URBANISTICA. Differenze tra scavi per usi agricoli e per usi diversi. Cassazione Penale n. 12936/2022.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 12936 del 6 aprile 2022 (ud. del 10 marzo 2022)
Pres. Ramacci, Est. Scarcella

Urbanistica. Scavi. Differenza tra interventi per attività agricole e per usi diversi.

La giurisprudenza penale distingue tra diverse ipotesi di scavo, sbancamenti, livellamenti di terreno. Tale tipologia di intervento può essere infatti così suddivisa: interventi finalizzati ad attività agricole, interventi finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli che incidono sul tessuto urbanistico del territorio, interventi prodromici alla realizzazione di un immobile.

Nel primo caso non si ritiene necessario il permesso di costruire che, al contrario, è richiesto negli altri due casi.

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 12936 del 6 aprile 2022 (ud. del 10 marzo 2022)

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28 ottobre 2021, il tribunale di Agrigento ha rigettato la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di OMISSIS e OMISSIS, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Agrigento in data 7 ottobre 2021 ed avente ad oggetto un’area interessata da interventi eseguiti, secondo l’incolpazione provvisoria, in violazione degli art. 110 cod. pen., 44, lett. c) d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004 e consistenti in movimenti di terra con mini-escavatore, apertura di una stradella in terra battuta avente una lunghezza di circa 90 metri e una larghezza di circa 2,50 metri, nonché di un fosso profondo 5 metri, lungo 4 metri e largo 3 metri. Il tutto in una riserva naturale, zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico ed in assenza dei necessari titoli abilitativi (fatti accertati in data 13 settembre 2021).

2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, le predette propongono congiuntamente ricorso per cassazione a mezzo del comune difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito sinteticamente indicati.

2.1. Deducono, con il primo motivo, che la contestazione della violazione paesaggistica sarebbe priva di fondamento, essendo il provvedimento impugnato caratterizzato da plurimi travisamenti dei fatti, segnatamente per quanto riguarda l’indeterminatezza e l’erronea indicazione dei fondi ove sarebbero state realizzate le opere oggetto di contestazione provvisoria e la preesistenza delle opere realizzate, essendo l’intervento limitato ad operazioni di “scerbatura” su una fossa idrica ed una stradella preesistenti e consistente nella semplice lavorazione meccanica del terreno.

Assumono, inoltre, che le opere eseguite non avrebbero determinato alcun danno e che sarebbe insussistente il fumus dei reati contestati.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il difetto e l’illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, rilevando come il Tribunale si sarebbe limitato a riportare clausole di stile e precedenti giurisprudenziali non pertinenti, richiamando peraltro un danneggiamento alla fauna locale per effetto delle lavorazioni effettuate, in realtà inesistente.

Aggiungono che mancherebbero, nella fattispecie, la concretezza e l’attualità del pericolo, nonché la proporzionalità e ragionevolezza del provvedimento adottato, considerando peraltro che una eventuale sanatoria consentirebbe l’estinzione dei reati.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta datata dell’8.02.2022, depositata telematicamente presso la cancelleria di questa Sezione, ha chiesto a questa Corte dichiararsi inammissibile il ricorso.

In particolare, il PG premette che la difesa svolge numerose doglianze, alcune delle quali – quelle inerenti la contestazione della configurabilità della violazione paesaggistica: v. seconda pagina- non accompagnate dalla formulazione di specifici motivi di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p. Ricorda quindi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “il ricorso per cassazione è inammissibile quando l’interessato ometta di indicare a quale dei casi tipici disciplinati dall’art. 606 cod. proc. pen. intende ricondursi, in quanto tale mancanza, qualora la specificazione delle ragioni di diritto non sia puntuale e chiara, si traduce in genericità dei motivi” (Conf. Sez. 3, n. 1878 del 04/04/1991, Rv. 187010; Sez. 2 -, Sentenza n. 57403 del 11/09/2018 Cc. (dep. 19/12/2018) Rv. 274258 – 01). Ad ogni modo, il PG ritiene che dalla descrizione della doglianza emerga che la tesi difensiva della non ravvisabilità del reato di cui all’art. 181 d.lgs. n.42/2004 poggia su una ricostruzione fattuale diversa da quella contenuta nell’ordinanza impugnata, e dunque su argomentazioni concernenti la motivazione non proponibili in questa sede, in cui il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Le medesime considerazioni, secondo il PG, devono svolgersi certamente anche in ordine all’altra censura con cui si lamenta “difetto ed illogicità della motivazione in ordine alla dedotta insussistenza del periculum in mora” per la parte in cui si contesta l’ illogicità della motivazione; d’altra parte, per il PG, anche l’asserito difetto motivazionale non assume connotati così radicali “da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice” (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 – 01, Napoli; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692; Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893): nel caso in esame, infatti, la motivazione esiste, ed ha ravvisato la concretezza ed attualità del pericolo in ragione della mancata ultimazione delle opere, come accertato dalla p.g. intervenuta, e dalla lesione del bene paesaggistico sottoposto a tutela, lesione non revocabile in dubbio e comunque ricavabile dalla stessa natura del reato contestato, che si consuma con “la mera realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione” (v. Sez. 6, Sentenza n. 19733 del 03/04/2006 Cc. dep. 08/06/2006, Rv. 234730 – 01).

4. In data 24.02.2022, la difesa delle ricorrenti ha depositato telematicamente presso la cancelleria di questa Corte memoria di replica alla requisitoria scritta del PG, con cui ha insistito affinché, in accoglimento del ricorso, venga annullata l’ordinanza del Tribunale di Agrigento, con le statuizioni conseguenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, trattati ai sensi dell’art. 23 co. 8 del DL n. 137/2020, conformemente alle conclusioni del PG, sono inammissibili.

2. Occorre preliminarmente rilevare che il Tribunale, dopo aver dato compiutamente atto delle ragioni poste a sostegno della richiesta di riesame, ha posto in evidenza, sulla base degli atti a sua disposizione, l’effettiva sussistenza del fumus del reato, dando conto del fatto che le opere descritte nell’incolpazione provvisoria, in corso di esecuzione in assenza di validi titoli abilitativi, insistevano in zona vincolata.

I giudici del riesame hanno dato anche conto, sulla base di plurimi elementi fattuali, della circostanza che la documentazione esibita all’atto del controllo non era pertinente e che i lavori eseguiti non potevano ritenersi riferibili ad interventi di messa in sicurezza in ottemperanza alla normativa antincendio né, tanto meno, erano riferibili ad opere preesistenti.

L’ordinanza impugnata evidenzia anche come l’area interessata dai lavori non presentasse vegetazione secca necessitante di interventi manutentivi, come sostenuto dalle ricorrenti, essendo caratterizzata dalla presenza di flora verdeggiante e rigogliosa che risultava rimossa proprio in corrispondenza della strada e del fosso in corso di realizzazione, attività che veniva peraltro effettuata con un mini-escavatore, pacificamente deputato all’esecuzione di scavi o trincee, opere dunque diverse da quelle di manutenzione.

Altrettanto puntualmente il Tribunale esclude, sempre sulla base degli atti del procedimento, che le opere fossero preesistenti e destinate alle finalità dichiarate.

Il Tribunale, attraverso il congruo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, evidenzia anche come le opere realizzate avessero comportato lo sradicamento e la distruzione della flora della riserva naturale documentata dalle fotografie in atti, determinando una significativa modifica dell’originario assetto dei luoghi.

Per quanto riguarda poi la sussistenza del periculum in mora, contestata dalle ricorrenti, il Tribunale evidenzia come le opere abusive fossero, al momento del sequestro, ancora in corso di esecuzione e non ultimate.

3. Fatte tali premesse, si osserva come le argomentazioni sviluppate dal Tribunale siano giuridicamente corrette.

3.1. Quanto alla sussistenza del fumus, osserva in primo luogo il Collegio come le opere che si assumono realizzate in assenza di titolo abilitativo siano del tutto idonee a configurare i reati ipotizzati.
La giurisprudenza penale distingue infatti tra diverse ipotesi di scavo, sbancamenti, livellamenti di terreno. Tale tipologia di intervento può essere infatti così suddivisa: interventi finalizzati ad attività agricole, interventi finalizzati ad usi diversi da quelli agricoli che incidono sul tessuto urbanistico del territorio, interventi prodromici alla realizzazione di un immobile.

Nel primo caso non si ritiene necessario il permesso di costruire che, al contrario, è richiesto negli altri due casi (cfr. Sez. 3, n. 17114 del 16/12/2014 (dep. 2015), Bettoni, non massimata: Sez. 3, n. 4916 del 13/11/2014 (dep. 2015), Agostini, Rv. 262475 Sez. 3, n. 8064 del 2/12/2008 (dep. 2009), P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242741, Sez. 3, n. 45492 del 29/10/2008, Marinangeli, non massimata. V. anche Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016 (dep. 2017), Palma, Rv. 268847).
Nel caso di specie, le opere realizzate, per come descritte nel provvedimento impugnato, appaiono oggettivamente tali da determinare una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio e la loro esecuzione in assenza del permesso di costruire configura la violazione dell’art. 44 d.P.R. 380/2001   contemplata dalla lettera c) della medesima disposizione stante la presenza del vincolo paesaggistico.

3.2. Il vincolo paesaggistico, inoltre, avrebbe comportato anche la necessità della preventiva autorizzazione paesaggistica.

Occorre a tale proposito ricordare anche come si sia più volte ribadita (Sez. 3, n. 11048 del 18/2/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493. V. anche, da ultimo, Sez. 3, n. 4567 del 10/10/2017 (dep. 2018), Airo’ Farulla, Rv. 273067) la natura di reato di pericolo della violazione paesaggistica.

In particolare, nelle richiamate decisioni si è ricordato come si fosse già precisato (Sez. 3, n. 28227 del 8/6/2011, Verona, Rv. 250971) che il reato contemplato dall’art. 181 d.lgs. 42/2004 è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (si richiamava, a tale proposito, anche Sez. 3, n. 2903 del 20/10/2009 (dep.2010), Soverini, Rv. 245908 ed altre prec. conf.) e come sia di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilievo, ai fini della configurabilità del reato contemplato dal menzionato articolo 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione.
Si è pure ricordato che l’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (v. ex pl. Sez. 3, n. 14461 del 7/2/2003, Carparelli, Rv. 224468; Sez. 3, n. 14457 del 6/2/2003, De Marzi, Rv. 224465; Sez. 3, n. 12863 del 13/2/2003, Abbate, Rv. 224896; Sez. 3, n. 10641 del 30/1/2003, Spinosa, Rv. 224355) e che, proprio per tali ragioni, è richiesta la preventiva valutazione da parte dell’ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica e edilizia.

Sulla base di tali considerazioni si giungeva pertanto ad affermare che il reato paesaggistico è configurabile anche se la condotta consiste nell’esecuzione di interventi senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l’azione dell’uomo, siano venuti meno restituendo ai luoghi l’originario assetto (Sez. 3, n. 6299 del 15/1/2013, Simeon, Rv. 254493, cit.).
Si è ribadito anche che la punibilità del reato in questione è esclusa solo nell’ipotesi di interventi di «minima entità», inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale (Sez. 3, n. 39049 del 20/3/2013, Bortini, Rv. 256426).

Si è conseguentemente pervenuti alla conclusione che riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e la incidenza della condotta medesima sull’assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall’amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito (così, in motivazione, Sez. 3, n. 370 del 1/10/2019 (dep. 2020), Mazza, Rv. 277941).
Nel caso in esame, peraltro, il Tribunale ha posto in evidenza una concreta trasformazione dell’originario assetto dell’area sottoposta a specifica tutela, dando conto del fatto che le opere in corso di esecuzione, precedute dalla estirpazione della flora locale, presentavano caratteristiche tali da comportare, come si è detto, significative modifiche rappresentate, appunto, dalla realizzazione di una stradella e di un fosso.

3.3. Parimenti corrette risultano le considerazioni svolte dai giudici del riesame riguardo alla sussistenza del periculum in mora, oggettivamente concreto ed attuale e adeguatamente valutato in base alla situazione esistente al momento dell’adozione del provvedimento cautelare, trattandosi, come si è già detto, di opere eseguite in assenza di validi titoli abilitativi in zona particolarmente protetta ed ancora in corso di esecuzione.

Il provvedimento impugnato, inoltre, risulta assistito da congrua ed articolata motivazione, fondata su una accurata disamina dei dati fattuali e degli atti del procedimento.

4. A fronte di tutto ciò, perdono anzitutto di spessore argomentativo le deduzioni svolte dalla difesa con l’articolata memoria depositata in limine litis, sia sul fumus delicti (non essendo fondata, per le ragioni supra esplicitate, la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di interventi di attività agricola libera, sia in relazione al periculum in mora, per le ragioni dianzi esplicitate, essendo privo di pregio il richiamo alla sentenza delle SS.UU 11 ottobre 2021, n.36959, alla luce della puntuale motivazione offerta nel provvedimento impugnato alla pag. 8).

In secondo luogo, e soprattutto, va evidenziato che con i motivi di ricorso, che possono essere unitariamente esaminati, le ricorrenti deducono, in maniera pressoché esclusiva, il vizio di motivazione senza dunque considerare che la costante giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710. V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/7/2016 (dep. 2017), Faiella, Rv. 269296; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/1/2007, Ladiana, Rv. 236255).
La mera apparenza della motivazione, peraltro, è stata individuata nell’assenza dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656, cit. ed altre prec. conf.), escludendo peraltro che possa costituire violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione l’illogicità manifesta della motivazione (Sez. 2, n. 5807 del 18/1/2017, Zaharia, Rv. 269119).
Le considerazioni svolte dalle ricorrenti, inoltre, risultano sostanzialmente ripetitive delle questioni prospettate con la richiesta di riesame alle quali il tribunale ha fornito adeguata risposta, conforme alla richiamata giurisprudenza.

5. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 3.000,00 ciascuno.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso, il 10 marzo 2022

Scarica in pdf il testo della sentenza: cass. pen., sez. 2, sent. n. 12396-2022