Superamento dei limiti tabellari e acque reflue urbane: quando è reato? Cassazione Penale n. 24797/2019.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 24797 del 4 giugno 2019 (udienza del 13 febbraio 2019)
Pres. Lapalorcia, Est. Corbo

Acque. Inquinamento idrico. Superamento limiti tabellari e impianti di  trattamento delle acque reflue urbane. Residui da metabolismo umano. Art. 137 comma 6 d. lgs. n. 152/206. Esclusione. Illecito amministrativo. Sussistenza.
Non è configurabile il reato di cui all’art. 137, comma 6, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo vigente, a carico al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che, nell’effettuazione dello scarico, supera i valori-limite previsti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del medesimo decreto, anche quando si tratti di sostanze diverse da quelle indicate nella tabella 5 del precisato Allegato 5, come, ad esempio, e nella specie, nel caso di residui da metabolismo umano.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 24797 del 4 giugno 2019 (udienza del 13 febbraio 2019)

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 6 settembre 2018, il Tribunale di Messina, pronunciando in sede di riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina con riferimento all’impianto di depurazione del Comune di Saponara, ha confermato lo stesso in relazione ai reati di cui agli artt. 323, 328 primo comma, e 54 e 1161 cod. nav., ma lo ha annullato con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 137, comma 6, d. lgs. n. 152 del 2006, per condotte fino al 2018.
A fondamento della decisione in ordine alla fattispecie di cui all’art. 137, comma 6, d. lgs. n. 152 del 2006, l’ordinanza impugnata ha osservato che il superamento dei limiti tabellari, nella specie riscontrato con riferimento ai parametri COS, BOS ed Escherichia coli, integra il reato appena indicato solo quando attiene alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del d. lgs. n. 152 del 2006, ossia ai «metalli pesanti», mentre configura un illecito amministrativo quando concerne i residui provenienti dal metabolismo umano.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, articolando un unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge, avendo riguardo alla ritenuta non configurabilità del reato di cui all’art. 137, comma 6, d. lgs. n. 152 del 2006.
Si deduce che l’interpretazione della disposizione incriminatrice compiuta dal Tribunale è errata.
Si premette che l’art. 137, comma 6, d. lgs. n. 152 del 2006 prevede l’applicazione delle sanzioni di cui al comma 5 «al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma», e che l’art. 137, comma 5, d. lgs. cit., punisce «chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 […]».
Si osserva, innanzitutto, che, sebbene i valori limite di cui all’art. 137, comma 6, sono riferibili ai valori fissati nella tabella 3 dell’Allegato 5, applicabile ad un ampio numero di sostanze, la tabella 5 fa riferimento esclusivamente alle sostanze tipiche degli scarichi industriali, i cd. “metalli pesanti”, normalmente non presenti nei reflui fognari; di conseguenza, ritenere che l’art. 137, comma 6, d. lgs. n. 152 del 2006 si applichi solo con riferimento alle sostanze di cui alla tabella 5 significa renderlo, di fatto, inapplicabile in materia di scarichi reflui fognari, nonostante il superamento, in questi, dei valori fissati nella tabella 3 dell’Allegato 5.
Si rappresenta, in secondo luogo, che, prima delle modifiche recate all’art. 137, comma 5, d. lgs. n. 152 del 2006 dalla legge 25 febbraio 2010, n. 37, il reato di cui al successivo comma – rimasto immutato – era configurabile in caso di superamento dei valori limite previsti dalla tabella 3 ovvero, in alternativa, dal superamento dei limiti più restrittivi fissati dalla regione o da altro ente competente in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. La questione da esaminare è se sia configurabile il reato di cui all’art. 137, comma 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo vigente, a carico al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che, nell’effettuazione dello scarico, supera i valori-limite previsti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del medesimo decreto, anche quando si tratti di sostanze diverse da quelle indicate nella tabella 5 del precisato Allegato 5, come, ad esempio, e nella specie, nel caso di residui da metabolismo umano.
3. L’art. 137, comma 5, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel testo vigente a seguito delle modifiche recate dall’art. 1, comma 1, legge 25 febbraio 2010, n. 36, e dall’art. 11, comma 2, lett. d), d. lgs. 4 marzo 2014, n. 46, recita: «5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro.».
L’art. 137, comma 6, d. lgs. cit., poi, prevede: «6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.».
3. In giurisprudenza, si è più volte osservato, con riferimento allo scarico di acque reflue industriali, che il superamento dei limiti fissati dalla tabella 3 integra reato, a norma dell’art. 137 d. lgs. n. 152 del 2006 nel testo oggi vigente, solo ove esso riguardi le sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del d. lgs. cit. (così Sez. 3, n. 11884 del 21/02/2014, Palaia, Rv. 258704, e Sez. 3, n. 19753 del 19/04/2011, Bergamini, Rv. 250338).
In particolare, si è precisato che, siccome l’art. 137, comma 5, d. lgs. n. 152 del 2006, come modificato dalla legge n. 36 del 2010, prevede la sanzione penale esclusivamente nel caso in cui lo scarico avente ad oggetto acque reflue industriali riguarda una o più sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del citato d. lgs., con superamento dei valori limite indicati nella tabella 3, identiche condotte relative ad altre sostanze non costituiscono più reato e rientrano nell’ipotesi di cui all’art. 133, comma 1, del d. lgs. n. 152 del 2006, il quale, salvo che il fatto costituisca reato, punisce con la sanzione amministrativa lo scarico di materie estranee alla tabella 5 con superamento dei limiti indicati nelle tabelle dell’Allegato 5 (così, precisamente, Sez. 3, n. 11884 del 2014, cit.).
Altra decisione, poi, ha affermato che lo scarico da depuratore convogliante le acque reflue urbane, in assenza di elementi di prova forniti dal P.M. circa la prevalenza di reflui di natura industriale, deve essere ritenuto a natura mista ed i relativi reflui vanno qualificati come scarichi di acque urbane, con la conseguenza che la condotta di scarico senza autorizzazione, non integra il reato di cui all’art. 137, comma 5, d. lgs. n. 152 del 2006, ma un mero illecito amministrativo (Sez. 3, n. 1870 del 26/11/2015, dep. 2016, Copeti, Rv. 266016-01).
4. A avviso del Collegio, l’orientamento già manifestato dalla giurisprudenza con riferimento alla incidenza dei valori limite per lo scarico di acque reflue industriali deve essere applicato anche in caso di scarico di acque reflue urbane da parte dei gestori di impianti di trattamento delle stesse, sia per ragioni di ordine testuale, sia per ragioni sistematiche.
4.1. Innanzitutto, una significativa indicazione è fornita dal dato letterale.
In effetti, il comma 5 dell’art. 137, richiamato dal comma 6, riferisce specificamente «alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto» la rilevanza penale del superamento dei «valori limite fissati nella tabella 3», relativamente alla condotta consistente «nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali».
Ora, se si volesse leggere il comma 6 dell’art. 137 come implicante il riferimento ai soli valori limite e non anche alle sostanze indicati al comma 5, si introdurrebbe una differenza di trattamento a sfavore del «gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane» rispetto a chiunque effettua scarichi di acque reflue industriali, nonostante l’assenza di sufficiente chiarezza del dato normativo.
4.2. In secondo luogo, una conferma della correttezza di questa soluzione è desumibile alla luce di una prospettiva sistematica, diversamente da quanto rileva il Pubblico ministero ricorrente.
Invero, l’art. 133, comma 1, d. lgs. n. 152 del 2006, stabilisce: «1. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato e fuori dei casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29-quattuordecies, commi 2 e 3, nell’effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 101, comma 2, o quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, o dell’articolo 108, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa da tremila euro a trentamila euro. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a ventimila euro.». L’art. 29-quattuordecies del d. lgs. n. 152 del 2006, nel testo oggi vigente per effetto delle modifiche, recate, da ultimo dall’art. 7, comma 13, d. lgs. n. 46 del 2014, al comma 2, prevede: «2. Salvo che il fatto costituisca reato, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente.». Lo stesso articolo, al comma 3, dispone: «3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente nel caso in cui l’inosservanza: a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’articolo 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa; b) sia relativa alla gestione di rifiuti; c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa.
Da un esame combinato delle disposizioni citate, è possibile evincere che: a) tutte le violazioni dei valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 – e, quindi, anche quelle di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 – alla parte terza del d. lgs. n. 152 del 2006 sono sanzionate, in ogni caso, in via amministrativa; b) persino in relazione ai soggetti in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale (in genere non necessaria per la gestione di impianti di trattamento delle acque reflue urbane: cfr. nota del Ministero dell’Ambiente 17 giugno 2015, prot. n. 12422), la violazione dei valori limite di emissione, quando non attiene a scarichi di acque reflue industriali, rileva penalmente solo a determinate condizioni, ed è punita, comunque, con «la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro», invece che con «l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro», fissati dall’art. 137, commi 5 e 6, d. lgs. n. 152 del 2006.
Di conseguenza, ritenere che il gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane il quale, nell’effettuazione dello scarico, supera i valori-limite previsti dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del medesimo decreto in relazione a sostanze diverse da quelle indicate nella tabella 5 del medesimo Allegato 5, sia soggetto alle sanzioni di cui all’art. 137, commi 5 e 6, d. lgs. n. 152 del 2006, significa riservare allo stesso un trattamento significativamente deteriore rispetto a quello previsto a carico del titolare di autorizzazione integrata ambientale, e così accogliere una soluzione non agevole da giustificare in termini di ragionevolezza e di proporzione. Inoltre, l’inapplicabilità delle sanzioni di cui all’art. 137, commi 5 e 6, d. lgs. n. 152 del 2006 non implica lacune nel sistema sanzionatorio, perché, in ogni caso, è prevista dal sistema una consistente sanzione amministrativa.
4.3. A fronte delle indicate ragioni testuali e sistematiche, è del tutto recessivo l’argomento storico segnalato dal Pubblico ministero ricorrente, riferito al testo dell’art. 137, comma 5, d. lgs. n. 152 del 2006 come vigente prima delle modifiche recate dalla legge 25 febbraio 2010, n. 37.
3. Alla infondatezza delle censure, segue il rigetto del ricorso. In considerazione di quanto previsto dall’art. 616 cod. proc. pen., essendo il ricorrente una parte pubblica, non si dispone condanna dello stesso al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in data 13 febbraio 2019

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