NIENTE IVA SULLA TASSA RIFIUTI PER LA CORTE DI CASSAZIONE

L’IVA sulla Tariffa d’Igiene Ambientale non è dovuta.

Lo ha statuito la Corte di Cassazione con un’ordinanza (Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 5627 del 24 gennaio 2017, dep. il 7 marzo 2017) con la quale ha precisato che la TIA (Tariffa d’Igiene Ambientale), introdotta dal Decreto Ronchi (Legge n. 22/1997 art. 49) e successivamente abolita e sostituita dalla TARES con Legge n. 214/2011, non sia assoggettabile ad IVA.

Nel caso di specie, a seguito di ricorso promosso da una società genovese affidataria per conto del Comune del servizio di riscossioni dell’imposta sui rifiuti, contro la condanna alla restituzione ad alcuni cittadini dell’importo indebitamente percepito dell’IVA sulle bollette emesse per la riscossione della relativa tariffa, la Suprema Corte ha confermato la condanna sulla base sulla base dell’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio fruito e l’entità del prelievo. Ciò comporta l’esclusione della sussistenza di un rapporto sinallagmatico, posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 D.P.R. n. 633/1972 e caratterizzato dal pagamento di un “corrispettivo” per la prestazione di servizi (Cfr. C. Cost. n. 238/2009).

Infondato è risultato anche il motivo di ricorso inerente la violazione dell’art. 13 della Direttiva CE n. 112/2006 e dell’art. 4 del D.P.R. 633/1972, laddove veniva contestato che la disciplina nazionale e comunitaria prevedesse l’applicazione di aliquota agevolata dell’IVA per le prestazioni di servizio aventi ad oggetto la pulizia delle strade pubbliche, non essendo possibile applicare l’esenzione d’imposta prevista ex art. 13 della Direttiva predetta la quale richiede il requisito soggettivo della natura pubblica dell’ente erogatore del servizio (nella specie insussistente poichè trattavasi di soggetto privato delegato dal Comune).

La Corte ha precisato che la questione era già stata ampiamente analizzata nel merito (vedi C. Cost. n. 238/2009 e Cass. Civ., Sez. Unite n. 5078 del 15/03/2016), laddove era stata ribadita in primo luogo la natura tributaria della TIA, la riconduzione della TARSU e della TIA nel novero dei “canoni, diritti, contributi” esclusi dall’assoggettamento ad IVA (art. 13, par. 1, primo periodo Direttiva n. 2006/112/CE, cfr. C. Giustizia UE, causa C-288/2007 del 16 settembre 2008), ed in secondo luogo la non immutazione del principio comunitario laddove il soggetto privato (che sarebbe di per sè privo della qualificazione di “ente pubblico”), sulla base dell’esplicazione degli strumenti organizzativi dell’ente delegante la funzione di pubblica utilità della riscossione dei tributi, vada ad esercitare gli stessi poteri pubblici dell’ente locale.

Facendo riferimento alla giurisprudenza comunitaria, si è indicato come affinchè possa determinarsi la sussistenza di un presupposto d’imposta così come stabilito dall’art. 2, par. 1, lett. c) della Direttiva n. 2006/112/CE (1. Sono soggette all’IVA le operazioni seguenti: […] c) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale […]”) occorra l’esistenza di un nesso diretto tra prestazioni, per il quale il compenso deve rivestire in termini di reciprocità il carattere di un “controvalore effettivo” del servizio prestato. In pratica, nel caso concreto non è possibile parlare di negozio giuridico tra le parti, essendo una tipologia di pagamento alla quale l’utente non può sottrarsi nemmeno in caso di mancato effettivo utilizzo del servizio di fornitura stesso; ma ciò comporta la conseguenza che tale tipologia di prestazione non sia assoggettabile ad IVA (cfr. C. Giustizia UE, causa C-37/16, causa C-263/15, causa C-16/93, causa c-93/10).

E’ bene precisare infine che tratandosi di azione diripetizione dell’indebito oggetivo ex art. 2033 c.c., il termine prescrizionale per il quale richiedere la restituzione delle somme non dovute già versate è decennale.

Scarica il testo in pdf del provvedimento: Cass. Civ., Sez. III, ord. n. 5627-2017