/2017, Amadessi, Rv. 269803; Sez. 4, n. 19029 del 1°/12/2016, De Nardis, Rv. 269602). Ancora sul tema, e con ancor maggior riferimento al caso di specie, questa Corte ha sostenuto che, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, Minguzzi, Rv. 269972. Si veda anche Sez. 4., n. 52536 del 9/11/2017, Cibin, Rv. 271536).
5. Tanto premesso, ritiene la Corte che la sentenza impugnata non abbia fatto buon governo dei principi indicati, con riguardo alla M.A.V.; data, infatti, la pacifica posizione di questa quale datrice di lavoro in una struttura complessa (M.A.V. Costruzioni s.r.l.), il Tribunale ne ha fatto derivare – sic et simpliciter – la specifica responsabilità per l’uso di una leva non adatta (l’impiego improprio del macchinario Cornar, per quanto contestato, non è neppure menzionato in sentenza), senza alcuna verifica di quei particolari profili di colpa – appena sopra menzionati – che attengono alla figura ricoperta dalla ricorrente.
La sentenza, pertanto, dovrebbe esser annullata con rinvio in parte qua; l’intervenuta prescrizione del reato (contestato al 27/7/2012) – nelle more intervenuta ai sensi degli artt. 157-161 cod. pen., pur tenendo conto degli atti interruttivi – ne impone, tuttavia, l’annullamento senza rinvio, per esser il reato estinto per prescrizione.
6. Alle medesime conclusioni, di seguito, perviene la Corte anche quanto al coimputato S.B., il cui concreto potere sul cantiere – quale dirigente di fatto della M.A.V. Costruzioni s.r.l, nonché capo-cantiere – non era emerso con chiarezza dall’Istruttoria, per come riportato nella sentenza impugnata che, al riguardo, emerge priva di adeguato argomento e logica valutazione delle emergenze processuali.
7. Da ultimo, in punto di trattamento sanzionatorio, risulta fondata la doglianza comune quanto alla assoluta indeterminatezza del percorso logico che aveva determinato la stessa sanzione; della quale, infatti, risulta menzione soltanto nel dispositivo della pronuncia impugnata, non anche nel corpo motivo.
La sentenza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2018

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