231. Responsabilità amministrativa, compliance: la norma ISO 9001 e il modello cd “Deloitte” non sono validi ai fini della 231. Cassazione Penale.

Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 41768 del 13 settembre 2017 (ud. 22 giugno 2017)

Pres. Carcano, Est. Corbo

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COMMENTO

Nella complessa vicenda delle residenze assistite nella Regione Puglia, la quale aveva visto coinvolti l’ex presidente Raffaele Fitto e Giampaolo Angelucci, la Corte di Cassazione, tra gli argomenti trattati, ha negato la possibilità che il modello aziendale ISO 9001 e il modello c.d. “Deloitte” possa sostituire il modello organizzativo gestionale ex d. lgs. n. 231/2001.

Esamimando infatti il tema dell’insussistenza del modello organizzativo e di gestione richiesto dal d. lgs. n. 231/2001, ha osservato che “a tale categoria non potessero ricondursi nè modelli aziendali ISO UNI EN 9001, preesistenti alla commissione dei reati in contestazione, nè il modello c.d. “Deloitte”, adottato nel dicembre 2003, e, quindi, in ogni caso, in data successiva alla data di commissione del reato presupposto“.

Per quanto riguarda in particolare il profilo attinente all’insussistenza del modello organizzativo, la Suprema Corte argomenta che già la Corte d’Appello avesse rilevato come “i modelli aziendali ISO UNI EN 9001 non possono essere ritenuti equivalenti ai modelli richiesti dal d. lgs. n. 231 del 2001, perchè non contenevano l’individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell’ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale“; la Corte Suprema ha poi osservato che “il modello cd. “Deloitte” non solo sia stato adottato in data successiva (cioè dicembre 2003) a quella di commissione dei reati presupposti, “ma non conteneva, tra l’altro, nè il codice di comportamento e le relative procedure, nè il codice etico, nè le procedure per la conoscenza dei modelli, nè il sistema sanzionatorio“.

La mancata equivalenza tra il “modello qualità” e il “Modello 231” viene quindi a rilevanza nella mancata individuazione degli illeciti da prevenire: il primo si riferisce infatti al solo controllo della qualità del lavoro, nell’ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati dai reati in materia ambientale, il secondo è modello teso alla prevenzione dei reati presupposto elencati nel d. lgs. n. 231/2001.

Viene inoltre ribadita la correttezza della non condivisione delle opionioni  svolte dal consulente tecnico della difesa degli enti, il quale, si legge, “si è profuso nella descrizione dell’equivalenza dei modelli ISO 9001 al MOG (modelli di organizzazione e gestione previsti dal d. lgs. n. 231/2001)“.

Altro tema degno di nota riguarda le intercettazioni.

La sentenza argomenta che le disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni valgano anche per gli enti. Ciò in relazione al disposto degli artt. 34 e 35 del d. lgs. n. 231/2001, i quali prevedono rispettivamente il primo la generale applicabilità, nei procedimenti relativi agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, delle disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili, il secondo l’applicabilità all’ente delle disposizioni processuali relative all’imputato.

Pertanto, i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per uno dei reati di cui all’art. 266 c.p.p., sono utilizzabili anche con riferimento ad altri reati che emergano dall’attività intercettatoria, ancorché per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite, purché sussista una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente da reato.