TERRE E ROCCE DA SCAVO E MATRICI MATERIALI DA RIPORTO: la circolare interpretativa del Ministero dell’Ambiente n. 15786/2017.

Con l’entrata in vigore del D.P.R. 13 giugno 2017 n. 120 in tema di regolamento sul riutilizzo delle terre e rocce da scavo, la disciplina di riferimento è stata modificata in molti aspetti.

Se ne era già parlato qui

http://www.studiolegalezuco.it/dpr-13-giugno-2017-sulle-terre-rocce-scavo-la-nuova-disciplina-del-testo-unico/

e anche qui

http://www.studiolegalezuco.it/terre-e-rocce-da-scavo-il-punto-della-situazione/

In data 10 novembre 2017, il Ministero dell’Ambiente ha emesso diramato una circolare avente ad oggetto chiarimenti interpretativi sulla disciplina delle matrici materiali di riporto.

Il documento (circolare 10 novembre 2017, prot. n. 0015786) intende fornire uniformità all’azione amministrativa mediante una serie di chiarimenti interpretativi che hanno ad oggetto tre aspetti:

  • La definizione e qualificazione giuridica delle matrici materiali di riporto;
  • Il quadro normativo di riferimento;
  • La gestione delle terre e rocce da scavo contenenti le matrici materiali di riporto.

I PUNTI DELLA CIRCOLARE INTERPRETATIVA

1. LA DEFINIZIONE E LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE MATRICI MATERIALI DA RIPORTO.

Le matrici materiali da riporto rientrano nell’ipotesi di cui all’art. 185 d. lgs. n. 152/2006, il quale esclude dall’ambito di applicazione del Testo Unico Ambientale “b) il terreno (in situ) inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati; c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato […]”.

Il decreto legge 25 gennaio 2012 n. 2, convertito con modificazioni in Legge n. 28 del 24 marzo 2012 ha fornito un’interpretazione autentica dell’art. 185 citato relativamente al “suolo”, chiarendo che i contenuti dell’art. 185, comma 1, lett. b) e c) e comma 4 d. lgs. n. 152/2006 vanno riferiti anche alle matrici materiali da riporto di cui all’All. 2 Parte IV del T.U.A., “costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri”.

Pertanto, le matrici materiali da riporto, a determinate condizioni, sono parificate ai materiali da riporto al suolo e sottostanno alla disciplina dell’art. 185, comma 1 d. lgs. n. 152/2006.

Il D.P.R. n. 120/2017 è rimasto conforme a tale interpretazione, indicando all’art. 4 comma 3 i criteri per qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti (se contenenti materiali da riporto non aventi più del 20% in peso di materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale), oltre a essere sottoposti a test di cessione, secondo le metodiche dell’All. 3 del D.M. Ambiente 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero), eccettuato il parametro dell’amianto, per accertare il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle acque sotterranee (secondo la Tabella 2, All. 5, Titolo 5, Pare IV d. lgs. n. 152/2006) o comunque valori di fondo naturale stabiliti per il sito e approvati dagli enti di controllo.

Le terre e rocce da scavo, per essere escluse dalla disciplina sui rifiuti, devono avere due caratteristiche (art. 24, comma 1 D.P.R. n. 120/2017):

  • essere conformi ai dettami dell’art. 185, comma 1, lett. c) d. lgs. n. 152/2006;
  • essere riutilizzate nel sito di produzione.

La contaminazione dei materiali va in ogni caso verificata secondo i parametri dell’All. 4 del D.P.R. n. 120/2017.

2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO PER LA GESTIONE.

Il punto di riferimento è l’art. 3 del decreto legge n. 2/2012, convertito con modificazioni in Legge n. 28/2012, così come modificato dall’art. 41, comma 3 del decreto legge n. 69/2013 convertito con modificazioni in Legge n. 98/2013.

L’art. 3 comma 2 citato prevede che per l’applicazione dell’art. 185, comma 1 lett. b) e c) d. lgs. n. 152/2006 deve essere effettuato il test di cessione sui materiali granulari secondo il D.M. Ambiente 5 febbraio 1998 (art. 9) per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee; ove conformi ai limiti del test, i materiali devono rispettare le norme in tema di bonifica dei siti contaminati.

L’art. 3 comma 3 prevede invece che i materiali risultati non conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e devono essere rimossi o resi conformi ai limiti predefiniti tramite operazione di trattamento che rimuovano i contaminanti, oppure siano sottoposte a messa in sicurezza permanente con le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano l’utilizzo dell’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

L’art. 26 del D.P.R. n. 120/2017 prevede che le terre e rocce da scavo prodotte da attività di scavo all’interno di un sito oggetto di bonifica sia consentito qualora venga garantita la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per la specifica destinazione d’uso o a valori di fondo naturale. Se sussiste un progetto di bonifica approvato, l’utilizzo è concesso seguendo gli adempimenti prescritti dall’art. 242 comma 7 d. lgs. n. 152/2006.

Se le terre e rocce da scavo non sono conformi alle CSC o ai valori di fondo ma sono inferiori alle CSR, possono essere utilizzate in situ applicando le specifiche dell’art. 26, comma 2, lett. a) e b) D.P.R. n. 120/2017.

Anche il decreto legge n. 133/2014, convertito con modificazioni in Legge n. 164/2014, prevede che “Il riutilizzo in situ dei materiali prodotti dagli scavi è sempre consentito se ne   è   garantita   la   conformità   alle concentrazioni soglia di contaminazione/valori di fondo” (art. 34, comma 9). Riassumendo, se i materiali prodotti dagli scavi rispettino la conformità alle CSC/valori di fondo è sempre consentito il riutilizzo in situ restando esclusa la disciplina dei rifiuti secondo l’art. 185 comma 1, lett. b) e c) d. lgs. n. 152/2006. I terreni non conformi alle CSC/valori di fondo ma inferiori alle CSR possono essere riutilizzati in situ secondo i dettami dell’art. 34 comma 10 del decreto legge n. 133/2014. 

3. GESTIONE DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO CONTENENTI MATRICI MATERIALI DA RIPORTO.

Dai punti precedenti si ricavano 3 conclusioni:

a)    Le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali da riporto con i limiti del 20% in peso ex art. 4 comma 3 D.P.R. n. 120/2017 risultate conformi al test di cessione e non contaminate SONO SOTTOPRODOTTI;

b)   Le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali da riporto non contaminate e conformi al test di cessione possono essere riutilizzate in situ secondo le specifiche dell’art. 24 D.P.R. n. 120/2017;

c)    Le terre e rocce da scavo contenenti matrici materiali da riporto contaminate e non conformi al test di cessione sono fonti di contaminazione. In questo caso, esse possono essere, alternativamente e non cumulativamente:

1)    Rimosse (attraverso la bonifica oppure la messa in sicurezza operativa – cfr. art. 240 d. lgs. n. 152/2006);

2)    Messe in sicurezza permanente con le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili per il riutilizzo dell’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute (ogni qualvolta le norme sulle bonifiche prevedano l’applicabilità di tale ipotesi);

3)    Rese conformi ai limiti del test di cessione tramite trattamento per rimuovere i contaminanti (quando il suolo viene escavato e ai fini del suo eventuale successivo utilizzo e non ricorrano le condizioni per la gestione come sottoprodotto o per il riutilizzo in situ).

N.B. A pagina 4, al secondo capoverso, la circolare riporta un errore: anziché “legge 9 agosto 2013 n. 98”, avrebbe dovuto essere scritto “Legge 11 novembre 2014 n. 164”, in quanto la legge di conversione citata è sbagliata (non potrebbe nemmeno essere quella inserita poiché è precedente rispetto al decreto legge n. 133/2014 citato!).

Scarica in pdf il testo della circolare: Circolare-Ministero-Ambiente-2017-15786