Rifiuti. A.I.A., inosservanza delle prescrizioni, depenalizzazione solo per alcune ipotesi. Cassazione Penale n. 7166/2017.

Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 7166 del 15 febbraio 2017 (ud. 12 gennaio 2017)

Pres. Ramacci, Est. Aceto

Rifiuti. Attività movimentazione dei rifiuti. VIA VAS AIA. Autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). Inosservanza delle prescrizioni. Sanzioni amministrative e penali. Art. 29-quattordecies, d.lgs. n. 152/2006. Direttiva 2010/75/CE. Rifiuti di plastica trasportati dal vento. Profilo colposo dell’addebito. L’imbrattamento colposo non è previsto dalla legge come reato. Deturpamento e imbrattamento di cose altrui di cui all’art. 639, c.2, cod. pen. . Art. 674 c.p. . Qualificazione giuridica del fatto, configurabilità del reato ed esclusione.
A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, recante attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali, la condotta di chi, essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), non ne osserva le prescrizioni è depenalizzata e costituisce illecito amministrativo solo quando attiene a violazioni diverse da quelle previste dai commi terzo e quarto della medesima disposizione (Sez. 3, n. 40532 del 11/06/2014, Avesani; Sez. 3, n. 14741 del 11/02/2016, Gaviali; nello stesso senso Sez. 3, n. 24680 del 04/11/2014, Brusamolino).
 
I rifiuti in plastica trasportati dal vento possono essere inquadrati come conseguenza di una condotta estranea alla fattispecie dell’art. 674, cod. pen., trattandosi, invece, di evento tipico del delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui di cui all’art. 639, comma 2, cod. pen. (procedibile d’ufficio ai sensi del comma quinto). Per cui, nella specie, il fatto storico deve essere riqualificato come delitto, atteso che il profilo colposo dell’addebito (imbrattamento colposo) non è previsto dalla legge come reato.
 
Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 7166 del 15 febbraio 2017 (ud. 12 gennaio 2017)
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 
sul ricorso proposto da Mancini Anna, nata a Cerreto Guidi (FI) il 03/10/1955,
avverso la sentenza del 03/07/2015 del Tribunale di Livorno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. Federico Spuntarelli, sostituto processuale del difensore di fiducia, avv. Laura Formichini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra Anna Mancini ricorre per l’annullamento della sentenza del 03/07/2015 del Tribunale di Livorno che l’ha condannata alla pena di complessivi 10.206,00 euro di ammenda per i reati di cui agli artt. 29 – quattordecies, d.lgs. n. 152 del 2006 (capo A) e 674, cod. pen. (capo B), commessi il 12/06/2012, a lei ascritti perché, quale legale rappresentante dell’impresa <<Lonzi Metalli>>, aveva contravvenuto alle disposizioni dell’autorizzazione integrata ambientale che, nella attività movimentazione dei rifiuti, imponevano il rispetto del limite di quattro metri corrispondente all’altezza della recinzione antivento e per aver imbrattato la proprietà di Sighenzi Vanio attraverso i rifiuti in plastica trasportati dal vento.
1.1. Con unico motivo, deducendo il malgoverno del compendio probatorio ed, in particolare, lamentando che le prove assunte non consentivano di ritenere integrati i reati ascritti, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione illogica.
Deduce, al riguardo, che:
– le reti metalliche che erano finalizzate a contenere i rifiuti non erano state divelte, mentre risultavano rotte solo le reti cd. “ombreggianti”, non previste dalle prescrizioni dell’AIA;
– in ogni caso le reti non avrebbero mai potuto impedire il diffondersi di polveri e rumori provenienti dall’impianto industriale, sicché alcuna rilevanza hanno le testimonianze rese sul punto;
– dall’istruttoria è emerso come fosse inevitabile che nelle giornate di vento qualche busta di plastica fuoriuscisse dall’impianto ove i rifiuti erano stoccati a cielo aperto;
– proprio per questo l’autorizzazione prevedeva che periodicamente gli operai dell’impresa si recassero nei terreni limitrofi per recuperare quel che inevitabilmente il vento avrebbe trasportato;
– nessun ufficiale di PG ha effettuato misurazioni, così che e rimasto indimostrato che i cumuli di rifiuti superavano i quattro metri;
– l’ente preposto al rilascio dell’AIA non ha effettuato alcuna diffida;
– quanto al reato di cui all’art. 674, cod. pen., la sentenza non spiega sotto quale profilo sarebbe ravvisabile la molestia alla persona, visto che il Tribunale si limita ad affermare che <<le buste avevano invaso in modo apprezzabile il terreno del Sighenzi>>.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
3. E’ necessario premettere che il reato di cui all’art. 29-quattordecies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, per la parte di interesse, non è stato depenalizzato.
3.1. Questa Corte, affrontando la questione posta dal difensore in sede di odierna discussione, ha già spiegato che a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 46, recante attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali, la condotta di chi, essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), non ne osserva le prescrizioni è depenalizzata e costituisce illecito amministrativo solo quando attiene a violazioni diverse da quelle previste dai commi terzo e quarto della medesima disposizione (Sez. 3, n. 40532 del 11/06/2014, Avesani, Rv. 259924; Sez. 3, n. 14741 del 11/02/2016, Gaviali, Rv. 266397; nello stesso senso Sez. 3, n. 24680 del 04/11/2014, Brusamolino, Rv. 263880).
3.2. L’art. 29-quattordecies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, prevede che:
<<Salvo che il fatto costituisca più grave reato, si applica la sola pena dell’ammenda da 5.000 euro a 26.000 euro nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente nel caso in cui l’inosservanza: a) sia costituita da violazione dei valori limite di emissione, rilevata durante i controlli previsti nell’autorizzazione o nel corso di ispezioni di cui all’articolo 29-decies, commi 4 e 7, a meno che tale violazione non sia contenuta in margini di tolleranza, in termini di frequenza ed entità, fissati nell’autorizzazione stessa; b) sia relativa alla gestione di rifiuti; c) sia relativa a scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa>>.
3.3. Non v’è dubbio che, nel caso di specie, la violazione contestata riguarda proprio la <<gestione dei rifiuti>> da parte dell’impresa.
3.4. Le censure che riguardano, invece, la materiale sussistenza del reato si fondano su dati estranei al testo della motivazione che non possono essere esaminati in sede di legittimità.
3.5. II vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici della ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata.
3.6. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 ).
3.7. Tale indagine può avere ad oggetto direttamente la prova (e dunque rimettere in discussione la coerenza del fatto “narrato” dal giudice con le prove assunte ai fini della decisione) solo quando se ne denunci il travisamento, purché il vizio venga espressamente eccepito e l’atto processuale che incorpora la prova sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali.
3.8. La natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv.
205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
3.9. Dalla motivazione della sentenza (della quale peraltro viene censurata la illogicità, non la sua natura manifesta) risulta che il fatto di cui al capo A trova la sua base fattuale nel sopralluogo effettuato dal personale dell’ARPAT il 12/06/2012, all’esito del quale risultò che i cumuli di rifiuti superavano, in altezza, la recinzione dell’impianto, che le reti frangivento erano in alcuni punti parzialmente divelte, che in corrispondenza di tali punti si verificava la fuoriuscita dei residui di plastica e polvere, che il terreno del Sighenzi era invaso da buste di plastica.
3.10. Questo, dunque, è il fatto, ricostruito in base alle dichiarazioni testimoniali e ai rilievi fotografici cui il Giudice fa espresso riferimento.
3.11. L’imputata non contesta (almeno direttamente) che esso possa astrattamente integrare il reato di cui all’art. 29-quattrodecies, d.lgs. n. 152 del 2006 (tant’è vero che, fermo quanto dedotto nell’odierna discussione, non eccepisce l’erronea applicazione della legge penale), ma denunzia il vizio di motivazione nei termini già illustrati.
3.12. Orbene, richiamando i principi sopra esposti, appare chiaro che non v’è alcuna contraddizione logica nella decisione del Giudice e di certo è altrettanto evidente che la conclusione che il fatto “narrato” corrisponda al fatto “contestato” non è manifestamente illogica. All’imputata, infatti, è stato contestato di aver violato le prescrizioni dell’AIA sotto due profili: a) l’attività di movimentazione dei rifiuti al di sopra dei quattro metri protetti dalla recinzione (comunque divelta); b) lo stoccaggio dei rifiuti in zona non autorizzata.
3.13. Le censure dell’imputata tendono a privare di sostrato logico la decisione del Tribunale alterando il quadro fattuale di riferimento (la funzione delle reti divelte, la inidoneità delle reti a impedire la dispersione dei rifiuti e delle polveri, l’inevitabilità dell’evento) da un lato dando per scontata la  possibilità di questa Corte di cercare tra le carte del processo il buon fondamento delle sue eccezioni, dall’altro non cogliendo il nucleo centrale dell’accusa rispetto al quale la rottura delle reti costituisce un “quid pluris” nemmeno necessario all’economia del libello accusatorio. Quel che conta, infatti, è l’oggettivo superamento del limite imposto dall’AIA, dato che la ricorrente non contesta.
4. Hanno invece fondamento le critiche relative al reato di cui al capo B, che è così contestato: <<perché ( … ) non impediva che i rifiuti di plastica leggera trasportati dal vento imbrattassero la proprietà ( … ) [di] Sighenzi Antonio>>.
4.1. Il Tribunale ha validato l’ipotesi accusatoria affermando che <<la dispersione dei rifiuti che invasero in modo apprezzabile il terreno del Sighenzi, per la quantità e qualità dei rifiuti era idonea a creare gli effetti dannosi richiesti dall’art. 674, cod. pen., sotto il profilo dell’imbrattamento del terreno altrui>>.
4.2. Senza procedere oltre, appare evidente, per quanto si dirà, che gli interrogativi posti dalla ricorrente in ordine al profilo sotto il quale è stata ravvisata la violazione della norma penale contestata hanno un buon fondamento.
4.3. L’imbrattamento delle cose è conseguenza della condotta estranea alla fattispecie dell’art. 674, cod. pen., trattandosi, invece, di evento tipico del delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui di cui all’art. 639, comma 2, cod. pen. (procedibile d’ufficio ai sensi del comma quinto). Il fatto, così come esattamente ricostruito dal Tribunale, non è diverso da come descritto nella rubrica; né è possibile esondare dal recinto disegnato dal capo di imputazione per “recuperare” chissà dove gli elementi costitutivi del reato ipotizzato (la molestia alla persona). Il fatto storico deve perciò essere riqualificato come delitto. E poiché è evidente il profilo colposo dell’addebito, la sentenza deve essere annullata “in parte qua” perché il fatto (imbrattamento colposo) non è previsto dalla legge come reato, con eliminazione della relativa porzione di pena.
4.4. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
 
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B perché, riqualificato il reato di cui all’art. 674, cod. pen. in quello di cui all’art. 639, cpv., cod. pen., il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena pari ad € 206,00 di ammenda.
Dichiara inammissibile nel resto. Così deciso in Roma, il 12/01/2017.