URBANISTICA. Le finalità del sequestro preventivo penale e quelle della sospensione dei lavori in via amministrativa. Cassazione Penale n. 30623/2022.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 30623 del 3 agosto 2022 (ud. del 16 giugno 2022)

Pres. Di Nicola, Est. Noviello

Urbanistica. Ordinanza di sospensione lavori e sequestro preventivo. Art. 321 c.p.p. .

Il sequestro preventivo tende ad assicurare le finalità della giustizia penale, le quali sono completamente diverse da quelle cui tendono le norme amministrative; cosicché in tema di sequestro preventivo per il reato di edificazione abusiva, l’intervenuta sospensione dei lavori disposta in via amministrativa non comporta, per ciò solo, la mancanza del requisito del “periculum in mora“, essendo comunque necessario accertare se detta sospensione possa soddisfare le esigenze poste alla base del vincolo cautelare.

Il pericolo concreto ed attuale, posto a base del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, di prosecuzione del reato edilizio e di aggravamento delle sue conseguenze, non viene meno per l’intervento dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dalla pubblica amministrazione; tale provvedimento, infatti, non costituisce atto inidoneo a far cessare le esigenze cui è finalizzata la cautela reale, in quanto è revocabile dalla stessa amministrazione, è caratterizzato da efficacia provvisoria e temporalmente determinata ed è, inoltre, suscettibile di sospensiva nella competente sede giurisdizionale.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 30623 del 3 agosto 2022 (ud. del 16 giugno 2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22 marzo 2022 il tribunale del riesame di Savona, adito ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen. nell’interesse di OMISSIS e OMISSIS, avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip dello stesso tribunale in relazione ad un fabbricato denominato B, rigettava la domanda.

2. Avverso la ordinanza del predetto tribunale, OMISSIS e OMISSIS, tramite il difensore, hanno proposto ricorso per Cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.

3. Rappresentano con il primo motivo il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. Il tribunale non avrebbe accertato la sussistenza di un comportamento colposo, limitandosi a desumere la colpa dalla asserita macroscopica illegittimità dei permessi di costruire. In realtà emergerebbe ictu oculi la buona fede della ricorrente Polizzi, alla luce degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico Ministero e citati in ricorso: quali i due permessi di costruire privi di autorizzazione paesaggistica, il parere favorevole della Commissione edilizia integrata che non ha segnalato vincoli, una scheda paesaggistica integrante istanza di autorizzazione ambientale, le sit del Funzionario competente del Comune, che avrebbe scoperto l’esistenza del vincolo paesaggistico dopo il rilascio del permesso di costruire, l’assenza di cognizioni tecniche in capo alla ricorrente OMISSIS. Si ribadisce ancora la buona fede, in ragione di certificati e provvedimenti e condotte della P.A., che avrebbero ingenerato la convinzione dell’assenza del vincolo in parola, citandosi in proposito anche plurime decisioni giurisprudenziali. E si evidenzia come, per legge, il certificato di destinazione urbanistica, diversamente da quanto sostenuto in ordinanza, deve anche indicare la eventuale sussistenza di vincoli paesaggistici. E tuttavia nessuno dei 4 CDU agli atti reca indicazione del contestato vincolo paesaggistico.
Da qui, sul punto, il vizio di violazione di legge dell’inciso motivazionale.

Si osserva altresì, quanto alla scheda paesaggistica citata dal tribunale e priva di indicazione di vincoli paesaggistici, che il tecnico avrebbe presentato la medesima in via cautelativa, quale istanza di autorizzazione paesaggistica omettendo di “spuntare” le caselle contenute nel modulo, demandando alla P.A. a ciò competente le dovute verifiche. Profili questi non considerati dal collegio della cautela, ed inoltre si contesta l’assunto per cui l’omesso conseguimento della autorizzazione sarebbe da ascriversi alle incongruenze riscontrate nella scheda paesaggistica, posto che sono intervenuti ben due permessi di costruire, all’esito di un’istruttoria e di un procedimento comprensivo di parere della Commissione edilizia integrata,  per il primo e della commissione edilizia per il secondo, all’interno della quale procedura era l’UTC a dover verificare l’eventuale presenza di vincoli paesaggistici. Acquisendo i relativi nulla osta.

L’affidamento quindi, del privato, sarebbe anche connesso peraltro ad una prassi per cui l’UTC non ha mai ritenuto la zona di interesse soggetta a vincolo paesaggistico.

4. Con il secondo motivo, deducono il vizio di violazione di legge. Si osserva che il fabbricato b) sarebbe stato portato all’attuale consistenza nel 2012, con cessazione di ogni altra attività come emergerebbe da una serie di dati citati in ricorso. In particolare, sarebbe stato costruito al rustico tra il 2010 e il 2013 alla luce di ortofoto. Rispetto a tale abuso i reati sarebbero prescritti. Mentre i lavori in corso al momento dell’accertamento erano esecutivi di un diverso progetto, autorizzato da autonomo titolo edificativo del 2021. Solo rispetto a tale intervento il momento consumativo potrebbe essere fatto coincidere con la data dell’accertamento. Si contesta quindi l’esclusione, da parte del tribunale, della prescrizione delle opere realizzate in esecuzione del primo titolo edificatorio del 2009, con limitazione del sequestro ad una sola scala esterna relativa al secondo intervento. Si rappresenta, in particolare, l’assenza di motivazione rispetto alla esclusione della invocata prescrizione, non essendo dato comprendere l’iter logico seguito per sostenere, a fini di esclusione della prescrizione, l’unitarietà delle opere. Si aggiunge che non può eccepirsi che l’intervento realizzato con permesso di costruire del 2021 costituisca prosecuzione di quello autorizzato nel 2009, atteso che il frazionamento, il recupero del sottotetto e la realizzazione di scala esterna di accesso alla nuova unità abitativa assentiti nel 2021 sono autonomi rispetto al pregresso, e incompatibili addirittura con il precedente intervento. Posto che in origine il fabbricato b) era disegnato come monofamiliare mentre nell’intervento sopravvenuto compare come frazionato in due unità abitative indipendenti. A conferma deporrebbe l’art. 15 del DPR 380/01, per cui la realizzazione della parte di intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso.

5. Con il terzo motivo deducono il vizio di violazione di legge, contestandosi la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari anche rilevando il travisamento e difetto di motivazione. In particolare il tribunale si sarebbe limitato a rilevare come il provvedimento di sospensione dei lavori, emesso dall’UTC, avrebbe una durata di soli 45 giorni ormai spirata, senza tenere conto che nonostante la risalente scadenza il privato si sarebbe autonomamente astenuto dal proseguire le opere. Con illogicità quindi della motivazione, oltre che con violazione di legge e carenza della motivazione medesima.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 – 01 Napoli; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). Si è altresì specificato che in caso di ricorso per cassazione proposto contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo esso, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Rv. 254893).

1.1. Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 – dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 – dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all’elemento psicologico del reato e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell’impugnazione.
1.2. Ciò, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività. Alla Corte di Cassazione è, infatti, attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte. L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 – dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657).

2. Nel caso in esame, il primo motivo, volto a sostenere un vizio di violazione di legge a fronte della ritenuta buona fede dei ricorrenti, si sviluppa in una articolata illustrazione di dati che, nella prospettiva difensiva, dimostrerebbero la predetta tesi. Ma proprio l’articolazione della illustrazione a supporto è eloquente nel dimostrare come venga prospettata una valutazione del merito della vicenda, lontana da ogni vizio di violazione di legge – come dedotto –, che come noto presuppone la sussistenza di dati incontestati, rispetto ai quali si disquisisca della corretta veste giuridica. Si prospetta invero, a fronte di una motivazione sussistente ancorchè non condivisa, un vizio di motivazione distinto dalla carenza della stessa, in questa sede inammissibile.

3. Infondato è anche il secondo motivo, alla luce della complessiva lettura del provvedimento genetico (in cui si descrivono opere ancora in corso anche con rinvio ad apposite foto) e della ordinanza impugnata, da cui emerge la realizzazione sul medesimo manufatto (b) di progressivi interventi tra loro connessi, per cui coerente è il rilievo della unitarietà delle iniziative edilizie, rappresentate peraltro come ancora in corso. Senza che sul punto, per quanto già esposto, possa contrapporsi in questa sede una diversa ricostruzione dei fatti.

4. Quanto al terzo motivo, appare manifestamente infondato, atteso che i giudici hanno correttamente motivato circa il periculum in mora. Essi infatti da una parte hanno congruamente confutato gli argomenti difensivi spesi in ordine alla ritenuta rilevanza dell’ordine amministrativo di sospensione, coerentemente sottolineando l’autonomia tra gli ordini amministrativi di sospensione delle opere, limitati nel tempo, e le valutazioni giurisdizionali volte a verificare i rischi eventualmente correlati alla persistente libera disponibilità di abusi edilizi. In tal modo assicurando coerente applicazione a conformi indirizzi giurisprudenziali, da ribadire in questa sede, per cui  il pericolo concreto ed attuale, posto a base del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, di prosecuzione del reato edilizio e di aggravamento delle sue conseguenze, non viene meno per l’intervento dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dalla pubblica amministrazione; tale provvedimento, infatti, non costituisce atto inidoneo a far cessare le esigenze cui è finalizzata la cautela reale, in quanto è revocabile dalla stessa amministrazione, è caratterizzato da efficacia provvisoria e temporalmente determinata ed è, inoltre, suscettibile di sospensiva nella competente sede giurisdizionale. (Sez. 3, n. 1340 del 20/03/1996 Rv. 204760 – 01). In linea con tale impostazione, si è anche precisato che sussiste il requisito del “periculum in mora”, necessario per l’emanazione di un provvedimento di sequestro preventivo di un’area e del relativo cantiere realizzato in violazione di norme edilizie, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., anche nel caso in cui il sindaco abbia sospeso la concessione edilizia e sia stata rigettata dal T.A.R. la richiesta cautelare di sospensiva del provvedimento sindacale. Infatti, il sequestro di cui al predetto articolo tende ad assicurare le finalità della giustizia penale, le quali sono completamente diverse da quelle cui tendono le norme amministrative (Sez. 6, n. 1747 del 14/05/1998 Rv. 211075 – 01); cosicchè in tema di sequestro preventivo per il reato di edificazione abusiva, l’intervenuta sospensione dei lavori disposta in via amministrativa non comporta, per ciò solo, la mancanza del requisito del “periculum in mora”, essendo comunque necessario accertare se detta sospensione possa soddisfare le esigenze poste alla base del vincolo cautelare (Sez. 3 n. 47372 del 24/11/2011 Rv. 251964 – 01).
Operate le suindicate considerazioni, i giudici hanno quindi specificamente verificato la concreta sussistenza del rischio di prosecuzione dell’abuso, evidenziando in proposito come si tratti di lavori in corso, in coerenza con quanto anche evincibile dallo stesso provvedimento genetico.
In tale quadro, la notazione difensiva per cui non si sarebbe tenuto conto della intervenuta astensione dalla prosecuzione delle opere da parte del privato interessato, oltre a non risultare dedotta in sede di riesame, appare meramente assertiva, tanto più alla luce della sussistenza del vincolo cautelare apposto sulle opere, e qui in contestazione.

5.Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 6 2022

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