URBANISTICA. Ordine di demolizione alla luce del principio proporzionalità per evitare la compromissione di altri diritti fondamentali. Cassazione Penale n. 5822/2022.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5822 del 18 febbraio 2022 (ud. del 18 gennaio 2022)

Pres. Sarno Est. Corbo

Urbanistica. Assenza di permesso a costruire. Ordine di demolizione e principio di proporzionalità.

Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo “procedurale”.

Ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha infatti valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata.

 

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5822 del 18 febbraio 2022 (ud. del 18 gennaio 2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza adottata in data 14 luglio 2021, e depositata il 19 luglio 2021, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’istanza con la quale OMISSIS e OMISSIS avevano chiesto la revoca dell’ingiunzione a demolire un immobile abusivamente realizzato.

Il Tribunale, in particolare, ha affermato che: -) l’ordine di demolizione non si estingue per decorso del tempo come la pena; -) l’esecuzione degli ordini di demolizione riguardanti le procedure esecutive successive al 28 novembre 1997 compete al pubblico ministero, in forza dei principi enunciati dalla sentenza delle Sez. U, n. 16 del 1996, Monterisi, e della circolare del Ministero della Giustizia del 20 novembre 1997, diramata il 28 novembre 1997; -) l’ordine di demolizione disposto con la sentenza penale di condanna non duplica la sanzione amministrativa; -) la difesa non ha fornito alcun elemento da cui inferire la probabilità di un provvedimento di sanatoria in tempi ragionevolmente prevedibili.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe OMISSIS e OMISSIS, con un unico atto sottoscritto dall’avvocato Filippo Torrente, articolando tre motivi, preceduti da una premessa, nella quale si precisa che, con memoria depositata il 23 aprile 2021, erano stati svolti motivi conseguenti ai principi affermati da Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270-01, unitamente ad allegazione di documentazione relativa ai redditi del nucleo familiare e alle visure catastali.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 32 e 47 Cost. e 8 CEDU, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla tutela del diritto all’abitazione e al rispetto della vita privata e familiare.
Si deduce che la giurisprudenza della Corte EDU, proprio con riferimento all’ordine di demolizione dell’unica casa di una famiglia, evidenzia la necessità di un equo contemperamento tra il principio di legalità e l’esigenza di assicurare protezione ai diritti fondamentali. Si evidenzia, in particolare, che: -) Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, pone l’obbligo di una valutazione in termini di proporzionalità tra l’ordine di demolizione e le condizioni personali dei controinteressati, in ragione delle loro limitate risorse economiche e della protrazione per anni della vita familiare nell’immobile da eliminare; -) Corte EDU 2007, Hamer c. Belgio, ritiene costituire sanzione penale l’ordine di demolizione per un abuso edilizio da eseguire a distanza di numerosissimi anni dalla data dell’accertamento, per un ritardo non imputabile a condotte ostruzionistiche dei controinteressati; -) Corte EDU, Chapman, evidenzia la necessità di valutare la disponibilità di idonee sistemazioni alternative o la possibilità di trattamenti meno severi. Si segnala, poi, che, la giurisprudenza di legittimità ha più volte richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, rilevando che occorre procedere ad una valutazione della proporzionalità dell’ordine di demolizione alla luce di vari fattori, tra i quali l’età avanzata, la povertà ed il basso reddito dell’interessato (si citano: Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270; Sez. 3, n. 48833 del 04/05/2018; Sez. 3, n. 17398 del 19/03/2019, Proscio; Sez. 3, n. 15141 del 20/02/2019, Pignalosa). Si osserva, quindi, che, in passato, la giurisprudenza, in tema di amnistia, aveva ritenuto costruzioni di limitata entità volumetrica le abitazioni aventi una superficie non superiore ai 130/150 metri quadrati.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta competenza del pubblico ministero quale organo dell’esecuzione.

Si deduce che, come evidenzia la stessa ordinanza impugnata, la competenza del pubblico ministero in materia di esecuzione dell’ordine di demolizione è riconosciuta per le procedure successive al 28 novembre 1997, e che, però, come si evince dal certificato di famiglia storico, la famiglia dei ricorrenti era residente nell’immobile sin dal 27 agosto 1996, e, come emerge dagli accertamenti di polizia giudiziaria, l’abuso edilizio era stato già commesso alla data del 20 aprile 1995.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata risposta del Giudice in ordine alle questioni formulate nella memoria depositata il 23 aprile 2021 in sede di incidente di esecuzione.

Si deduce che il provvedimento impugnato ha omesso di dare qualunque risposta ai rilievi formulati nella memoria depositata il 23 aprile 2021, e concernenti, in particolare, sia il rispetto di proporzionalità della misura, perché relativa all’unica abitazione degli istanti, tra l’altro in condizioni economiche precarie, sia l’affidamento legittimamente maturato a seguito della lunga inerzia nell’eseguire il provvedimento del giudice. Si aggiunge che il giudice dell’esecuzione ha il dovere di decidere in ordine alle questioni formulate solo con memoria in corso di procedimento, posto che l’incidente di esecuzione non ha natura di impugnazione (si cita Sez. 1, n. 51053 del 13/07/2017).
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono nel complesso infondati per le ragioni di seguito precisate.

2. Risulta doverosa una precisazione in via preliminare.

Le questioni dedotte dal ricorrente nel corso del procedimento di esecuzione con la memoria, ed aventi ad oggetto la tutela del diritto all’abitazione alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, debbono ritenersi ritualmente proposte, anche se non formulate nell’istanza introduttiva della procedura, e, quindi, sono da esaminare in questa sede.

Invero, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il procedimento di esecuzione non ha natura di giudizio di impugnazione e perciò non soggiace al principio devolutivo, volto a delimitare il concreto contenuto dell’esecuzione; conseguentemente sussiste il dovere del giudice di decidere anche in ordine alle domande nuove formulate dalla parte privata solo con memoria in corso di procedimento, fatta salva la necessità che, a salvaguardia del principio del contraddittorio, sia garantito alla parte pubblica un termine per controdedurre (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 51053 del 13/07/2017, Palau Giovannetti, Rv. 271457-01, nonché Sez. 3, n. 47266 del 04/11/2005, Conversano, Rv. 233261-01, ma anche, più di recente, Sez. 1, n. 1229 del 11/11/2020, dep. 2021, Marseglia, Rv. 280217-01).

3. Infondate sono le censure esposte nel primo e nel terzo motivo dei ricorsi, da esaminare congiuntamente perché strettamente connesse, le quali contestano la legittimità dell’ordine di demolizione per la violazione del diritto all’abitazione ed al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti di cui all’art. 8 CEDU, deducendo il difetto di proporzionalità della misura in ragione, in particolare, dell’omessa considerazione delle circostanze concernenti l’assenza di altre proprietà da part dei ricorrenti, le limitate risorse economiche dei medesimi e la protrazione per molti anni della vita familiare nell’immobile da demolire.

4. Appare utile premettere che è ammissibile, in sede di legittimità, l’esame della questione relativa alla violazione del diritto all’abitazione ed al rispetto della vita privata e familiare con riguardo all’esecuzione dell’ordine, emesso da una pubblica autorità, di demolizione di un immobile abusivamente costruito, sotto il profilo del difetto di proporzionalità della misura, a norma dell’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU.

Invero, come già osservato in giurisprudenza, «l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, ed adibito ad abituale abitazione di una persona, costituisce principio rispondente all’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU, ed è applicabile da parte del giudice italiano in forza di interpretazione sistematica adeguatrice» (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270-01, § 6.2 del Considerato in Diritto; cfr., per la rilevabilità di ufficio della violazione dell’art. 8 CEDU con riferimento all’ordine di demolizione di un immobile abusivo, Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, in corso di massimazione).

A fondamento di questo principio, va innanzitutto osservato che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, i principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione – convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne (così Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486-01, in motivazione, specificamente § 5, ma anche § 8.2).

Va poi rilevato che, in forza del convergente insegnamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, i principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte EDU debbo essere ritenuti vincolanti solo quando questa risulta consolidata, nei sensi precisati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 (cfr., per indicazioni recenti, Corte cost., sent. n. 66 del 2019, § 9 del Considerato in diritto, nonché Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054-01, anche in sede di formale enunciazione del principio di diritto, § 7 del Considerato in diritto).

Va quindi evidenziato che la Corte EDU ha ripetutamente, e senza contrasti, affermato l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un’immobile illegalmente edificato, quando questo sia destinato ad abituale abitazione della persona interessata (cfr.: Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria; Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania; Corte EDU, 23/03/2021, Ghailan ed altri c. Spagna).

4. L’elaborazione della giurisprudenza della Corte EDU relativamente al principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, emesso da una pubblica autorità, risulta offrire coordinate convergenti.

In questa sede si procederà all’analisi delle decisioni appena citate – Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria; Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania; Corte EDU, 23/03/2021, Ghailan ed altri c. Spagna – perché hanno specificamente approfondito il principio, nonché Corte EDU, 27 novembre 2007, Hamer c. Belgio, perché puntualmente citata dal ricorrente.

4.1. Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, concernente un provvedimento emesso da un’autorità amministrativa sottoposta a controllo giurisdizionale amministrativo, in assenza di un procedimento penale, premette che il problema del rispetto del principio di proporzionalità nell’esecuzione dell’ordine di demolizione è rilevante solo quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona, di cui all’art. 8 della CEDU, il quale è configurabile in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione della stessa, e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà, garantito dall’art. 1 del Prot. 1 CEDU (cfr. le chiarissime osservazioni contenute nei §§ 54 e 73-76).

La precisata pronuncia, poi, rappresenta che il principio di proporzionalità impone che la persona interessata ad opporsi ad un ordine di demolizione per una costruzione illegale abbia il diritto a ricevere un attento esame delle proprie ragioni da parte di un tribunale indipendente, e che, ai fini di questo esame, sia prestata attenzione anche alle personali condizioni del destinatario del provvedimento ablatorio e ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione (cfr. spec. § 59).

Va peraltro rilevato che questa decisione è stata adottata a maggioranza e che vi è stata una opinione parzialmente dissenziente, nella quale si è sottolineato come può essere eccessivo richiedere un controllo dettagliato sul rispetto del principio di proporzionalità, stante l’esigenza di assicurare il rispetto della pianificazione del territorio (opinione parzialmente dissenziente del Giudice Vehabovič).
4.2. Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, anch’essa relativa ad un provvedimento ablatorio emesso da un’autorità amministrativa, ribadisce l’esigenza del rispetto del principio di proporzionalità in caso di ordine di demolizione di costruzioni illegali, ma ritiene più limitati gli ambiti di tutela del privato.
La sentenza appena citata, soprattutto, afferma che è altamente significativa («highly relevant») la circostanza della illegale edificazione dell’abitazione, precisando di essere riluttante («will be slow») ad assicurare tutela a chi ha sfidato la legge, per evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con le esigenze di protezione dell’ambiente quale interesse pubblico (cfr., specificamente, § 56), e reputa di fondamentale importanza la possibilità per l’interessato di far valere eventuali violazioni del principio di proporzione davanti ad un Tribunale indipendente (v. § 57).

In applicazione di questi principi, la pronuncia esclude che, nella specie, l’esecuzione dell’ordine di demolizione dell’appartamento adibito a proprio domicilio abbia determinato la violazione del diritto di cui all’art. 8 della CEDU. In particolare, la Corte EDU valorizza la consapevolezza dell’illegalità della edificazione al momento del compimento di tale attività, e, quindi, l’atteggiamento di cosciente sfida ai divieti normativi (cfr. §§ 58 e 59), nonché la concessione di adeguati periodi di tempo per consentire all’interessato di “legalizzare”, se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative (v. § 63), e indica espressamente tali circostanze come prevalenti sulle condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito del ricorrente (§ 64).

4.3. Corte EDU, 23/03/2021, Ghailan ed altri c. Spagna, sempre riferita ad un provvedimento emesso da un’autorità amministrativa, osserva preliminarmente, anche alla luce della precedente elaborazione giurisprudenziale, che l’art. 8 della CEDU non riconosce, come tale, il diritto ad essere provvisto di un’abitazione («a right to be provided with a home»), né il diritto a vivere in un particolare luogo (v. § 53), e che l’interferenza sul diritto riconosciuto dall’art. 8 della CEDU è legittima anche quando il solo scopo di essa è quello di evitare la realizzazione di edifici senza permesso di costruire (cfr. § 60).

La medesima pronuncia, poi, osserva che gli elementi rilevanti ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità sono, principalmente: la legalità o l’illegalità dell’edificazione; la consapevolezza della illegalità da parte degli interessati al momento dell’edificazione; la natura ed il grado dell’illegalità; la specifica natura degli interessi protetti dall’ordine di demolizione; la possibilità di accettabili sistemazioni alternative per i destinatari dell’ordine di demolizione; la possibilità di soluzioni meno gravose (v. § 64).

In applicazione dei principi appena indicati, la pronuncia esclude che, nella specie, l’esecuzione dell’ordine di demolizione dell’appartamento adibito a proprio domicilio abbia determinato la violazione del diritto di cui all’art. 8 della CEDU. A tal proposito, in particolare, la Corte EDU rappresenta che: -) i ricorrenti hanno avuto l’effettiva possibilità, pur non sfruttandola, di far valere le proprie ragioni davanti alle autorità amministrative e giurisdizionali, in particolare davanti ad un tribunale indipendente (cfr. spec. §§ 76 e 80); -) l’ordine non ha avuto un impatto insostenibile sui diritti dei minori, in quanto fu eseguito alla fine dell’anno scolastico (v. § 77); -) la possibilità di fruire di sistemazioni abitative alternative non implica l’obbligo per la pubblica autorità di fornire un alloggio ai destinatari di un ordine di demolizione (così § 78); -) i ricorrenti non hanno dimostrato di aver agito con diligenza per cercare per un altro alloggio, anche perché le domande per ottenere un’abitazione dai servizi sociali, pur presentate, non sono state coltivate con la produzione della documentazione aggiuntiva richiesta (v. § 79).

4.4. Corte EDU, 27 novembre 2007, Hamer c. Belgio, riguardante un ordine di demolizione concernente una casa di vacanza, ha ravvisato la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui agli artt. 6, § 1, e 16 CEDU, ma non anche la violazione del diritto alla proprietà di cui all’art. 1 Prot. N. 1 CEDU.

Con riferimento al profilo della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la decisione ha ritenuto eccessivo il tempo trascorso tra la data della constatazione dell’illecito edilizio da parte dell’autorità di polizia e la decisione finale della Corte di cassazione, pari a quasi nove anni, ma non ha preso in alcun modo in considerazione, a tali fini, anche l’ulteriore periodo maturato tra questa decisione e la demolizione del manufatto.

Relativamente all’aspetto della violazione del diritto alla proprietà, la pronuncia ha escluso che l’ordine di demolizione costituisce una ingerenza sproporzionata dei pubblici poteri nonostante la prima contestazione da parte dell’autorità di polizia in ordine alla illegalità dell’immobile fosse avvenuta a distanza di ben ventisette anni dalla costruzione dell’edificio, e sebbene questa attività illecita fosse stata realizzata da altri. Ha osservato, anzi, specificamente, che la condizione del ricorrente di non essere il proprietario dell’immobile al momento della costruzione della casa e l’assenza di reazione dimostrata dalle autorità per un lungo periodo non potevano creare nel medesimo l’impressione di essere al sicuro da procedimenti penali, essendo il reato imprescrittibile secondo la legge belga e potendo il pubblico ministero decidere in qualsiasi momento di agire per far applicare la legge (così § 85).

4.5. In sintesi, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, opera esclusivamente in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione di una persona, ed implica, principalmente, garanzie di tipo “procedurale”.

Ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha infatti valorizzato essenzialmente: la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata.
5. Le conclusioni appena esposte sul contenuto del principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire, risultano trovare ampio riscontro nella giurisprudenza di legittimità che si è già confrontata con le pronunce della Corte EDU.
La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell’ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo “cagionevole”») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, in corso di massimazione, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massimata).
Anche la decisione ripetutamente citata dai ricorrenti, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270-01, pur annullando con rinvio l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva respinto l’opposizione avverso l’ingiunzione a demolire, ha evidenziato soltanto un difetto di motivazione di tale provvedimento. Precisamente, l’indicata pronuncia ha chiesto al giudice del rinvio, al fine dell’assunzione di una corretta decisione sulla legittimità dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, di valutare: «se il ricorrente, nel momento in cui ha realizzato abusivamente l’attività edificatoria, avesse consapevolezza di agire illegalmente, ovvero, in caso contrario, quale fosse il grado della sua colpa; quali siano stati i tempi a disposizione del medesimo, dopo la definitività della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile, e comunque per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative; quali siano le effettive condizioni di salute e socio-economiche del ricorrente e se le stesse, in concreto, esplichino rilevanza sul giudizio concernente il rispetto del principio di proporzionalità, eventualmente anche solo in relazione al profilo della valutazione della congruità del tempo concesso al ricorrente».

6. In considerazione di quanto precedentemente esposto, deve escludersi che, nella specie, sia stato violato il principio di proporzionalità nell’applicazione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, a norma dell’art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, o che l’omessa risposta alle deduzioni contenute nella memoria depositata nel corso dell’incidente di esecuzione abbia determinato un vizio di motivazione rilevante.

Innanzitutto, l’immobile oggetto dell’ordine di demolizione è stato realizzato, oltre che in assenza di titoli abilitativi, in violazione di più disposizioni sanzionate penalmente, così come accertato da sentenza di condanna passata in giudicato a carico di entrambi i ricorrenti. Occorre evidenziare, infatti, che i ricorrenti sono stati condannati sia per il reato urbanistico, sia per reati posti a tutela del paesaggio, ivi compreso quello di cui all’art. 734 cod. pen., sia per reati derivanti dalla violazione delle disposizioni in materia antisismica e di costruzioni in cemento armato, sia per il delitto continuato di violazione di sigilli aggravato dalla qualità di custode. Particolarmente significativo, anzi, appare che gli stessi abbiano proseguito i lavori nonostante l’apposizione dei sigilli; in altri termini, al fine di poter continuare l’attività edificatoria illegale, hanno commesso più volte anche il reato di cui all’art. 349, secondo comma, cod. pen.

I ricorrenti, inoltre, hanno potuto avvalersi di specifici e plurimi rimedi per far valere le loro ragioni al fine di evitare l’applicazione o l’esecuzione dell’ordine di demolizione. Da un lato, infatti, l’ordine di demolizione è stato applicato con sentenza di primo grado, e quindi poteva essere contestato con gli ordinari mezzi di impugnazione previsti nel giudizio di cognizione. Dall’altro, poi, dopo che la condanna è divenuta irrevocabile, in data 7 luglio 2000, i ricorrenti avrebbero potuto verificare se vi fosse la possibilità di una “sanatoria” dell’abuso, e hanno potuto far ricorso all’incidente di esecuzione, procedimento giurisdizionale nel quale è consentito sia evidenziare eventuali sopravvenienze idonee ad impedire l’attuazione dell’ordine di demolizione, come appunto una “sanatoria”, sia contestare le modalità di esecuzione del precisato provvedimento.
I ricorrenti, ancora, hanno avuto a disposizione moltissimo tempo per individuare altre sistemazioni abitative, e non hanno documentato alcuna impossibilità in proposito. L’unica deduzione potenzialmente rilevante, quella relativa alla modestia dei redditi familiari, è stata prospettata in termini generali, e non unitamente ad altri elementi, in modo da giustificare compiutamente l’impossibilità di accesso ad altre sistemazioni abitative, la quale è da valutare anche tenendo conto delle prestazioni fornite dalla pubblica autorità.

Infine, non è stata indicata alcuna specifica esigenza di rinviare l’esecuzione dell’ordine di demolizione al fine di evitare la compromissione di altri diritti fondamentali.

7. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo dei ricorsi, che criticano la preposizione alla procedura di demolizione del pubblico ministero invece che dell’autorità amministrativa, poiché questa è stata riconosciuta solo per le procedure successive al 28 novembre 1997.
In disparte da ogni altra considerazione circa l’efficacia normativa o meramente interpretativa della Circolare ministeriale in materia, è sufficiente considerare che la questione relativa all’individuazione del soggetto “competente” ad eseguire l’ordine di demolizione riguarda profili procedimentali della fase di esecuzione, in relazione ai quali la disciplina applicabile si individua sulla base del principio tempus regit actum, ossia con riguardo alle disposizioni vigenti nel momento in cui l’atto deve essere compiuto (per applicazioni del principio del tempus regit actum nel processo di esecuzione in caso di modifica della competenza del giudice, v. Sez. 1, n. 2189 del 15/06/2006, Sambruni, Rv. 234290-01, e Sez. 1, n. 17003 del 28/02/2003, Rucci, Rv. 224159-01).

Nella specie, l’ingiunzione a demolire è stata impartita per l’attuazione dell’ordine contenuto nella sentenza pronunciata il 18 febbraio 2000, e divenuta irrevocabile il 7 luglio 2000.

Risulta evidente, quindi, che non solo l’attivazione del procedimento di esecuzione, ma lo stesso titolo da eseguire sono di molto successivi al 28 novembre 1997, data in cui, a dire del ricorrente, sarebbe stata istituita la “competenza” del pubblico ministero in sostituzione di quella dell’autorità amministrativa.
8. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 18/01/2022

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